SECONDO ME Incompatibilità di carattere

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SECONDO ME Incompatibilità di carattere

La DDI va verso il 32.esimo della fondazione (datata 14 febbraio 1990) con il vestito delle grandi occasioni, come si conviene. Capita che l’ultimo sorso di caffè, quando già si è pronti a uscire di casa, goccioli sul vestito buono… disdetta! Ecco che anche la DDI si ritrova perlomeno con un alone. E un tesserato in meno. Boris Miletić. E checché se ne dica e se ne pensi, non è un nome da poco. Dal pubblico richiamo all’ordine del presidente della formazione partitica, Dalibor Paus & presidenza e dalla contromossa dell’ex presidente e attuale zupano Miletić che ha tagliato corto e restituito la tessera, tutto è silenzio. Non un’eco. Non un lamento. Non un’accusa. Non una spiegazione.

La presidenza partitica aveva voluto mettere sul banco dell’asino l’ex presidente, ex sindaco di Pola, ex parlamentare e attuale zupano. Un carico da undici, si potrebbe dire. Una bomba a orologeria con il congegno caricato per scoppiare esattamente ora, per arrivare al Sabor dietino con la vittima da immolare all’altare della debacle elettorale. Ma dello scarso risultato si era già parlato nell’immediato. Miletić aveva messo il mandato in mano al partito, che lo aveva amnistiato. Anzi, no, assolto proprio. Nessuna colpa se le cose erano andate male. Nel futuro bisognerà… e via discorrendo.

Adesso, a nove mesi dalle elezioni, la presidenza ci ha ripensato e deciso che la colpa è di Miletić, che avrebbe anche falsato inchieste relative i candidati da mandare alla carica, tessera in resta, dei posti che contano. Mandando avanti i “propri” (ma in politica, e anche altrove, così fan tutti). Sappiamo com’è andata a finire. La DDI ha trascorso molto tempo in infermeria a farsi ingessare le ossa rotte. Adesso avrebbe potuto navigare il mare di questo mandato e ricompattare le file. Solitamente sono i rivali a tirare fuori gli scheletri dall’armadio. Perché la DDI abbia voluto farlo da sola resta da vedere. Una resa dei conti pensata bene e fatta male? Il fatto è che salvo un astenuto, tutti i componenti la presidenza della DDI hanno votato l’autorizzazione a procedere contro Miletić. Un tribunale interno con la sentenza pronta, viene da pensare. Adesso non se ne farà nulla. Perché mentre Paus comunicava urbi et orbi che si era deciso di fare barba e capelli a Miletić, quest’ultimo, in questa sgangherata partita a scacchi, ha dato scacco al re con quella che si potrebbe definire proprio mossa del barbiere.

Non che l’ex presidente sia senza colpa. Basterebbe, per dire della scottante sconfitta del 2021, il fatto di non avere individuato in quattro anni per Pola un candidato con maggiori probabilità di farcela. Nemmeno Elena Puh Belci avrà creduto di potere diventare sindaco, eppure… Siamo certi, ma è facile leggere la storia, che nemmeno Marin Lerotić, che si voleva papabile, avrebbe fatto di meglio. Nella sassaiola antidietina hanno preso parte sì le altre formazioni, ma anche tesserati e, come s’è visto, anche una fetta dell’elettorato. Avrà dato una spinta in cima alle scale anche un certo spregiudicato immobiliarismo di tesserati a vari livelli, un palese clientelismo e altre macchie, tutto cose che si sarebbero dovute prendere di petto mentre stavano succedendo. Sono questi gli aloni che fanno scadere la qualità dell’abito buono dietino.

Che la concorrenza, il sindaco polese Filip Zoričić, a dirla tutta, abbia voluto imbracciare subito il fucile chiedendo elezioni anticipate non sorprende. Lascia increduli, almeno un po’, la scarsa conoscenza dei meccanismi da parte di chi siede sullo scranno più alto della città più grande della penisola. Via dal partito ma non dalla Regione. Miletić è stato chiaro. A meno che la vita non diventi così dura da compromettere l’andamento in Regione. Ma se i consiglieri regionali DDi dovessero lavorare di randello piuttosto che di testa e spingere verso le elezioni anticipate, il partito non avrebbe che da perdere. Si potrebbe obiettare che ad ogni modo, dopo avere perso alle elezioni Città e Comuni e conquistato con una tenace resistenza la Regione, la DDI se l’è giocata e l’ha persa con un’ingenuità incredibile. Non ha il carisma di Nino Jakovčić o di Luciano Delbianco, però Miletić la politica la conosce. Probabilmente, per certi versi, la conoscono bene anche quanti nella presidenza, se visto il vento che tira, si sono messi subito dalla parte del presidente. Eccetto uno, astenuto, quindi con beneficio d’inventario. Dicono che bisogna sapersi adeguare per sopravvivere. probabilmente è istinto di sopravvivenza politica. Lo dirà il tempo.

Che però non sempre dà risposte. Si limita a scorrere. Ripensiamo ai precedenti divorzi eccellenti in Casa DDI.

Questo più recente è stato un addio-lampo, che per il “grazie, arrivederci” del diretto interessato non avrà strascichi. Altri sono stati più rumorosi e più dolorosi e hanno coinvolto nomi eccellenti. Nel 1994, ad esempio, erano stati radiati dal partito Ivan Herak, Elio e Darko Martinčić, Veljko Ostojić (poi reintegrato).

Altro nome eccellente, Luciano Delbianco, uscito dal partito nel 1996; all’epoca era zupano. Uno scossone forte per la DDI, poiché Delbianco uscito dalla Dieta aveva dato vita a un nuovo partito, il Foro democratico istriano, al quale avevano aderito numerosi ex dietini, suoi collaboratori. A dirla tutta, sul nome del nuovo partito Delbianco aveva giocato d’astuzia, confondendo un po’ l’elettorato. All’udito, tra IDS e IDF c’era davvero di che confondersi. Ma certo non è stato un fraintendimento a portare voti a Delbianco: resta la figura più carismatica e di spessore politico della Dieta. Senza nulla togliere agli altri, ma contestualizzando la sua attività politica e il momento storico, la conclusione non può essere che questa. C’è chi sostiene ancor oggi che Jakovčić l’avesse voluto fuori perché con la sua imponenza politica gli stava facendo ombra.

Anche nel 2001 era stato il caso di chiedere “Quo vadis, Dieta?”. Le picconate non erano state da poco e partivano da un gruppo di fronda vicino all’allora zupano Stevo Žufić. Alle elezioni interne al partito, il gruppo aveva mandato avanti Marino Folo – poi passato ad altri partiti e fatto attività politica più per inerzia che per convinzione – che al Sabor partitico aveva intascato il 30 p.c. dei voti dei fiduciari.

Cavallo di battaglia dietino di mille tenzoni politiche, Damir Kajin ha sbattuto la porta con una certa violenza nel 2012, quand’era vicepresidente del partito. Sulle ali del suo dire pane al pane e vino al vino, la DDI aveva mietuto simpatie, ma poi qualcosa era andato storto e l’immagine di Kajin pian piano è andata sbiadendo e così la sua presenza in politica. Da dire però che si era avvicinato molto all’SDP, tanto che la formazione l’aveva appoggiato nella corsa alla Regione, ma le cose per lui e l’SDP non erano andate propriamente bene.

E quindi ritorniamo all’oggi. Presidente del partito dal 2014, rilevando l’incarico che Jakovčić aveva ricoperto dal 1991 al 2014, l’anno scorso, in autunno Miletić ha cessato di essere il Number One partitico, già nella posizione di zupano. Sembra, ma è tutta da verificare, che l’attuale “capo” Paus avesse voluto una maggiore ingerenza proprio nelle decisioni pertinenti la Regione. La resa dei conti andrebbe individuata nella scarsa disponibilità di Miletić di essere zupano per conto terzi.

Semplice come la formula dell’acqua (H2O, vero?). Incompatibilità di carattere. Gli estremi per il divorzio, partitico o, diciamo, civile che sia

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