Nel suo atelier di via San Marco a Trieste avevamo ammirato i baroki sparsi nello spazio, alcuni testimoni di precedenti mostre, altri in via di realizzazione: Bruno Chersicla vi si aggirava sicuro, nella grande confusione di oggetti finiti e materiali per la loro realizzazione, era uno squisito padrone di casa, pronto al racconto, all’osservazione.
Vent’anni fa volle regalare alla città, lui che ormai viveva quasi stabilmente a Milano, una grande opera “da guinness”, un mega-disegno in P.zza Unità d’Italia, visibile soprattutto dal cielo come un gioco di cerchi, dolmen, menhir, piramidi, alla cui realizzazione avevano partecipato 4.572 volontari per il dipinto più grande del mondo. Realizzato con l’impiego di 4 tonnellate di colore, per un’estensione di oltre 10.000 metri quadrati, il graffito, straordinario per le dimensioni, l’invenzione e le modalità di esecuzione. Si stavano aprendo i confini, sulla città spiravano nuovi venti di conquista di una dimensione “altra” per cui l’opera era ispirata al Ratto d’Europa, identificata (e quindi idealmente unita) alla personificazione di Trieste, trasportata dal mitologico toro. Armata di lancia alabardata, intendeva esprimere la sua vocazione economica in qualità di porta d’Oriente, quest’ultimo evocato dalla mezzaluna e dal Sol levante, all’interno di una enorme cornice azzurra dal profilo orientale, costellata dalle stelle simboliche dell’Europa unita.
A vent’anni dall’evento, e a sette dalla scomparsa dell’artista, la città aveva inaugurato a marzo, a Palazzo Gopcevich a cura del Musei Civici di Trieste, una mostra dedicata all’opera e al suo autore con sculture lignee a grandezza d’uomo dedicate a Joyce, Svevo, Strehler, Mandrake, all’Uomo mascherato e all’amato contrabbasso, accanto ai ritratti della mente a tecnica mista e a una settantina di cartoline di viaggio. Pezzi di proprietà dei Civici Musei o di eredi e amici e sottolineati in mostra da un sottofondo di musica jazz, di cui Bruno era appassionato interprete e grazie alla quale aveva saldato una profonda amicizia con Mario Fragiacomo.
L’emergenza coronavirus, a marzo, aveva messo “a riposo” la mostra pochi giorni dopo l’inaugurazione, permettendo visite scaglionate solo nel corso dell’estate, incontro al finissage di agosto.
Ma, nello stesso tempo, veniva dato alle stampe un catalogo firmato Bruno Chersicla ed Elvio Guagnini, a cura di Melitta Botteghelli e Piergiorgio Mandelli, in cui il critico letterario e docente universitario a noi caro per aver dato voce alla “letteratura dell’esodo”, racconta l’amico artista, e analizza il significato del gesto nella cartolina, ma anche la poesia dei commenti che l’accompagnano. Il catalogo s’intitola “Cartoline di viaggio”, della Asterios Abiblio Editore. In copertina il medesimo ingranaggio dei baroki, ma all’interno si racconta un Chersicla osservatore attento e filosofo, viaggiatore accorto. Dagli itinerari intorno al mondo era sua consuetudine inviare delle “cartoline” con delle brevi frasi ad amici che conoscevano questa sua passione.
Ma erano cartoline particolari…realizzate di suo pugno, xilografie in tiratura limitata.
Ci svelò egli stesso l’arcano, tanto tempo fa, ricordando quando seguiva i corsi di arredamento e decorazione navale all’Istituto d’Arte Nordio di Trieste. Un anno durante le vacanze estive spedì per posta i suoi saluti a un insegnante, il quale al rientro lo ringraziò di cuore per il gentile pensiero, aggiungendo però che un allievo “serio” di una scuola d’arte le cartoline se le disegna da sé.
Così fece. Che cosa rappresentavano allora e oggi?
“Tra le forme della letteratura di viaggio meno considerate sono da un lato gli album fotogafici e da un altro lato le raccolte di cartoline illustrate”, afferma Guagnini, che apre il libro nel quale sono racchiusi un centinaio di esempi di immagini “da inviare” create da Chersicla.
Perché sono così importanti? Ci permettono di ripercorrere una storia generale prima di affondare nel particolare alla scoperta di ciò che colpisce l’artista nel suo peregrinare nel vasto mondo, dall’India all’America, da Udine a Portole. Il viaggio è ovunque e ovunque l’occhio di chi guarda scopre particolari meravigliosi. L’importante è sollevare lo sguardo, rotearlo, spingerlo a destra e a sinistra, mettere le immagini in relazione con le proprie conoscenze e, soprattutto con la sensibilità di un artista grande come Bruno.
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