ROBE DE MATTEONI La memoria corta

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ROBE DE MATTEONI La memoria corta

Mercoledì sera, stadio Aldo Drosina. Un’atmosfera surreale quando si parla di calcio. Perché questo gioco stupendo, con una filosofia che riflette quella della vita di tutti, è sempre stato considerato lo sport della gente, del popolo. Oggi, purtroppo, anche il calcio paga le conseguenze della globalizzazione. È tutto un business per le televisioni e il marketing, servo dei soldi di chi comanda e di coloro che producono. La gente e le emozioni passano in secondo piano…
Un ambiente desolante al Comunale di Pola: non ci sono spettatori e fa anche freddo. Che senso ha il calcio senza pubblico, senza i tifosi che gridano, si arrabbiano, ridono, cantano e piangono? Senza coloro che ne dicono di tutti i colori all’arbitro, all’avversario, ma anche ai propri beniamini?
Istra 1961 e Osijek è un confronto che in tema di qualità non ha paragoni. Per quanto volenterosi siano i polesi, addirittura passati in vantaggio con lo stupendo gol di Špoljarić, in prestito proprio dall’Osijek, il 4-1 finale per gli ospiti è la diretta e logica conseguenza della differenza di valore in campo. OK, magari è un risultato un po’ troppo severo per la squadra di Fausto Budicin, ma il calcio è questo. Qualche settimana fa batti l’Hajduk e pensi che il mondo dell’Istra sia cambiato. Poi ne prendi cinque in casa della Dinamo, non giochi il derby con il Rijeka, aspetti 17 giorni per una nuova partita e ti capita di incassare altri quattro gol. Tira una brutta aria già nel primo tempo. Siamo al 27’ quando mi arriva un messaggio: è del collega Libanore, che scrive: “Xe morto Maradona!”.
Non ci sono persone allo stadio, fatta eccezione per gli addetti ai lavori e qualche giornalista infreddolito: di conseguenza non c’è il solito mormorio tipico del passaparola di una notizia così forte e drammatica.
L’Istra è in vantaggio e gioca bene. Ma due minuti più tardi l’ex beniamino del Drosina, Ramon Mierez, fa quello che sa fare meglio. Segna un altro gol “pesante”, stavolta contro il “suo” Istra. Non fa festa nel rispetto del club di cui ha fatto parte fino a un anno fa. Però corre verso la panchina e prende una piccola bandiera, argentina ovviamente. Che sapesse già della morte di Diego Armando Maradona, l’eroe nazionale? Sinceramente lo ignoro, ma ci sarà pur sempre qualcosa di simbolico in quel momento. L’emozione del calcio, forte quanto l’illusione che trasmette, fa bene alla gente…
L’Istra è fanalino di coda in campionato. Anche se da anni disputa lo spareggio con la seconda classificata della Seconda Lega, stare tristemente all’ultimo posto in classifica non era un’abitudine dei gialloverdi. Il fatto di rischiare la retrocessione con in squadra giovani del circondario, un allenatore locale e una dirigenza fatta in casa è da ritenersi forse un chiaro segno del destino? Che sia poi anche un segno del destino il fatto che per la prima volta dopo sette anni gli spareggi sono stati aboliti e il nono classificato rimane in Prima Lega?
No, il destino non si è rivoltato contro l’Istra. C’è soltanto il classico campionato con alti e bassi, in una competizione che di anno in anno diventa più difficile in quanto ogni club si consolida. Ormai non ci sono più le società sull’orlo della bancarotta, che sin dalle prime partite possono già ritenersi praticamente retrocesse. Ironia della sorte, adesso che non c’è più lo spareggio e che l’Istra ha trovato finalmente una stabilità finanziaria, per i polesi tutto diventa tremendamente più difficile.
In un certo senso, sta proprio qui il segno del destino, un qualcosa che la gente con la memoria corta fatica a capire. L’Istra ha limiti finanziari e di risorse. In una Lega con dieci club è condannato a giocarsela con società di pari livello, ovvero Varaždin, Šibenik e Slaven Belupo. A Fausto Budicin bisogna dare tempo e avere pazienza, ai giovani talenti di casa (Lisica) o a quelli che scelgono Pola (Vuk) per mettersi in luce, ancora di più. Il campionato è lungo e pieno di difficoltà, soprattutto in considerazione delle conseguenze della pandemia. Inutile fare già pressioni, gridare ai quattro venti che niente e nessuno all’Istra ha valore. La vittoria dà euforia e ottimismo, così come basta una sconfitta per scatenare rabbia, polemiche e accuse. Non è una logica del calcio, lo sport più popolare al mondo dal momento che lo hanno “inventato”. Il calcio era e rimarrà sempre speranza ed emozione, nel bene e nel male, perché l’avvicendamento delle due cose è l’unica costante. Come d’altronde succede anche nella vita…

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