Declino e tramonto dell’Europa?

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Declino e tramonto dell’Europa?

Nell’editoriale de “Il Sole 24 Ore” del 21 ottobre, Matrimonio Italia-UE: nuova casa per farlo rinascere, Sergio Fabbrini invitava il governo di Roma a superare la visione sovranista, ricordando quali e quanti vantaggi il nostro stato aveva ottenuto dalla partecipazione all’UE, di cui era stato tra i promotori, e Bruxelles a ripensare l’impostazione dell’Unione, negli ultimi tempi troppo condizionata da una concezione burocratica e concentrata quasi esclusivamente sulle tematiche finanziarie. Avendo presente tale situazione, l’Istituto di scienze sociali “Niccolò Rezzara” di Vicenza e l’Istituto per gli Incontri culturali mitteleuropei di Gorizia il 18-19 ottobre hanno organizzato nel capoluogo isontino – sviluppando una collaborazione avviata dal 2016 e di cui s’è già riferito a suo tempo in questa sede –, il I Forum Europa della Cattedra Rezzara Mitteleuropea, Costruire l’Europa dai territori, prima parte del progetto ICM 2018 Lo “spirito di Aquileia” tra Mitteleuropa e Mediterraneo, la cui seconda parte verrà trattata nel convegno mitteleuropeo, sempre a Gorizia, del 22-23 novembre. “Spirito di Aquileia” perché quello che oggi è un modesto comune della Bassa friulana per secoli ha svolto un ruolo di primaria importanza quale mediatore tra civiltà diverse, come illustrato in una delle relazioni.

Il convegno, strutturato in tre sedute e concluso da una visita alle basiliche di Aquileia e di Grado, s’è articolato in una prolusione a tre voci e in dieci relazioni, dovute a qualificati studiosi italiani, austriaci, sloveni e magiari, molti dei quali attivi in aree di frontiera, che hanno affrontato in una prospettiva originale, dal basso e dalla periferia, l’attuale crisi europea, discutendone i possibili rimedi, cercando di non restare su un piano meramente conoscitivo, bensì operativo, avendo presente, come ricordato nel dibattito conclusivo, il monito di Prezzolini, dalla “Voce”, che il vero intellettuale non doveva limitarsi a studiare e spiegare la realtà, bensì impegnarsi per incidervi concretamente, modificandola e trasformandola. E proprio questa è stata l’impostazione metodologica del convegno, come evidente sin dai tre interventi propedeutici, nel primo dei quali mons. Giuseppe Dal Ferro, presidente del “Rezzara”, ha denunciato l’attuale onda sovranista, che connota buona parte dell’UE, cui si deve reagire operando a partire dai territori, dalle loro specifiche esigenze, coinvolgendo attivamente le rispettive popolazioni in un processo di ricostruzione dal basso del progetto europeo, di cui esse si sentano effettivamente partecipi e protagoniste, mentre Michele D’Avino ha illustrato la funzione dei territori di confine nello sviluppo culturale attraverso il dialogo transfrontaliero e il superamento delle antiche barriere nazionali tramite la cooperazione.
Il sottoscritto, invece, ha tracciato un profilo storico di Aquileia dall’antichità a oggi, documentandone il ruolo mediatore culturale, economico e religioso tra Mediterraneo ed Europa danubiana e balcanica da quando era una delle principali città dell’impero romano alle glorie medievali del patriarcato, una delle maggiori diocesi della cristianità, la cui giurisdizione s’estendeva dal Friuli all’Istria, alla Carniola e alla Carinzia, per giungere, poi, alla rilettura in chiave nazionalista della sua storia nell’età dell’irredentismo prima e del fascismo poi e, infine, alla sua valorizzazione archeologica e storica con le benemerite Settimane di studi aquileiesi avviate nel 1966. E in relazione al ruolo sovranazionale di Aquileia anche sul versante religioso “Voce Isontina”, settimanale della diocesi goriziana, il 13 ottobre ha ricordato la visita alla basilica aquileiese di Paolo VI nel 1972, nella quale il pontefice ne aveva sottolineato proprio tale aspetto, il che costituisce una sorta di premessa ideale all’attuale iniziativa.

Sfide, scenari e percorsi possibili

Nella seconda sessione del convegno, presieduta, non a caso, da Claudio Cressati, presidente dell’Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia, oltre che docente di storia delle dottrine politiche nell’ateneo udinese, e dedicata alle Diversità identitarie tra conflittualità e complementarietà in società globalizzate, si sono presi in esame rispettivamente il rapporto tra l’Europa delle piccole patrie e la nuova sfida della cittadinanza planetaria (Igor Škamperle); la storia comune e la storia separata, guardando al caso carinziano (Trude Graue); le criticità e opportunità della minoranza ungherese in Slovenia (László Medgyesi); il rapporto fra identità ed appartenenza linguistica, con particolare riferimento al caso dell’Alto Adige-Sudtirol (Barbara Gross), e nazionalismi e crisi dei territori (Lucio Turra).
Nella terza e ultima parte, più propositiva e incentrata su Scenari e percorsi possibili di collaborazione e di integrazione dei territori nel quadro della nuova Europa, sono state presentate relazioni riguardanti la minoranza italiana in Istria, fattore di integrazione europea (Gaetano Benčić); esperienze scolastiche a cavallo dei tre confini tra Italia, Austria e Slovenia (Tomaž Simčič); risultati e criticità nelle esperienze di integrazione – in ispecie sul versante religioso – del Sud Tirolo (Michele Tomasi), e, da ultimo, i concetti di “civitas” e “socialitas” quali criteri per l’integrazione dei territori e dell’Europa (Giulio M. Chiodi), mentre l’intervento conclusivo, dopo un ampio dibattito sulle varie relazioni, riguardava l’attenzione ai territori quale prospettiva di rinnovamento dell’Europa (Giovanni Carrosio).
La semplice esposizione del programma del convegno fornisce già un’idea della ricchezza dei contenuti di quest’iniziativa, che, come sempre in quelle dei due istituti promotori, ha affrontato questioni di viva attualità dai più diversi punti di vista, coinvolgendo storici, sociologi, politologi, giuristi, esponenti delle minoranze ed ecclesiastici. Richiamandosi pure a quel mondo di ieri, l’impero austro-ungarico, cantato da Stefan Zweig, in cui popoli diversi, tutto sommato, erano convissuti pacificamente, nel complessivo rispetto dei loro diritti, finché la peste nazionalista non aveva sconvolto tutto, precipitando l’Europa nel baratro, gli studiosi intervenuti sono stati concordi sul da farsi per rilanciare quel progetto federativo coraggiosamente concepito nel secondo dopoguerra da De Gasperi, Schumann e Adenauer – riprendendo anche temi e motivi del Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni, del 1941 –, che al continente avrebbe donato un settantennio di pace e di sviluppo economico e sociale, messo in forse solo dalla crisi finanziaria del 2008.

Puntare sui giovani e sulla formazione

Se, come sopra rilevato, è stata più volte ribadita l’importanza di ripartire dalle periferie e dal basso, coinvolgendo attivamente i cittadini nella gestione di quel bene comune che è l’Europa unita, il cui apparato istituzionale attualmente mostra non poche crepe causa la politica neonazionalista del Gruppo di Višegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) e l’attuale sovranista italiana, oltre al caso della Brexit, sostanziale concordia è stata manifestata anche relativamente alla necessità di puntare sulla scuola per formare i giovani in prospettiva non più nazionale, bensì europea, ancora una volta riprendendo le anticipatrici proposte in merito di Stefan Zweig, che nel ventennio tra le due guerre mondiali intervenne più volte al riguardo (ora i suoi scritti in merito sono raccolti ne La patria comune del cuore, edito da Frassinelli nel 1993), sottolineando la necessità d’un insegnamento non più nazionalistico d’una storia fatta di guerre, condottieri, trattati diplomatici, bensì incentrato sullo studio della civiltà europea, di ciò che unisce e non di ciò che divide, mettendo in luce le interdipendenze e il dialogo tra i popoli europei e prospettando perfino la stesura di manuali comuni di storia.
Avendo ciò presente – senza scordare il Mazzini fondatore nel 1834 della Giovine Europa – nelle discussioni del convegno s’è fatto doveroso riferimento a quelle istituzioni scientifiche che nell’area centro-europea operano in tal senso, dal Centro di ricerche storiche di Rovigno all’Istituto Storico Italo-Germanico (ora struttura della Fondazione Bruno Kessler) di Trento, a parte lo stesso Istituto per gli Incontri culturali mitteleuropei, sorto nel 1966 proprio con l’obiettivo di superare le divisioni provocate dalla Guerra Fredda, in tal senso conseguendo risultati di prim’ordine, insistendo pure molto, e a ragione, sulla necessità di potenziare l’insegnamento delle lingue straniere, in ispecie quelle dei paesi confinanti, in ogni ordine e grado del sistema scolastico, come già a suo tempo aveva intuito l’illustre glottologo goriziano Graziadio I. Ascoli, senza trascurare l’importanza dei viaggi d’istruzione all’estero delle scolaresche – benemerito in tal senso il Progetto ErasmusPlus, una delle migliori intuizioni della classe dirigente europea –, lla cui utilità didattica e civile era già chiara nel XIX secolo, come messo in luce da Fabiana Savorgnan di Brazzà nel suo recente volume Viaggi e letteratura nell’Italia dell’Ottocento (LINT).
Dal convegno goriziano, di cui è auspicabile che gli atti siano pubblicati quanto prima e in cui tanto s’è parlato dell’importanza delle minoranze nazionali, è venuto, quindi, un evidente riconoscimento al ruolo di quella italiana in Slovenia e Croazia (evidenziato nella relazione di Benčić) di organi di stampa come “La Voce del popolo” e “Panorama”, da anni in trincea con tale obiettivo.

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