Storici e politici a confronto per non scordare il passato

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Storici e politici a confronto per non scordare il passato

Si è tenuto nell’ambito del Senato della Repubblica italiana l’interessante convegno sulle terre istriane e dalmate, promosso dalla Fondazione Magna Carta presieduta dal sen. Gaetano Quagliarello. Un evento reso possibile grazie alla collaborazione offerta dal senatore Carlo Amedeo Giovanardi, che vi ha partecipato in veste di presidente dell’Associazione filatelica “Fiume 1918-2018”. L’idea del convegno è nata qualche tempo fa, ha esordito Giovanardi, per ribadire i valori del dialogo e della cooperazione culturale tra le nazioni che orbitano nell’area dell’Adriatico nordorientale: Italia, Slovenia e Croazia. Al momento attuale lo strascico di polemiche derivante da alcune dichiarazioni, rilasciate alla foiba di Basovizza il 10 febbraio scorso dal presidente del Parlamento europeo on. Antonio Tajani, non hanno più avuto alcun seguito rilevante; anche perché è stato subito chiarito dallo stesso Tajani, ha precisato Giovanardi, che quel riferimento all’italianità dell’Istria e della Dalmazia non voleva assolutamente mettere in questione la sovranità legittima su quei territori della Slovenia e della Croazia, ma ricordare soltanto una secolare presenza dell’elemento italiano.
Giovanardi, dopo aver portato i saluti beneaugurali al convegno dell’Ambasciatore croato in Italia Jasen Mesić, ha sottolineato, riferendosi ad alcuni gruppi di estrema destra, come non giovi a nessuno riproporre vecchi schemi ideologici nazionalistici che, unitamente a questioni economiche, hanno portato allo scontro i popoli europei in ben due conflitti mondiali. L’idea di un’Europa quale unione democratica di più Paesi può funzionare, quando esiste fra le nazioni una reciproca e ampia disponibilità a dialogare e a confrontarsi. Nel corso della prima metà del Novecento il prezzo pagato dagli italiani delle terre istriane e dalmate con un esodo epocale è stato veramente molto alto. Se da una parte l’esodo giuliano-dalmata fu provocato dalla politica del regime comunista jugoslavo, ha continuato Giovanardi, “non bisogna dimenticare che durante la Seconda guerra mondiale fu l’Italia di Mussolini a invadere la Jugoslavia monarchica. Gli scontri nazionali tra gli italiani e gli jugoslavi, deflagrando in maniera drammatica e dolorosa in un conflitto bellico, hanno lasciato un lungo strascico di guerre, eccidi, esodi e violenze che devono fungere da monito alle giovani generazioni”.

Complessità storica

La parola è poi passata, come da programma, al prof. Egidio Ivetic (Dipartimento Scienze storiche dell’Università di Padova), di origini istriane, il quale ha esposto in vera sintesi la complessità etnografica del territorio giuliano, con particolare riferimento alle zone di Trieste, di Gorizia e dell’Istria. Nel corso della loro lunga storia questi territori si sono visti popolarsi e ripopolarsi con gente proveniente sia dalla penisola italiana sia da quella balcanica che dal bacino subdanubiano. Una terra, quella istriana, che ha conosciuto nella seconda metà dell’Ottocento, l’evolversi di movimenti irredentisti italiani e croati, i quali hanno assunto connotati di stampo nazionalistico nella prima metà del Novecento. Prima di quel periodo nell’Istria dei secoli passati non si registrano, secondo Ivetic, particolari lotte o violenze tra i vari gruppi etnici che la popolavano. Poco valorizzata, tuttora, in Croazia è la complessità storica dell’eredità veneziana in Istria e Dalmazia, che aiuterebbe a sciogliere dei nodi interpretativi molto importanti. Infine, per Ivetic, sarebbe di rilievo, creare occasioni di dialogo tra gli studiosi italiani, croati, sloveni, montenegrini e che potrebbero stimolare la promozione di nuove ricerche storiche, più libere da certe interpretazioni influenzate da stereotipi di carattere nazionalpatriottico.

Una politica nefasta

Dopo Ivetic è intervenuto il prof. Luciano Monzali (Docente di storia delle relazioni internazionali dell’Università di Bari), noto anche per i suoi apprezzati studi sulla Dalmazia, il quale invece ha voluto al principio ricordare come l’Italia, dopo la Prima guerra mondiale, avesse ottenuto cospicui ampliamenti territoriali in Adriatico orientale, che sono stati compromessi dall’esito nefasto della politica di espansione militare in Jugoslavia voluta da Mussolini durante la Seconda guerra mondiale.
“Gli errori del fascismo sono stati poi pagati dalle popolazioni italiane dell’Istria di Fiume e della Dalmazia, che hanno conosciuto l’avvento e la mano pesante del regime comunista jugoslavo. Le foibe e l’esodo degli italiani sono stati la funesta conseguenza della jugoslavizzazione portata avanti con metodi antidemocratici e violenti. A soffrire i metodi del comunismo jugoslavo non furono solo gli italiani – ha aggiunto Monzali – ma anche decine di migliaia di sloveni e croati, in genere non comunisti, che furono sterminati per essere stati dalla parte dei tedeschi e molti di essi seguirono le vie dell’esilio.

A suon di compromessi

Dopo l’intervento di Monzali è intervenuto il prof. Paolo Simoncelli (docente di Storia Moderna dell’Università La Sapienza di Roma) che ha posto in luce alcuni aspetti controversi riguardanti l’azione politica dei governi italiani nelle questioni della frontiera orientale. Una politica portata avanti a colpi di compromessi, senza mai veramente rapportarsi con le esigenze della popolazione giuliano-dalmata. A questo riguardo, Simoncelli, ha citato le modalità con le quali il governo italiano portò avanti la stipula del Trattato di Osimo nel 1975, con il quale fu definitivamente regolata l’appartenenza statale della zona B del Territorio libero di Trieste a favore della Jugoslavia, ma senza ottenere delle vere contropartite per la parte italiana.
Dopo Simoncelli è stata la volta del prof. Giovanni Stelli, presidente della Società di Studi Fiumani, il quale è tornato sul tema del nazionalismo e le diverse concezioni esistenti tra il mondo italiano e quello croato. Fiume è il caso di una città plurietnica, in cui l’influenza irredentistica e poi nazionalista prende piede più tardi rispetto a Trieste, all’Istria o alla Dalmazia. Fiume, grazie a una solida tradizione politica autonomista, che concedeva, equo spazio alle varie esigenze della sua popolazione, rappresenta a tutt’oggi un interessante laboratorio europeo di convivenza possibile, che purtroppo è stato letteralmente spazzato via dagli eventi politici e bellici della prima metà del Novecento. Stelli ha poi preso in considerazione alcune particolarità “del nazionalismo croato a Fiume”, citando gli autori croati Ivan Dežman e Franjo Rački. Un nazionalismo. quello croato. che si basava sulla concezione di “sangue e suolo” o etnicista e che, tuttora, “si ravvisa in alcune opere di storici croati o sloveni contemporanei e che ha avuto sfogo deteriore nell’ultima guerra in ex Jugoslavia”. La complessità della comunità fiumana, frutto di matrimoni misti e di interazioni linguistiche e socioculturali tra più etnie (italiana, croata, ungherese, tedesca), non può certamente esser compresa con le categorie ristrette imposte dai teorici del nazionalismo sia croato sia italiano. L’appartenenza nazionale a un gruppo etnico piuttosto che a un altro, a Fiume era un fatto di scelta autonoma personale. Un processo, si direbbe, di acculturazione naturale che avveniva non per imposizione, ma per consuetudine. Gli eventi drammatici del Novecento cambieranno radicalmente la composizione etnica e culturale di Fiume, ma dalla Fiume di una volta si possono ancora trarre importanti insegnamenti per il futuro.

Ricerca storica

Il senatore Gaetano Quagliarello, sensibile ai temi dell’Europa ha ringraziato gli studiosi intervenuti per aver animato con una corretta impostazione storica un dibattitto molto complesso, concernente il tema delle identità culturali e nazionali in un area, per definizione, molto complessa. Egli ha poi voluto sottolineare alcuni punti legati alla politica estera italiana, fortemente influenzata da una forte divergenza di visioni e strategie, esistente nei due maggiori partiti nati nel secondo dopoguerra: la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Un altro punto messo in rilievo da Quagliarello è stata la questione della ricerca storica su questi avvenimenti e anche le polemiche che provoca a tutt’oggi la legge sul negazionismo storico da lui, insieme a Giovanardi e pochi altri, fortemente osteggiata.

Diritti negati

A concludere la lunga mattinata di interventi veramente apprezzabili degli studiosi invitati, è stato il presidente di Federesuli, Antonio Ballarin, il quale ribadendo la complessità storica e della realtà etnica e linguistica delle terre istriane e dalmate così ben esposta nei vari interventi, ha inteso puntare il dito sui diritti negati agli oltre 300.000 esuli giuliano-dalmati. Un popolo costretto a vivere lunghi anni nei campi profughi, relegato negli angoli della memoria di un Paese distratto e per molti versi cinico. Un’Italia in cui, nonostante sia stata introdotta la legge sul Giorno del Ricordo nel 2004, i crimini delle foibe vengono spesso e volentieri messi in discussione, se non addirittura negati da gruppi di estrema sinistra, ma anche da diverse sezioni dell’ANPI. Certamente l’intenzione dell’on Tajani, ha voluto aggiungere Ballarin, non era quella che gli è stata attribuita dalla controparte slovena e croata o da settori dell’estrema sinistra italiana: questo va detto a onore della verità. Ogni occasione è buona, per coloro che intendono minimizzare i torti subiti dai giuliano-dalmati nel secondo dopoguerra e in tempo di pace. Un’ingiustizia veramente grande, ha proseguito Ballarin, quella subita dai giuliano-dalmati, non solo con la privazione della vita o la cacciata dalle proprie terre da parte del regime comunista jugoslavo, ma anche con il confino nei campi profughi e l’appropriazione indebita dei beni degli esuli, cosiddetti “beni abbandonati”, con i quali l’Italia e la Jugoslavia regolarono il contezioso dei danni di guerra. Il risarcimento promesso non è stato ancora perfezionato.

Dialogo culturale

Nonostante questa serie di ingiustizie e i diritti negati, il popolo dell’esodo si è ricostruito una vita dignitosa, ha fondato associazioni, alcune delle quali, si sono attivate per stabilire un dialogo culturale con la Croazia e la Slovenia e contribuire al processo di unificazione europea ad est. Tra esse si distingue l’opera svolta dalla Società di Studi Fiumani. Al concerto dell’amicizia tenutosi a Trieste il 13 luglio 2010, diretto da Riccardo Muti, alla presenza dei tre presidenti di Italia, Croazia e Slovenia, la Federesuli con i suoi massimi rappresentanti era ben presente; ed è a tale spirito di collaborazione e pace che ancora, nonostante tutto, essa si richiama e risponde a ogni disputa di intonazione nazionalistica, che ancora può fuoriuscire circa il destino politico delle terre istriane, fiumane e dalmate. Questo va definitivamente detto a onore della verità.

Il convegno, andato in onda su Radio Radicale, si è concluso con una proposta di futuri appuntamenti sul tema. Tra le presenze in sala, il ministro plenipotenziario Francesco Saverio de Luigi, la presidente della Società dalmata di storia patria prof. Rita Tolomeo, la storica Giuseppina Mellace, l’Ambasciatore a riposo Egone Ratzemberger, il prof. Luigi Guiducci dell’Università Lateranense.

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