Razionalità e coerenza in materia tributaria

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Razionalità e coerenza in materia tributaria

FIUME | Un viaggio attraverso i principi costituzionali vigenti in Italia in materia di diritto tributario. A proporlo, e condurlo, è stato il prof. Dario Stevanato dell’Università degli Studi di Trieste, che ieri si è rivolto ai partecipanti alla quinta edizione del corso teorico-pratico Introduzione allo studio del diritto italiano organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza di Fiume in collaborazione con il Consolato generale d’Italia e l’Unione Italiana. “Il prof. Stevanato è un giurista e un economista. Ordinario di diritto tributario all’Università di Trieste è autore di molti libri e pubblicazioni molto apprezzate. Per me e per la Facoltà di Giurisprudenza è un piacere avere la possibilità di introdurre la sua lezione perché sicuramente offrira spunti utili, ma anche perché la sua presenza a Fiume rafforza ulteriormente la collaborazione scientifica con l’Università di Trieste che abbiamo avviato parecchi anni fa con ottimi risultati”, ha detto la prof.ssa Sandra Winkler.

I punti fondamentali

Nell’illustrare i fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria Stevanato ha infatti ripercorso i passaggi storici attraverso i quali si è sviluppata la tassazione, per soffermarsi poi sui punti principali fissati a riguardo dalla Costituzione italiana. Un’impostazione dettata dal fatto che la Legge fondamentale del 1947 non interviene in un vuoto normativo bensì s’innesta sullo Statuto Albertino, ovvero sullo Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia del 1848, e sulle esperienze costituzionali francesi ed inglesi. Si è appreso così che due sono i punti principali. Il primo è inserito nell’art. 23 della Costituzione e stabilisce che nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base a una legge. Il secondo presenta due aspetti, entrambi espressi nell’art. 53, ovvero il principio di capacità contributiva e quello della progressività della tassazione, che si riferisce però a tutto il sistema tributario assumendo così un significato politico-sociale alla luce del principio di ridistribuzione.

Le esperienze storiche

“L’art. 23 è una norma cardine sulle fonti di diritto tributario”, ha puntualizzato il professore. “Quest’articolo esprime la prerogativa parlamentare che trae origine nel Medio Evo, epoca in cui la resistenza delle classi assoggettate ai tributi costrinse i sovrani a coinvolgere i contribuenti nel processo deliberativo. È da questo confronto con il sovrano medievale prima e con lo Stato assoluto poi che nascono ad esempio la Magna Charta Libertatum del 1215 o il Bill of Rights del 1689”, ha detto Stevanato. Rimanendo in ambito storico va detto che anche l’esperienza francese precedente alla Rivoluzione e quella statunitense si legano a questioni inerenti alle tasse.

Il ruolo del Parlamento

“Lo slogan ‘No taxation without representation’ rivela lo stretto nesso tra imposte e consenso. Un principio che troviamo nelle Costituzioni di inizio ‘800, nella tradizione inglese, ma anche nell’articolo 30 dello Statuto Albertino che stabilisce ‘I tributi devono essere approvati dalle Camere e sanzionati dal Re’. Si tratta sostanzialmente – ha spiegato Stevanato – dell’esplicazione del principio di autoimposizione che i padri costituenti hanno ripreso ispirandosi alla necessità di assicurare protezione alla posizione dei privati. Questa è pertanto una norma con funzione di garanzia dall’arbitrio della Pubblica amministrazione, dal governo”. L’unico titolato a imporre una prestazione patrimoniale o personale è dunque il Parlamento, l’organo rappresentativo di tutti. Si tratta però di una riserva di legge relativa. È sufficiente infatti che la legge individui gli aspetti fondamentali della disciplina (il presupposto impositivo, i soggetti passivi, la base imponibile e l’aliquota), mentre sugli aspetti secondari possono intervenire regolamenti approvati dal governo, decreti ministeriali o altri atti generali.

Uguaglianza tributaria

“Tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione alla loro capacità contributiva”. Lo stabilisce l’art. 53 della Costituzione italiana dal quale deriva l’universalità dell’obbligo tributario (riguarda tutti, cittadini e stranieri laddove si soddisfino le condizioni previste) e l’applicazione del principio della capacità contribuitiva. Quest’ultimo concetto si distingue da quello di capacità economica (che troviamo ad esempio nella Costituzione croata) e viene scelto perché – così Stevanato – “si ritiene che vi sia inclusa la logica del minimo vitale, ovvero dell’esenzione del reddito minimo”. Si tratta dunque di una formula ingegnosa e sofisticata, ma anche ambigua; tanto che per alcuni studiosi “è una scatola vuota” e il legislatore è libero di stabilirne i contenuti. Infine, sempre nell’art. 53 viene stabilito il principio della progressività che fa da corollario alla capacità contributiva perché, a livello di sistema e non di singolo tributo, introduce il concetto di “utilità marginale decrescente del reddito”. “Questo in funzione del fatto che l’uguaglianza tributaria si misura sui diversi sacrifici fatti dai singoli contribuenti a favore della ridistribuzione e delle ragioni politico-sociali”.

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