PERCORSI EUROPEI L’Europa tra crisi e rilanci

0
PERCORSI EUROPEI L’Europa tra crisi e rilanci

L’Europa unita è proprio così: tra crisi e rilanci, come anche recita il titolo di un libro a cura di Sante Cruciani e Giovanna Tosatti, pubblicato due anni fa dall’Officina della storia dell’Università della Tuscia, di Viterbo. Ed è proprio così, come anche sostengono i grandi teorici dell’unificazione europea: si procede tra crisi e rilanci. A dire il vero, c’era un periodo roseo, quello tra il 1989, l’anno della caduta del Muro di Berlino e il 2005, quando è naufragato il progetto di Costituzione europea grazie ai referendum in Francia e Olanda. Dopo un annus mirabilis, il 2004 con l’allargamento ai Paesi dell’Europa dell’est, gli ex-satelliti sovietici (e due Paesi Mediterranei, Malta e Cipro), è venuto l’annus horibilis, come usano dire gli storici della chiesa quando parlano delle vicende di casa loro.

Da allora si sono succedute crisi e rilanci, come nel 2007 quando è stato firmato il Trattato di Lisbona e l’Europa unita ha passato l’esame di riparazione. Poi è subentrata la crisi economica e finanziaria, quella importata da oltre oceano, che è durata dal 2008 al 2012, e che si è conclusa con delle misure salva-stati ma anche salva-banche (più di 500 banche hanno ricevuto gli aiuti dall’Unione europea, mentre i risparmiatori si sono dovuti accontentare delle briciole). Nel 2015 è scoppiata la crisi dei migranti, con delle misure palliative che hanno fatto protrarre la crisi fino al 2020, quando è scoppiata la crisi del Covid, risolta con il Piano europeo di ripresa e resilienza. Andato bene, almeno finora. Poi, nel 2022 scoppia la crisi energetica, annunciata perfino un po’ prima dello scoppio della guerra in Ucraina.

E l’Unione europea si trova di nuovo nella situazione di arginare la crisi. I cittadini europei, come rileva anche l’Unione federalista europea, ora vogliono vedere la “solidarietà effettuale” (lo direbbe Machiavelli, che incolpava i politici di creare apparenze fasulle, invece di procedere alla “verità effettuale delle cose”). Ebbene, nella crisi energetica la solidarietà europea dovrebbe manifestarsi su due piani: primo, della solidarietà dell’accesso all’energia necessaria per far campare le società europee; e secondo, sulle misure concrete per mettere un freno alla speculazione creata dall’oscillazione dei prezzi del gas e del petrolio. Per ora, né uno né l’altro proposito hanno dato dei risultati. La Germania contava sul gas russo da sola, e quando la “pacchia è finita”, cioè fino all’aggressione brutale della Russia all’Ucraina, si è trovata a cavarsela, di nuovo da sola, e grazie alla sua potenza economica non subisce gravi dissesti finanziari. Invece, i quindici Paesi che hanno voluto che l’Unione europea istituisca un tetto al prezzo del gas, si sono trovati poi divisi sulle modalità proposte dalla Commissione europea.

E così, la seduta – dell’altro ieri – dei ministri dell’energia, a Bruxelles, si è conclusa con un nulla di fatto. La proposta della Commissione europea, capeggiata da Ursula von der Leyen, di introdurre un “price cap”, un tetto di 275 euro al megawattora per il gas, è stata rigettata in primis dalla Germania e dall’Olanda perché, con i Paesi scandinavi, si oppongono ad alcun tetto, avendo risolto la crisi dell’approvvigionamento dell’energia da soli, e d’altra parte i quindici – Italia e Croazia compresi – che vorrebbero una soglia più bassa, con condizioni di attivazione più elastiche.

Evidentemente, la Commissione europea ha lanciato di nuovo una proposta che sembra una misura per confrontare la situazione precaria, ma che in effetti no lo è: il meccanismo proposto dalla Commissione ha tre seri problemi, e cioè la configurazione, il prezzo e le condizioni di attivazione. Sembra concepito proprio per non essere mai applicato, come ha dichiarato Teresa Ribera, ministra spagnola per la transizione ecologica. Ora, tra quelli che vogliono degli interventi precisi e maneggevoli sul mercato per far valere la solidarietà europea e quelli che si trovano in difficoltà sul mercato, del resto in mano a “oligarchi” europei, non meno pericolosi degli oligarchi dell’Europa dell’Est, c’è solo una terza via: e questa è prendere in mano i trattati sui quali oggi si fonda l’Unione europea, e questi sono il Trattato di Lisbona e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e riscriverli di nuovo. Abolendo, in un nuovo Trattato costituzionale, la decisione per consenso, la modalità decisionale utilizzata oggigiorno per l’adozione delle conclusioni in seno al Consiglio europeo. Lo richiede anche la consultazione sul futuro d’Europa, tenutasi l’anno scorso. I cittadini europei e la società civile europea, coinvolti nelle consultazioni, hanno auspicato più solidarietà concreta nelle situazioni di crisi, affinché non siano i cittadini a pagare caro l’assenza della solidarietà con i bisognosi. E vedremo come andrà a finire il 13 dicembre prossimo, quando il Consiglio si riunirà in extremis, per trovare un consenso: altrimenti non ci resta che riformare l’Unione, al più presto.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display