(Adnkronos) – Non si fermano gli attacchi ai mercantili nel Mar Rosso, oggi si definisce la missione europea a Bruxelles per la protezione del traffico marittimo. Il ‘fronte’ del Mar Rosso si è aperto dopo l’avvio delle operazioni israeliane nella Striscia di Gaza, che nel 2007 finì sotto il controllo di Hamas, scattate in risposta all’attacco del 7 ottobre in Israele. Gli Houthi, “nati e cresciuti per la guerra”, secondo gli analisti, hanno usato le loro basi nel nord dello Yemen per lanciare missili e droni contro mercantili e sono diventati protagonisti in Medio Oriente ‘sfoggiando’ armi sempre più sofisticate. Inizialmente attacchi lanciati dalla lontana costa yemenita hanno preso di mira il porto israeliano di Eilat. Poi sono arrivati gli attacchi a mercantili e la risposta anglo-americana di 11 e 12 gennaio (da quel giorno, secondo Sky News Arabia, si contano almeno 75 morti, anche tra le fila dei Pasdaran iraniani e degli Hezbollah libanesi).
“Nessuno aveva previsto seriamente questa minaccia”, ha scritto Le Monde, secondo cui gli Usa (e con loro altre potenze) sono “ormai in prima linea in questa nuova conflagrazione regionale” e “pagano oggi il prezzo del mancato interesse” per il dossier Yemen, un Paese povero in cui gli Houthi si sono rafforzati nel corso degli anni. Oggi, guidati da Abdulmalik al-Houthi, affermano di attaccare navi ‘legate’ a Israele o dirette verso i porti israeliani, considerati obiettivi legittimi, e dicono che non verranno ‘scoraggiati’ dalle operazioni anglo-americane. Ma per gli osservatori le operazioni contro gli Houthi (il vero nome del movimento è Ansar Allah, ‘Partigiani di Dio’) hanno rafforzato la loro ‘posizione’ nella regione da quando nel 2014 presero il controllo della capitale yemenita Sanàa.
E, con il forte sostegno in Medio Oriente per la causa palestinese che ha scatenato l’indignazione nella regione per l’offensiva militare israeliana a Gaza, gli Houthi si sono presentati come difensori dei palestinesi. “Penso sognino un attacco contro di loro da parte di americani o israeliani perché questo li trasformerebbe in una vera forza di ‘resistenza'”, diceva a dicembre l’analista yemenita Mustapha Noman in un briefing di Chatham House, dichiarazioni rilanciate ora dal Washington Post. Ed era sempre a dicembre che il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, annunciava la nuova operazione Prosperity Guardian. Adesso prende forma Aspides. “Un confronto diretto con gli Usa non spaventa il popolo yemenita – ha detto di recente Abdulmalik al-Houthi – L’attendiamo da tempo”.
E se è “antico” l’interesse dell’Iran per il Mar Rosso, via di transito per le ‘forniture’ destinate agli Hezbollah libanesi o ai palestinesi di Hamas e Jihad Islamica, l’attenzione per lo Yemen della Repubblica Islamica si manifesta – secondo l’analisi di Le Monde – solo a partire dal primo intervento militare saudita nel 2009, a sostegno del governo dell’allora presidente Ali Abdullah Saleh, in difficoltà con gli Houthi. Houthi che “nel giro di pochi anni si sono dotati di un arsenale significativamente diversificato di armamenti antinave”, come ha scritto Fabian Hinz, ricercatore dell’International Institute for Strategic Studies. Un arsenale che “solleva interrogativi sulla strategia più ampia dell’Iran nella regione”. E poiché “gli armamenti sono stati forniti dall’Iran ben prima dello scoppio del conflitto tra Israele e Hamas” si ritiene che Teheran si concentri “sul rafforzamento delle capacità nella lotta antinave degli Houthi” e che potrebbe “tentare di esportare il suo modello di coercizione navale (il blocco di una via di navigazione) dal Golfo Persico e dallo Stretto di Hormuz al Mar Rosso e allo Stretto di Bab el-Mandeb”.
Tornando indietro nella storia yemenita, il 2011 è l’anno delle cosiddette Primavere Arabe e Saleh ‘esce di scena’ l’anno seguente dopo 33 anni al potere (verrà poi ucciso nel 2017). Nel 2014, deposto il governo di Sana’a, gli Houthi costringono il presidente, Abde Rabbo Mansour Hadi, a fuggire in Arabia Saudita. Inizia così una lunga guerra civile – con gli Houthi contro le forze governative sostenute dall’Arabia Saudita e appoggiate da una coalizione composta per lo più da Paesi arabi del Golfo Persico (a cui gli Usa hanno fornito sostegno militare) – costata la vita a decine di migliaia di persone in quello che è il Paese più povero della regione.
Ormai, evidenzia Le Monde, gli Houthi controllano la porzione dello Yemen con le aree più popolose. E hanno dato prova di resilienza. Mentre l’Amministrazione Biden, come ha scritto ieri il Washington Post, definisce piani per una campagna militare prolungata e l’Arabia Saudita auspica invece la de-escalation. Da novembre, secondo il giornale, sono stati più di 30 gli attacchi contro mercantili sferrati dagli Houthi con missili e droni. E nel frattempo gli Usa hanno escluso ogni speranza di ritrovare vivi i due Navy Seal dispersi in un blitz contro gli Houthi.
Il gruppo prende il nome da Hussein al-Houthi, che promosse lo zayidismo (branca dello sciismo) e venne ucciso nel 2004 dalle forze governative. Si è trasformato in insorgenza e oltre i confini dello Yemen ha in passato preso di mira ‘avversari’ con missili e droni (nel 2019 sono stati attaccati siti petroliferi in Arabia Saudita, nel 2020 un missile balistico è ‘arrivato’ a Riad e due anni dopo tre persone sono morte in un attacco con un drone ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti). “Non è esagerato dire che gli Houthi sono nati e cresciuti con la guerra”, osserva Maysaa Shuja Al-Deen, ricercatrice del Center for Strategic Studies a Sana’a citata da Le Monde. Per 20 anni non hanno mai smesso di combattere. E un processo di pace sarebbe una grande sfida da affrontare mentre le tensioni nel Mar Rosso hanno ripristinato la legittimità degli Houthi in un momento in cui – dopo la tregua del 2022 – la loro autorità veniva mesa in discussione nelle regioni dello Yemen sotto il loro controllo.
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