Qualcuno lo ha definito l’uomo della provvidenza. Per gli addetti ai lavori Sergej Jakirović è il profilo ideale per tirare il Rijeka fuori dalle sabbie mobili. Con una squadra allo sbando, ciò che serve è un sergente di ferro capace di mettere tutti in riga e di farli remare nella stessa direzione. A lui dunque il delicato compito di cancellare la fallimentare prima parte di stagione, uscire dalla crisi di gioco e risultati e scalare la classifica. E provare anche a dare l’assalto all’Europa. Salvo clamorosi risvolti in Coppa Croazia, il quarto posto garantirà quasi sicuramente il pass per i preliminari di Conference League. Le lunghezze da recuperare allo Slaven Belupo sono 11, ma due stagioni fa furono 15 nei confronti del Gorica e i biancocrociati riuscirono nell’impresa bruciando i “tori” proprio sulla linea del traguardo, all’ultima giornata. Tra il cambio di modulo e un mercato destinato a cambiare parecchio la fisionomia della squadra, sarà complicato trovare subito il bandolo della matassa e incastrare tutti i pezzi, ma il tecnico originario di Mostar è uno che le sfide le prende di petto e non ha paura di mettersi in discussione. La comfort zone, come ha ribadito più volte, non fa per lui.
Come ha impostato la prima parte della preparazione?
“Il focus è incentrato soprattutto sulla condizione atletica. Sono molto soddisfatto del lavoro svolto in questa prima settimana: ho visto i ragazzi motivati, ricettivi e allenarsi con il giusto atteggiamento”.
Tra l’altro lei aveva indicato proprio nell’insufficiente condizione fisica la principale causa dei disastrosi risultati fin qui ottenuti.
“È quello che è emerso dalle analisi che abbiamo fatto. Poi è chiaro che di mezzo ci sono anche altri fattori, comunque strettamente correlati al discorso legato alla preparazione fisica”.
Perché ha accettato la panchina del Rijeka? Ci vuole coraggio, e direi anche un pizzico di follia, a prendere in mano la squadra in questo momento.
“Nei due anni trascorsi allo Zrinjski abbiamo fatto un lavoro eccezionale ed era giunto il momento di voltare pagina. È difficile dire di no a una squadra sempre in lotta ai vertici. È una sfida impegnativa, ma siamo certi di poter riportare in alto il Rijeka. Coraggio e follia? Sarà il tempo a dare tutte le risposte”.
Che cosa le ha chiesto la società?
“Di ritrovare continuità di gioco e risultati. Però ci vorranno tanto lavoro e sacrifici”.
Il quarto posto è un obiettivo?
“Dobbiamo fare la corsa su chi ci sta davanti. Non sarà facile perché anche le altre squadre vanno forte però sì, il quarto posto è un obiettivo”.
Che tipo di Rijeka vedremo alla ripresa del campionato?
“Un Rijeka più propositivo, offensivo, che pressa alto e corre tanto”.
Il modulo sarà il 4-2-3-1?
“Esatto. Che poi è l’assetto tattico che più ci si addice considerando le caratteristiche dei giocatori a disposizione”.
Molti la definiscono un sergente di ferro…
“Mi piace essere schietto e diretto con i giocatori. Sono uno che vive il calcio 24 ore al giorno e pretendo lo stesso da chi alleno. Ai giocatori ripeto sempre che il fatto di essere profumatamente pagati per fare ciò che si ama impone la massima serietà e professionalità. Poi se sono o no un sergente di ferro, sta agli altri giudicare”.
Parlando di mercato, sono arrivati Antonio Marin e Deni Jurić, mentre anche Emir Dilaver è vicinissimo alla firma: sono questi i rinforzi che chiedeva?
“Sì. Sono tutti giocatori che arrivano motivati, affamati e con tanta voglia di indossare questa maglia. Oltre ovviamente a importanti qualità tecniche e caratteriali. Non voglio calciatori che vengono qui a fare il compitino, bensì desiderosi di crescere e migliorare”.
In uscita si parla tanto di Selahi, Vukčević e Ampem…
“Tutti e tre sono sotto contratto. Nessuno è incedibile, però fin qui non ci sono state offerte concrete. Staremo a vedere”.
Per Halilović il Rijeka rappresenta l’ultima chiamata per resuscitare la carriera…
“Da parte mia e del mio staff avrà tutto il supporto necessario, ma dev’essere lui stesso il primo a volerlo. Conosciamo tutti il suo talento, però il passato è passato e lui deve pensare al presente e a come aiutare la squadra”.
Lei stesso ha definito misterioso l’infortunio di Mitrović: di che cosa si tratta?
“Un problema abbastanza serio alla coscia, con due tendini che si sono separati dall’osso. In tutta la mia carriera non mi è mai capitato di imbattermi in un infortunio di questo genere. È stato operato in Finlandia e ora sta ultimando la riabilitazione a Zagabria. Se non ci saranno ricadute, rientrerà in gruppo alla fine del mese”.
Parlando di campionato, crede che l’Hajduk possa impensierire la Dinamo nella corsa al titolo?
“La vedo dura. La Dinamo è la squadra più completa e ha pure un buon margine sull’Hajduk nonostante abbia una partita ancora da recuperare”.
Immagino sia un colpo al cuore vedere il “suo” Gorica in fondo alla classifica.
“Siamo stati noi a gettare le basi dopo la promozione e a costruire una squadra molto solida. Può capitare di incappare in una stagione negativa, ma siamo soltanto a metà strada e ci sono ancora tante partite da giocare perciò c’è tutto il tempo per recuperare e conquistare la salvezza”.
Capitolo Mondiale. Domani sera c’è Croazia-Argentina…
“Arrivare tra le prime quattro in due edizione consecutive è semplicemente pazzesco per un Paese così piccolo e con infrastrutture sportive che sono quelle che sono. L’Argentina non è superiore al Brasile. Anzi, a livello individuale i brasiliani sono più forti. L’Argentina è troppo Messi-dipendente e se riesci a contenerlo, allora sei già a metà dell’opera. Arrivati però a questo punto tutte le partite sono un 50:50”.
Alla Croazia manca tuttavia un bomber che la butti dentro con una certa continuità…
“È vero, però la sua forza sta nel gioco di squadra e quand’è così alla fine uno che fa gol lo trovi sempre”.
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