Milan Radović: «Questo Rijeka deve fare di più»

Chiacchierata con l’ex bomber, autore del gol della vittoria nella finale di Coppa del 1978 contro il Trepča

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Milan Radović: «Questo Rijeka deve fare di più»

Avramović, Makin, Hrstić, Cukrov, Radin, Juričić, Durkalić, Radović, Kustudić, Ružić, Desnica. Ecco, questa è per molti addetti ai lavori e per quasi tutti coloro che hanno il Rijeka nel cuore la migliore formazione di tutti i tempi. I tifosi che sono un po’ avanti con gli anni la sanno recitare a memoria anche se svegliati in piena notte. Una squadra di fenomeni, che portò nella bacheca di Cantrida i primi trofei di prestigio, ovvero le due Coppe jugoslave consecutive nel 1978 e nel 1979. La prima volta non si scorda mai e nella finalissima di Belgrado il Rijeka superò per 2-1 il Trepča grazie a un gol di Milan Radović una sessantina di secondi dopo l’inizio del primo tempo supplementare. Il secondo trofeo fu vinto contro il Partizan di Belgrado (2-1 e 0-0) Abbiamo incontrato l’ex bomber per una chiacchierata in quello che è considerato il vero sport bar nel centro di Fiume, ovvero il “Caffé 1” gestito dall’ex portiere Mauro Ravnich, pure lui una leggenda del Rijeka. “Il gol in finale? Ricordo nel dettaglio lo sviluppo dell’azione, Makin che con un lancio in profondità mi pesca al limite dei sedici, io che mi accorgo dell’uscita del portiere Mutibarić e insacco di punta. Ammetto però di non averlo mai rivisto quel gol…”.

 

Un signor attaccante

Ma chi è Milan Radović, autore di 56 gol in 123 partite con la maglia del Rijeka nel periodo tra il 1975 e il 1981? La domanda non la rivolgiamo però al diretto interessato, sarebbe troppo soggettivo, ma al collega Andrea Marsanich, un intenditore del Rijeka di una volta. “Era uno splendido attaccante, anche se quando arrivò al Rijeka mi sembrava come un diamante grezzo, da lavorare. Segnava tantissimo – ci ha detto Marsanich –. Era cocciuto, nel senso positivo della parola, nell’inseguire i portieri in attesa di uno stop sbagliato, di un rinvio maldestro o di un errore qualsiasi. In campo era sempre concentrato, capiva e intuiva dove andava la palla, non era alto bensì un rapace d’area di rigore. Per certi versi ricordava il bomber tedesco Gerd Müller. E poi, non dimentichiamolo, quello era il migliore Rijeka della storia…”.

Milan Radović con Mauro Ravnich, altra leggenda del calcio fiumano

«Il titolo? Molto difficile»

Con Radović la nostra chiacchierata inizia affrontando i temi d’attualità. Il Rijeka d’oggi… “Vista la rosa a disposizione il Rijeka dovrebbe giocare meglio e soprattutto imporre la propria legge a Rujevica. E qui non penso a un gioco sporco e violento, ma un fallo degno di tale nome qua e là andrebbe fatto. Il titolo? Difficilissimo centrare l’impresa. La Dinamo resta sempre la principale favorita, ma attenzione anche all’Hajduk. Hanno operato bene sul mercato, la squadra vince e a Spalato hanno ritrovato l’atmosfera giusta. Rijeka e Osijek si equivalgono, però non stanno esprimendo un gran calcio”.

Un no diventato sì

Milan Radović arrivò al Rijeka dal Radnički di Pirot, dove era stato capocannoniere della squadra. Era la stagione 1976-77 e sul tavolo gli arrivarono numerose offerte, tra le quali quella del Rijeka, ma anche di altre squadre blasonate. C’era soltanto l’imbarazzo della scelta. “Senza falsa modestia ammetto che ero molto richiesto sul mercato. All’epoca ero pure nazionale olimpico e segnavo parecchio. In poche parole avevo raggiunto un accordo con il Radnički per altri due anni e quindi, per non mettere in imbarazzo il mio procuratore, decisi di recarmi di persona a Fiume per ringraziare per l’interessamento e declinare l’offerta. Non ero stato mai da queste parti e arrivai a Cantrida con un taxi da Pola. Ad attendermi c’era il presidente Ljubo Španjol assieme ad alcuni dirigenti. Ai quali disse di portarmi a visitare Abbazia, quindi in albergo e in serata allo stadio. Al mio arrivo s’accesero i riflettori e rimasi ammaliato dallo spettacolo. Era lo stadio più bello del mondo. E decisi di rimanere al Rijeka. È stata una scelta di vita e sono contento di averla fatta. Fiume è una città bellissima e sono tornato a viverci dopo l’esperienza in Francia. Oggi risiedo a Laurana”.

La banda d’ottoni di Laurana

Parlando di Laurana, la banda d’ottoni locale è da sempre il simbolo di riconoscimento del Rijeka e dei tifosi al punto da dettare i ritmi allo stadio: prima lo faceva a Cantrida, oggi a Rujevica. “Il nostro è un legame profondo, indissolubile. All’epoca andavamo in ritiro a Ica per preparare la partita e prima della partenza per lo stadio i ‘lauranesi” si presentavano in albergo intonando alcune canzoni. A volte abbiamo anche rischiato di far tardi perché non c’era verso di salire sul pullman senza l’augurio musicale per la squadra”.

L’esperienza francese

A Fiume, da calciatore, Radović rimase cinque anni, fino al 1981 quando si trasferì in Francia nel Brest, dove concluse la carriera nel 1984. Un trasferimento realizzato grazie al titolo di capocannoniere del campionato (26 gol) e anche alla raccomandazione di Drago Vabec, che all’epoca militava nella formazione francese. Da buon principio le cose andarono malissimo. “Nel primo anno di permanenza la caviglia fece crac, si ruppe praticamente tutto. Ero nel momento migliore della carriera e da lì in poi inizio il mio declino”. Infatti, l’attaccante disputò in tutto 53 partite segnando 13 gol.

Amici per la pelle

Quel Rijeka di Radović non vinse mai il campionato, al massimo chiuse due volte al quinto posto. “Un po’ strano, però devo dire che il Rijeka era l’unica squadra ad avere uno score positivo con le cosiddette grandi quattro”. All’ex bomber preme di sottolineare un altro aspetto di quel gruppo. “Eravamo giunti al Rijeka da tutte le parti e siamo diventati amici per la pelle. E lo siamo anche oggi. Siamo tutti in contatto e ogni occasione è buona per una rimpatriata”. Potenza di un club e di una città.

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