Il Mediterraneo si scalda e cambia volto

Sono sempre più numerose le specie marine che stanno colonizzando il «Mare Nostrum». Lo raccontano anche le immagini scattate dai fotografi subacquei, che raccontano di vere e proprie meraviglie naturali negli abissi

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Il Mediterraneo si scalda e cambia volto
Un fotosub impegnato nel controllo del fondale

In natura, tutto ciò che esiste è suscettibile di cambiamento. La mutazione di un ecosistema è un procedimento lungo e lentissimo e dato che la vita umana ha una durata relativa, non è possibile logicamente assistere a un mutamento ambientale e apprezzarne gli aspetti nel loro iter scientifico. Fortunatamente esiste però la scienza della paleontologia, grazie alla quale possiamo constatare come nel tempo si siano succedute contrazioni o espansioni di forme animali e come il dinamismo della natura abbia creato quelle spinte legate a molteplici fattori ecologici che hanno influito a trasformare un ecosistema, evolvendone la fauna e la flora.

Profonde trasformazioni
Il Mare Mediterraneo non è esente da una storia di profonde trasformazioni. L’iter del suo popolamento non dipende solamente dall’ambiente fisico, ma anche dalla sua storia. Prima dei periodi di disseccamento, diversi milioni di anni fa, il Mediterraneo era aperto verso le regioni dell’indopacifico ed era colonizzato da organismi tropicali. Tali specie sono sparite a causa del disseccamento e la fauna e la flora attuali derivano così dal vicino Oceano Atlantico. Nel corso di migliaia d’anni, il popolamento del Mediterraneo ha avuto modo di acquisire una connotazione endemica che lo ha caratterizzato abbastanza chiaramente sino ad oggi. Esistono poi dei periodi più corti durante i quali avvengono dei mutamenti attraverso i quali un ecosistema rivela dei cambiamenti che possono essere osservati e interpretati come adattamenti a repentine variazioni di condizione. Sono condizioni che implicano le differenze del mondo vivente che ci circonda. Uno di questi ecosistemi, è proprio il Mare Mediterraneo.

I barracuda

All’inizio fu la cozza
Sino alla metà del secolo scorso, nessuno dava peso a problematiche legate alla fauna e alla flora del nostro Mediterraneo. Trasformazioni sociali, due guerre che ci avevano stremato, la ripresa economica e i problemi europei, avevano fatto passare in secondo piano gli studi sulla biodiversità. Fu proprio in quegli anni che nacque e si sviluppò l’attività subacquea. Un’attività sportiva che cresceva veloce tra i giovani e che si dimostrò subito un importantissimo vettore di conoscenza per i più anziani che studiavano la biologia marina, ma che non avevano la possibilità d’immergersi e dunque di constatare “de visu”. Il boom dell’editoria subacquea, la proliferazione delle attrezzature fotografiche subacquee, chiedevano immagini e con esse la spiegazione degli affascinanti fenomeni della vita sottomarina. Ricordo un articolo apparso in quegli anni, che spiegava il perché del nome scientifico dato alla cozza: il Mytilus galloprovincialis. La specifica “galloprovincialis” era dovuta ai Romani, che la scoprirono lungo le coste della Gallia e iniziarono a “coltivarla” lungo i mari dell’Impero per le mense patrizie. Dunque, ecco la prima notizia dell’introduzione, da parte dell’uomo, di una nuova specie nel Mediterraneo.Il riscaldamento del Pianeta
Un intervento antropico diretto che può essere volontario come nel caso delle cozze oppure accidentale se avviene a seguito dei grandi traffici navali. Pensate alle navi, al loro carico, alla loro acqua di zavorra, agli organismi animali e vegetali che colonizzano le chiglie sommerse, alle spore, alle larve, ai molluschi che giornalmente vengono rilasciati dalle navi di tutte le nazionalità in Mediterraneo e provenienti da chissà quali mari lontani. A tutto ciò si è unito un fenomeno che nell’ultimo trentennio ha suscitato preoccupazione su scala mondiale: il riscaldamento del Pianeta. Quali che siano le cause, sta di fatto che è innegabile la variazione termica in progressione delle acque del Mediterraneo. Una variazione particolarmente recepita in quanto il Mediterraneo è un mare chiuso e poco profondo che risponde in modo più rapido al mutamento dei fenomeni atmosferici.Meridionalizzazione del bacino
Da circa vent’anni è in atto una continua e costante verifica termometrica in tutto il bacino. Si è riscontrato un riscaldamento medio delle correnti superficiali del Mediterraneo di circa un grado e mezzo, con punte eccezionali nel basso Adriatico di oltre due gradi. Nell’estate del 2003, in alcune località, neppure tanto meridionali, la temperatura del mare ha sfiorato in superficie i 30 gradi. Ma ciò che ha stupito in modo particolare i ricercatori è stata la media delle temperature invernali di ampie zone, che non andavano al di sotto dei 14 gradi. Questo comporta indubbiamente una modifica della vita autoctona locale. Gli scienziati chiamano questo fenomeno “meridionalizzazione del bacino mediterraneo” per non calcare la mano su di una terminologia che preoccupa molto di più: la “tropicalizzazione” di tutto l’emisfero settentrionale. Il fenomeno ha influenzato la composizione della fauna e della flora subacquee, ha creato sensibili variazioni nell’adattamento dei tassi di riproduzione e soprattutto in quelli del reclutamento delle specie. Anche se gli studiosi sono concordi nell’asserire che almeno il 75 p.c. delle specie mediterranee proviene dall’Atlantico, sono preoccupati da un 5 p.c. circa di specie che proviene dal Mar Rosso perché esistono drastiche differenze di origine tra i due mari; perché la comunicazione tra il Mar Rosso e il Mediterraneo è geologicamente recentissima, grazie al Canale di Suez realizzato nel 1869.

Il Thalassoma pavo, conosciuto anche come donzella pavonina

In arrivo dal Mar Rosso
Le centinaia di migliaia di fotografie realizzate dai fotosub negli ultimi trent’anni hanno permesso di scoprire un Mediterraneo di grande bellezza e di grande interesse. A tale proposito vi è un libro di due fotografi subacquei italiani: Barbara Zanna e Fabio Barbieri intitolato Meraviglie del Mediterraneo, che ne descrive l’immensa platea sommersa, fiorita come un giardino e dove si percepisce la presenza insistente di diverse specie originarie del Mar Rosso, divenuto un’importante via nella colonizzazione del nostro mare. Le ultime stime ritengono che attualmente siano oltre 300 le specie marine provenienti dal Mar Rosso che hanno colonizzato il Mediterraneo. L’unico freno alla tropicalizzazione, e sembra un paradosso, sarà l’inquinamento.

Un fotosub sembra sorreggere un pesce palla

L’inquinamento come barriera
Riscaldamento delle acque e inquinamento si giocheranno il futuro del Mediterraneo, mentre assistiamo già alla trasformazione di alghe nostrane che rispondono positivamente ai nuovi stimoli ambientali. Ci sono poi specie già tipiche del Mediterraneo, ma allocate in zone ristrette e meridionali che si possono trovare sempre più numerose anche nelle zone settentrionali. Da tempo è stata osservata la presenza di pesci provenienti dall’area subtropicale del Mar Rosso, ma anche dall’Atlantico meridionale, trasmigrati attraverso il Canale di Suez e lo Stretto di Gibilterra. Sono presenze che da sporadiche sono divenute in breve piuttosto frequenti, con specie che ormai vengono considerate stabilmente insidiate nei nostri mari. Un’indagine condotta con l’aiuto dei fotografi subacquei ha rivelato che la presenza colonizzatrice dei barracuda, ad esempio, è distribuita in maniera conforme in tutto il Mediterraneo, con esclusione soltanto del Golfo di Trieste che, grazie alle basse temperature invernali, ai forti venti freddi e alla salinità molto variabile dovuta agli apporti fluviali, non crea l’habitat ideale.

Alla ricerca delle meraviglie del Mediterrano da raccontare con uno scatto

Dal pesce pappagallo alla donzella
Lo Sparisoma cretense, un piccolo pesce pappagallo di origine subtropicale atlantica che sino a qualche anno fa si incontrava solamente lungo le coste della Sicilia, ora lo si può vedere molto frequentemente anche nelle acque dell’arcipelago toscano. Lo stesso discorso vale anche per un caratteristico pesce palla, lo Sphaeroides pachygaster, originario anch’esso dell’Atlantico subtropicale. Fu segnalato nel Mediterraneo per la prima volta nel 1985, oggi viene a trovarsi sempre più spesso dalle reti dei pescatori, così come succede con alcune specie di ricciole che normalmente ritroviamo nelle catene dei supermercati. Un ulteriore esempio eclatante di pesce colonizzatore, particolarmente caro ai fotosub che l’hanno scoperto nel corso delle gare che facevano alla ricerca di immagini da proporre alle giurie, è il Thalassoma pavo, la donzella pavonina, un pesce elegantemente colorato, dai riflessi vivaci, facilmente avvicinabile, originario del Mar Rosso. Nel corso del decennio, questa simpatica donzella ha letteralmente invaso le coste italiane, tanto da essere ormai considerata comunissima, prediligendo i fondali rocciosi, puliti e poco profondi.

Monitorare la situazione
La mutazione climatica dell’acqua sta anche favorendo alcuni invertebrati, soprattutto i madreporari. Infatti, le alte temperature favoriscono la deposizione dei carbonati e diverse specie che negli anni scorsi erano state riscontrate sui fondali delle Isole Pontine, ora si possono notare lungo le coste sarde, toscane e quelle croate dell’Adriatico. Quello che ci riserva il futuro a proposito degli equilibri florofaunistici del Mediterraneo, non è ancora chiaro del tutto. L’attenzione del mondo della ricerca nel campo della biologia marina insiste, in particolar modo, sul monitoraggio dell’evolversi della situazione. Un’evoluzione mirata dal punto di vista dei parametri climatologici, che tracciano conseguentemente quelli fisico-chimici e quelli biologici. Soprattutto quelli biologici interessano per la loro immediatezza e per lo strettissimo rapporto che questi hanno con il mutare del clima. La dinamica della popolazione degli organismi e delle specie sensibili alle variazioni positive della temperatura del mare, rende possibile l’utilizzo di questi come dei veri bioindicatori. Infatti, la reazione alle variazioni ambientali, come l’aumento degli individui stessi, le loro reazioni morfologiche e la stessa biomassa, servono a fornire indicazioni sulla qualità di un ambiente e sulle dinamiche di un eventuale cambiamento in atto. Appunto, come quello che sta avvenendo nel nostro Mediterraneo.

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