Rosanna Turcinovich Giuricin: «Il Premio Tomizza corona la mia scelta di vita»

«Spero di consegnare prossimamente alle stampe un libro che racconta l’avventura di mio padre che, diciannovenne, nel 1939 partì da Rovigno con la sua battana a remi per raggiungere Zara»

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Rosanna Turcinovich Giuricin: «Il Premio Tomizza corona la mia scelta di vita»

A coronamento di una lunga carriera giornalistica, quest’anno Rosanna Turcinovich Giuricin riceve il Premio Fulvio Tomizza, XVII edizione. Il premio, conferito dal Lions Club Trieste Europa presieduto dal dott. Ugo Gerini, va a “personalità che nel tempo si sia distinta nell’affermazione concreta degli ideali di mutua comprensione e di pacifica convivenza tra le genti della nostra terra”. Rosanna Turcinovich Giuricin ha con il suo lavoro, con la sua esperienza ed impegno sul campo ampiamente confermato la motivazione. Per alcuni decenni alla redazione della Voce del Popolo di Fiume, negli ultimi anni corrispondente da Trieste, collaboratrice di importanti testate della Regione Friuli Venezia Giulia, dirige attualmente alcune riviste e il bimestrale La Voce di Fiume, che rappresenta una delle migliori espressioni sulla carta del mondo dell’esodo.
Ha pubblicato numerosi libri, dedicati alla nostra terra e al nostro mare: “Mangiamoci l’Istria” e “Una raffica all’improvviso”, a quattro mani con Stefano De Franceschi, seguiti da “Un anno in Istria”, “E dopo semo andadi via…”, “Maddalena ha gli occhi viola” e “Occhi mediterranei”, quest’ultimo con Christophe Palomar e Dario Fertilio. Ha descritto le vicende dolorose della nostra storia in alcuni volumi “La giustizia secondo Maria” e ultimo in ordine di apparizione, “Tutto ciò che vidi. Parla Maria Pasquinelli – 1943-1945 fosse comuni, foibe, mare”.

Felice di questo premio?
“Mi era stato comunicato a settembre che c’era la volontà di candidarmi. Vincere è stata una vera e propria sorpresa che cerco ancora di metabolizzare. Sono cresciuta attraverso prove dure, invidie, esercizi di potere e prove di forza per la mia propensione a osare, ad accelerare gli eventi. Non sono abituata alle belle notizie e questa lo è, anzi è bellissima. Corona un impegno ma anche una scelta di vita a favore della ricomposizione di un popolo che sento profondamente mio e del quale spesso avverto la tristezza, il desiderio di riscatto insieme al peso della rassegnazione. Ho cercato di costruire, questo premio mi conferma che il messaggio, da qualche parte, una parte importante, è passato”.

Quando hai saputo della vittoria?
“È successo mentre eravamo a una riunione del Circolo Istria di Trieste. L’ho comunicato subito a tutti, nell’entusiasmo generale. Tomizza è stato uno dei fondatori del Circolo, grande amico di noi tutti, personaggio che ci rappresenta e che stimiamo. Con Ezio Giuricin, mio marito, a diciotto anni giravamo l’Istria a organizzare la rinascita delle Comunità degli Italiani. Gli altri giovani andavano in discoteca, noi sognavamo per l’Istria e per Fiume, un destino persuaso e convinto. Credo sia un premio che possa essere considerato condiviso”.

Una full immersion nell’istrianità…
“Nostro figlio, incredibilmente ironico, ogni tanto ci suggerisce di disintossicarci: credo sia impossibile. Questa è la missione che abbiamo scelto. Ad un certo punto ho varcato l’Oceano, ho trovato un’istrianità, una fiumanità e anche una dalmaticità diverse che mi hanno aiutata ad andare oltre, a spostare lo sguardo, a sondare nuove prospettive. Anche in Canada ho seguito le tracce di Tomizza e nel suo nome, perché lo avevano conosciuto ed accolto, ho fatto interviste con personaggi importanti…”.

Di Tomizza cosa ricordi?
“Mi chiamò una sera per chiedermi se avevo ricevuto il suo ultimo romanzo. Dissi di no e lui ci rimase male. Mi promise di protestare con l’editore e nel giro di due settimane il libro arrivò. Qualche mattina dopo avevo fissato un appuntamento con TV Capodistria per un montaggio. Ci fu un acquazzone senza precedenti e così il collega che doveva passare a prendermi, mi chiamò per avvisarmi che la città era bloccata e che sarebbe arrivato in ritardo. Presi il libro di Fulvio e mi misi a leggere. Mi prese tanto che, ad un certo punto, sentii la sua voce. Lo raccontai al collega appena ci ritrovammo in macchina. Giunti a Capodistria, un giornalista ci venne incontro per darci la notizia che Tomizza era spirato qualche ora prima. Mentre stavo leggendo? Era per questo che avevo sentito la sua voce? Ne rimasi sconvolta ma anche felice di averlo potuto salutare in quell’istante tutto nostro, persi in un libro che raccontava suo padre, che raccontava noi gente di queste terre. In tutte le manifestazioni librarie che ho avuto modo di organizzare negli anni, otto edizioni a Trieste, una a Roma e una a Torino, i suoi libri non sono mai mancati, insieme alla lettura di alcune pagine o lettura e racconto affidate a un attore che il libro l’avrebbe raccontato tutto…”.

È un caso che il premio arrivi nello stesso anno che ha visto l’uscita di un libro rilevante per la conoscenza della storia delle nostre terre come “Parla Maria Pasquinelli”?
“Forse si chiude un ciclo. Nel consegnarmi il materiale che Maria aveva scritto in tanti anni di indagine, riflessione, impegno, dal quale sono nati i libri, mi dava mandato di parlare per lei, di continuare a far conoscere una vicenda interrotta dalla storia e dalla sentenza che l’aveva condannata prima a morte e poi all’ergastolo. Di ripercorrere con lei la vicenda spalatina e istriana del 1943, nella speranza di far tacere i luoghi comuni, di riconsiderare il suo gesto, non dal punto di vista etico e morale, che non ha scusanti, ma della denuncia di una situazione conclusasi purtroppo con l’esodo, con tanta sofferenza e un’ingiustizia così profonda che continua a macinare da decenni nelle coscienze della gente. Quando è stata presentata la candidatura al premio Tomizza, il libro “Tutto ciò che vidi” non era ancora uscito dalle stampe, ma certo oggi contribuisce a definire un impegno comune, mio e tuo, e a meglio definire i contorni di un pensiero trasversale difficile da far accettate negli ambienti monocromatici. Mio padre seguendo la mia attività esclamava spesso: ‘povero quell’albero che sta in mezzo alla strada’. Oggi so che aveva ragione”.

La copertina della raccolta di poesie dell’autrice

La Pasquinelli è una donna controversa: chi la idolatra e chi la taccia di terrorismo. Com’è successo che l’hai incontrata?
“C’eravamo incontrate su suggerimento di Guido Brazzoduro, nipote di Giuditta Perini, collega della Pasquinelli alla Biccocca prima della guerra e a lei molto vicina in tutti i lunghi anni della prigionia. Avrei dovuto fare un’intervista per La Voce di Fiume. Andammo a casa sua, a Bergamo, in un gruppo nutrito e la intervistai per tutto il pomeriggio con questo pubblico sempre presente. Scrissi e tornai da lei. Lesse il mio testo già di una trentina di cartelle ad alta voce. E mi disse…continua! Così quello che doveva essere un articolo di giornale divenne il primo libro su di lei pubblicato da Delbianco: poco o per niente distribuito, era un argomento scomodo nel 2007. Il Giorno del ricordo era meta dei negazionisti e pochi conoscevano questa vicenda. Abbiamo dovuto attendere che la conoscenza e la curiosità per questi fatti crescessero nel tempo. ‘Tutto ciò che vidi’ non è di facile lettura: è un libro crudo in cui le foibe vengono raccontate con rigore, quasi un taglio chirurgico delle responsabilità. Ma è anche vero che oggi ci sono gli strumenti per affrontarlo, sono stati creati negli anni proprio grazie al grande lavoro dell’associazionismo e dell’Italia che ha perorato la nostra causa. Basta riandare col pensiero ai discorsi dei Presidenti, a partire da Napolitano e fino a oggi con gli incontri storici a Trieste, Pola e Basovizza dei Capi di Stato. Anche la verità ha bisogno di un sentire maturo”.

Il Premio Tomizza non arriva alla fine della tua carriera, ma potremmo dire nella maturità, che è anche esperienza, saggezza, sguardo spassionato alla vita e alle persone che si sono incontrate, nel bene e nel male.
“E sono state tante e non solo per realizzare le mie interviste, per anni, ma anche per il mio amore per l’ascolto. Mi piace dialogare con le persone, immaginare di scoprire nuovi mondi interiori. Spesso è proprio ciò che avviene: ci incontriamo in una sfera condivisa. Professionalmente sento di avere ancora molto da dare. Il premio è una ripartenza”.

Gli ultimi lavori?
“È appena uscito in occasione della Giornata della poesia, il 21 marzo, una mia raccolta di poesie, per la Bertoni editore, che mi elettrizza. Non è banale mettersi a nudo. Spero di consegnare prossimamente alle stampe un libro che racconta l’avventura di un diciannovenne che parte da Rovigno con la sua battana a remi per raggiungere Zara nel 1939. Il ragazzo è mio padre, il libro è l’esperienza più incredibile che io abbia fatto. L’ho scritto di getto, ma è come se fosse stato lui a guidare i miei pensieri. Ho immaginato, istante dopo istante, tutto il suo viaggio, raccontato a episodi in varie occasioni nella cucina di casa mia, a Rovigno. Ho ricostruito ogni suo gesto, il respiro, la vista, il tatto ed è così importante per me che non riesco a lasciarlo andare. E last but not least, ho scritto un libro su vent’anni di frequentazione del mondo giuliano-dalmato del Canada: un’esperienza unica che mi ha regalato tantissimi amici, una vita piena”.

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