Ci cureranno i medici dell’Est

Cattiva programmazione, pensionamenti ed espatri del personale medico mettono a dura prova la tenuta del sistema sanitario di base. Il problema è evidente in Croazia, ma anche in Italia e in Slovenia

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Ci cureranno i medici dell’Est

In Croazia l’età media dei medici è di 55 anni e pertanto nei prossimi cinque anni si prevede che il numero di specialisti in Medicina generale scenderà di 500 unità, ovvero che tanti saranno i medici che andranno in pensione. Un numero che determinerà un vero e proprio vuoto nel settore del cosiddetto servizio sanitario di base in quanto stando alle previsioni odierne già ora, secondo i dati diffusi dalla Rete del servizio sanitario pubblico, mancano ben 186 team di medicina familiare e altri 180 operano senza però poter contare su un medico. Un fenomeno quest’ultimo determinato dalla prassi ai sensi della quale in caso di pensionamento del medico titolare l’ambulatorio che operava in regime di concessione viene rilevato dalle Case della salute che assicurano il personale a seconda delle possibilità organizzative e quindi in alcuni casi lo stesso medico “copre” più ambulatori assicurando la sua presenza soltanto alcuni giorni della settimana.

Un vuoto da colmare

Considerato che la matematica non è un’opinione, tra cinque anni, dunque il vuoto potrebbe essere di portata tutt’altro che insignificante e la carenza di medici specialisti nella rete di medicina di base potrebbe toccare quota 866. Un potenziale vuoto che sarà difficile colmare in quanto le cause risiederebbero nel numero troppo basso di specializzazioni previste e nello scarso interesse dei giovani medici che trovano “poco attraente” la specializzazione in medicina di base o familiare, che dura quattro anni. Inoltre, va tenuto conto anche che nel luglio del 2020 entrerà in vigore la Direttiva UE ai sensi della quale negli ambulatori di medicina familiare potranno essere impiegati soltanto medici specialisti in questo ramo della medicina e va pertanto tenuto conto del fatto che attualmente su circa 2.330 medici impiegati negli ambulatori familiari soltanto circa 1.100 hanno completato la formazione prevista ottenendo il titolo di medico specialista. Sotto quest’aspetto, comunque, assicurano gli esperti, si potrà cercare rimedio proseguendo con la prassi di assumere medici neolaureati che hanno ottenuto la licenza per lo svolgimento della professione, affiancando però loro un mentore che continuerà ad essere il titolare dell’ambulatorio.

Ambulatori sovraffollati

“La carenza di medici è un fenomeno che incide negativamente in tutti i settori coperti dal sistema sanitario pubblico di base. Inoltre, diventa sempre più difficile trovare anche infermiere e medici disposti a fare da supplenti nei periodi di ferie o di malattia del titolare dell’ambulatorio”, fa presente la presidente del Coordinamento croato di medicina familiare (KoHOM), Vikica Krolo, che avverte: “Attualmente mancano 50 pediatri ed entro il 2021 possiamo attenderci il pensionamento di ulteriori 85. Quanto invece ai ginecologi al momento ne mancano 79 e nei prossimi due anni potrebbero andare in pensione altri 47”.
Una situazione che, numeri alla mano, chiarisce il perché di alcune situazioni di sovraffollamento degli ambulatori. “La carenza di medici e la richiesta di salute sempre più grande da parte dei cittadini, dovuta all’invecchiamento della popolazione, all’aumento dell’incidenza delle malattie croniche e ad altre cause impongono l’innalzamento della norma. Abbiamo così situazioni in cui alcuni team di medicina familiare coprono un numero di cittadini ben più alto del limite massimo stabilito a 2.250 pazienti, pediatri che seguono più di 1.190 bambini di età prescolare come previsto dallo standard e ginecologi con più di 9.000 donne iscritte nell’ambulatorio”, spiega la Krolo, precisando che in Croazia la media delle visite giornaliere negli ambulatori di medicina familiare arriva a toccare quota 80, senza liste d’attesa. “Nei Paesi UE la prassi è di 25-35 visite al giorno, tra le quali rientrano al massimo cinque fatte su pazienti che non hanno concordato la visita in anticipo”, conclude la Krolo.

Politiche formative

Ma come si diceva in apertura il sintagma “nei Paesi UE” rischia di dare una visione distorta della situazione reale. Secondo le proiezioni dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane (basate sui dati del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Miur e del Ministero della Salute) la situazione in Italia non appare essere significativamente diversa da quella in Croazia. Dei 56mila medici che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) perderà nei prossimi 15 anni saranno rimpiazzati solo il 75 p.c., cioè 42mila. Questo drammatico dato si avvererà considerato l’attuale numero di posti per i corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione messi a bando ogni anno. Nell’ipotesi che nel prossimo anno accademico 2019/2020 siano immatricolati 10mila studenti, si può prevedere che di questi circa 8.700 saranno laureati tra 6 anni: considerando poi le generazioni successive, in 10 anni in Italia ci saranno circa 49mila nuovi laureati in medicina e chirurgia. In conseguenza di quanto detto, è possibile prevedere che gli specializzati tra 15 anni saranno circa 42mila. “Questo scenario, determinatosi nel corso di anni in cui non è stata fatta una programmazione adeguata da parte delle autorità competenti, rischia di compromettere le basi portanti del SSN”, afferma Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, che aggiunge: “In un mondo in cui la carenza di medici e di personale sanitario sta diventando drammatica, l’Italia aggiunge la miopia di finanziare la formazione di un numero importante di giovani medici e di ‘regalarli’ poi a Paesi in grado di accoglierli a braccia aperte”. Sempre secondo le proiezioni dell’Osservatorio, per rimpiazzare i 56mila medici in 15 anni saranno necessarie 13.500 immatricolazioni ai corsi di laurea in medicina e 11mila posti di specializzazione. “Ma le Università dovranno essere attrezzate per formare circa 5mila studenti in più ogni anno”, commenta Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio.

Spesa sanitaria

“La dinamica della spesa sanitaria, a livello nazionale, nel corso degli ultimi 15 anni, è stata caratterizzata da un evidente rallentamento della crescita osservata dopo la prima metà degli anni ’90”, spiega Solipaca. La contrazione della spesa si è accentuata con l’introduzione dei Piani di rientro, attivati per arginare il crescente aumento del deficit delle Regioni. Tra le voci di bilancio maggiormente colpite dagli interventi, la spesa per personale dipendente del SSN, scesa nel 2016 al 30,6 p.c. del totale della spesa sanitaria pubblica. “Tale riduzione è stata ottenuta attraverso una forte contrazione del numero del personale dipendente, testimoniato dal turnover osservato negli ultimi anni che in alcune Regioni è arrivato al 25 p.c., cioè su 100 pensionati ci sono state solo 25 nuove assunzioni”, aggiunge Solipaca. La riduzione del personale medico è assai preoccupante in quanto si accompagna a un progressivo invecchiamento. Infatti, nel 2016, quasi il 52 p.c. del personale medico aveva oltre 55 anni, media che saliva al 61 p.c. tra gli uomini, mentre tra le donne si attestava al 38 p.c. Tra i 50 e i 59 anni la quota dei medici si attestava al 41 p.c., tra i 40 e i 49 anni a circa il 23 p.c. “La prospettiva futura è allarmante – affermano Ricciardi e Solipaca –, in quanto, nel 2016, i medici con più di 55 anni erano oltre 56mila, quindi nel corso dei prossimi 15 anni, a legislazione vigente e al netto di uscite anticipate legate alla riforma nota come ‘quota 100’, ci si attende un’uscita per pensionamento di pari entità.

La situazione in Slovenia

Il problema è evidente anche in Slovenia, dove i medici di base minacciano dimissioni collettive. Nel tentativo di trovare una soluzione il Ministero della Salute aveva proposto di abbassare il tetto dei pazienti per ambulatorio da oltre 2.400 a 1.895 persone. Ipotesi bocciata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione sanitaria in quanto la manovra imporrebbe di impiegare circa 300 medici aggiuntivi, che al momento non sono reperibili.

Le specializzazioni approvate

Stando ai dati del Ministero croato della Sanità dal 2016 ad oggi sono stati messi a bando e approvati 314 corsi di specializzazione in medicina familiare ad altrettanti medici e 123 hanno già intrapreso il percorso formativo. In pediatria sono stati approvati 105 corsi di specializzazione (45 sono in corso) mentre delle 90 specializzazioni in ginecologia ne sono in corso 36. “Il Ministero non dispone dei dati sulle assunzioni a seguito dei Bandi. Nell’ambito della stesura del piano quinquennale di formazione specialistica, in applicazione delle norme di legge si procederà con la raccolta dei dati inerenti alle necessità e ai posti vacanti rimasti”.

La situazione in Veneto

L’Uls 2 di Treviso contrattualizzerà medici provenienti dalla Romania. “È una sconfitta, comunque un segno dei tempi”, commenta il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. “Ha fatto bene il direttore dell’Uls Francesco Benazzi – prosegue – a provvedere in questo modo. In Veneto mancano 300 medici”. Secondo Zaia bisogna cambiare la formazione a livello universitario. “Io sono per eliminare il numero chiuso e insisto anche – ha concluso – perché si riveda l’organizzazione delle scuole di specializzazione”. Sulla vicenda è intervenuto anche il Sindacato dei medici (Snami). Il presidente nazionale Angelo Testa ha commentato: “Il gravissimo problema è che la politica italiana ha mal gestito nel recente passato il reale fabbisogno di medici creando condizioni di lavoro tali da allontanare i migliori professionisti nazionali”. “Purtroppo c’è il rischio concreto del riperpetuarsi in sanità del percorso che l’Italia vive per le attività produttive trasferite all’estero per aumentare i profitti. Sarebbe una sorta di delocalizzazione al contrario in cui per risparmiare si importano camici bianchi low cost, che costano sicuramente meno e si accontentano di un salario basso, abituati al basso tenore di vita nei Paesi dell’est”, aggiunge Domenico Salvago, vicepresidente nazionale Snami.

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