Doppia esposizione. Bene così

Senza eccezioni alla regola, i commercianti nel centrocittà rispettano l’obbligo dell’indicazione dei prezzi in kune e in euro. Inoltre nei negozi alla cassa ora compare il cartello con il cambio fisso ufficiale. In questa fase, comunque, non mancano le perplessità

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Doppia esposizione. Bene così
Buona parte dei negozi di generi alimentari praticano la doppia indicazione già da giugno. Foto: DARIA DEGHENGHI

La doppia indicazione del prezzo in euro e in kune è obbligatoria da lunedì scorso ma è partita con abbondante anticipo nei mesi di giugno, luglio e agosto in quasi tutti i negozi al dettaglio e continuerà fino al 31 dicembre 2023. Come sta andando il periodo intermedio di transizione? A quanto sembra, senza alcun problema. Abbiamo visitato alcuni centri commerciali, qualche negozio di abbigliamento e calzature, alcune rivendite di generi alimentari, un paio di librerie e alcuni parrucchieri. Le esperienze che ci raccontano i gestori e i clienti sono pressappoco uguali: nessun dramma, nessuna confusione, pochi sbagli e qualche situazione comica, come quella di chi preferirebbe pagare la cifra più piccola (in euro) con le banconote della valuta nazionale (l’unica in circolazione fino al 31 dicembre).

Manovre già oliate
Senza eccezioni alla regola, tutti i commercianti rispettano l’obbligo della doppia indicazione. C’è più lavoro del solito, e qualche spesa aggiuntiva perché si è dovuto aggiornare da capo ogni cartellino e ogni etichetta su ogni singolo articolo in commercio, ma queste sono manovre che si fanno regolarmente nei supermercati e almeno quattro o cinque volte l’anno per l’arrivo delle nuove collezioni e i saldi di fine stagione nel settore dell’abbigliamento, delle calzature e degli accessori. Per gli scontrini, nessun problema.
“Abbiamo speso mille kune per aggiornare il software della cassa, tutto qua, ma ora funziona esattamente come nel periodo precedente, con la sola differenza della doppia cifra per ogni articolo in uscita”. Inoltre nei negozi alla cassa ora compare pure il cartello con il cambio fisso ufficiale stabilito nei contratti di adesione della Croazia alla zona euro. I commercianti hanno avuto pure una specie di vademecum con le raccomandazioni da osservare in questo periodo transitorio: secondo le stesse, i prezzi devono essere chiari, leggibili, comprensibili e indicati in maniera tale da non indurre l’acquirente in inganno per cui si deve poter capire sempre a quale articolo (bene, servizio) è attribuito il prezzo in esposizione.
Per l’euro sono ammessi i due simboli ufficiali: € o EUR. Il tasso di cambio (1 EUR = 7,53450 HRK) per la conversione dev’essere esibito sia in negozio che sulle pagine Internet e i web shop. Nei casi in cui l’etichetta dovesse riportare altre valute, sono ammesse tutte senza eccezioni purché sia rispettato anche l’obbligo della doppia indicazione transitoria.

I turisti sono i più confusi
Cosa significa esattamente che il doppio prezzo non deve “indurre l’acquirente in inganno”? Una negoziante di articoli di abbigliamento giovanile griffato ci racconta le sue esperienze. “I turisti sono sempre confusi: lo erano anche prima della doppia indicazione del prezzo e oggi le cose non vanno diversamente: prima si scandalizzavano di vedere un capo in vendita a 800 kune perché convinti che fossero euro, ed ora è il contrario, vorrebbero che gli euro fossero kune. Insomma, tutti vorrebbero pagare la cifra inferiore in banconote locali”. Quindi un po’ di confusione c’è, dopo tutto?
Sì, ammettono i negozianti, e per questo la maggioranza conclude che “non vediamo l’ora di introdurre l’euro e lasciarsi la kuna alle spalle, per fare prima e per parlare tutti la stessa lingua”. Ben detto, anche la moneta è una lingua, una lingua franca quando a usarla è tutto il Vecchio continente con pochissime eccezioni.

La voce fuori dal coro
C’è tuttavia anche qualche voce fuori dal coro. Una commessa che troviamo indaffarata ad affettare la mortadella in un negozio di generi alimentari brontola perché l’euro non l’ha voluto e continua a non volerlo, anche se deve per forza piegarsi alla realtà.
“Questa non ci voleva proprio. No, non ci voleva proprio. Potevamo tenerci la nostra valuta e la nostra autonomia”, mormora rassegnata. Ma la sua è una voce per così dire minoritaria, che si perde nel coro generale d’approvazione. Tra l’altro nel mondo globalizzato una valuta nazionale non è sinonimo di autonomia finanziaria o fiscale, o perlomeno non lo è in termini assoluti. Le catene sono ben altre, e sono invisibili.

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