PERCORSI EUROPEI L’Unione europea e la pace che non c’è

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PERCORSI EUROPEI L’Unione europea e la pace che non c’è

Nel 2012 l’Unione europea è stata insignita del premio Nobel per la pace con la seguente motivazione: “Per oltre sei decenni ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”. E infatti, nel progetto di Costituzione europea, confluito più tardi in parte nel Trattato di Lisbona, a essere indicato per primo è l’obiettivo politico per antonomasia, quello della promozione della pace, a cui è stata aggiunta, in un secondo tempo, la promozione dei valori e del benessere dei popoli dell’Unione.

Parecchie furono le obiezioni all’assegnazione del premio Nobel alla pace proprio all’Unione europea. Nonostante la motivazione del Premio sia corretta – con una sola eccezione – L’Unione europea, prima Comunità, non è riuscita a garantire “l’avanzamento della pace” nell’ex Jugoslavia, quando è scoppiata la guerra nel 1991. Anche se ha tentato di farlo. Però i suoi tentativi sono stati vanificati davanti all’incalzare del nazionalismo serbo guidato da Slobodan Milošević che ha risvegliato i cosiddetti “nazionalismi difensivi”, con il risultato di una guerra fratricida cruente e feroce, con crimini di guerra commessi sia da parte dell’aggressore che dagli aggrediti. Gli osservatori hanno, a quel tempo, sollevato delle critiche proprio perché l’Unione europea è un’organizzazione internazionale per eccellenza che dovrebbe creare la pace, come l’ONU e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Inoltre è dedita alla pace con il suo impegno nel superamento dei confini e dei nazionalismi in Europa, onde realizzare quell’ideale di pacificazione decantato dall’antichità ai giorni nostri. Dunque, i funzionari e i diplomatici che lavorano nei ranghi dell’UE sono pagati proprio per questo – per costruire la pace e diffonderla. A differenza delle organizzazioni non governative, internazionali e nazionali e dei singoli che rischiano la vita per promuovere la pace nel mondo.

E adesso è proprio questo il motivo per cui le organizzazioni pacifiste, e non solo esse, ma anche una parte dell’opinione pubblica, si sta domandando come mai, insieme alla solidarietà con il governo ucraino, l’UE non abbia promosso una sua agenda di pace, sotto forma di un piano di pace, tanto necessario per porre se non fine alla guerra, ma almeno per giungere a una tregua in Ucraina dove la popolazione civile è quella che soffre di più?

L’UE sostiene pienamente l’Ucraina nella sua difesa dall’offensiva russa, che ormai va avanti da un anno e che si sta trasformando in una guerra di posizione, in una guerra di trincea. Con una prospettiva che fa gelare il sangue: quella di tramutarsi in una guerra permanente, che durerà fino allo stremo dei combattenti o fino alla vittoria, improbabile, di una delle due parti. Che poi lo affermano anche i vertici militari dei Paesi amici dell’Ucraina, come il Capo di Stato maggiore dell’Esercito statunitense Lloyd Austin e due generali italiani con una grande esperienza in fatto di guerre moderne: il generale dell’aviazione Leonardo Tricarico e il generale di corpo d’armata Fabio Mini. E tutti e tre sono d’accordo con Papa Francesco, che dice che bisogna fare di tutto per avviare colloqui di pace, nonostante gli orrori perpetrati in questa guerra assurda. Il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita per risolvere questa “guerra di procura”, come l’ha definita il Papa. Ma purtroppo, l’UE non si è fatta avanti, almeno finora, con un piano di pace e un negoziato che ponga fine allo strazio di questa guerra che rischia di coinvolgere tutto il mondo. E ora, in una situazione in cui l’UE ha già speso 67 miliardi di euro sia in aiuti umanitari, sia in sostegno militare sia nel finanziamento della sopravvivenza dell’Ucraina stessa, è stata la Cina per prima a lanciare un piano che, dal punto di vista diplomatico, rappresenta una proposta coerente con la politica cinese di grande potenza, ma nel quale, nei dodici punti elaborati, si riaffermano molti dei principi che sia l’ONU che l’UE potrebbe condividere.

Si tratta qui, in primo luogo, del punto numero uno del piano cinese: rispetto della sovranità di tutti i Paesi e quindi anche dell’Ucraina. I punti seguenti riflettono la posizione globale cinese nel mondo contemporaneo. Però è importante il punto tre del piano: il cessare il fuoco con la fine dei combattimenti e la ripresa del dialogo diretto per impedire che la crisi ucraina si aggravi ulteriormente o addirittura finisca fuori controllo. Il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita praticabile per risolvere il conflitto in corso. Naturalmente, gli ucraini vorrebbero che i russi si ritirassero sulle posizioni antecedenti al 24 febbraio del 2022, ma questo si potrebbe negoziare. E infine si potrebbe promuovere anche il piano di pace di Henry Kissinger, il decano della diplomazia mondiale. Il quale auspica l’organizzazione di referendum con monitoraggio internazionale nelle aree del Donbass e della Crimea, dopo un cessate il fuoco, per dare voce alla popolazione, senza interferenze russe né ucraine per risolvere il futuro status di questi territori. Peccato che non sia stata l’UE a proporre un piano simile, perché il piano cinese è ora il testo su cui si discute, se non nelle cancellerie europee, almeno in quelle del Terzo mondo che vorrebbero vedere una conclusione di questa “guerra per procura” che rischia di coinvolgere il mondo intero.

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