PERCORSI EUROPEI Dov’è sparito il piano di pace italiano?

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PERCORSI EUROPEI Dov’è sparito il piano di pace italiano?

Il piano di pace italiano per la guerra in Ucraina, che tre settimane fa (precisamente il 18 maggio) il ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, aveva presentato al segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres, all’improvviso è scomparso dall’orizzonte. Il portavoce di Putin, Dimitri Peskov, come anche il ministro degli esteri russo Lavrov, ha dichiarato di non esserne a conoscenza. Evidentemente nessuno gli inoltrato, per il tramite dei canali diplomatici, il suddetto documento diplomatico. Invece, il Presidente ucraino Zelensky lo ha rifiutato a limine, non precisando se lo avesse ricevuto o no. E sebbene nei corridoi diplomatici il piano è stato commentato come una riscossa della diplomazia, intesa come arte, sulla politica e la guerra come mestiere, dopo la visita del premier Draghi a Washington ci si aspettava un rilancio europeo del piano durante la seduta del Consiglio europeo del 30 e il 31 maggio. Purtroppo, nel corso di questo summit si è discusso di tutto, fuorché di un piano per la pace, e tanto meno del piano italiano.

Un’altra delusione per i diplomatici di professione, che sanno benissimo che contemporaneamente alla conduzione della guerra bisogna sempre insistere sulle proposte di pace. È vero che con Hitler non si poteva parlare affatto di pace, ma Hitler non aveva gli armamenti atomici per distruggere il mondo intero. Putin può essere un mostro, un pazzoide che ha perso il contatto con il mondo reale, ma è proprio quello che dovremmo temere: che in un momento di pazzia, attorniato dai suoi adulatori e sgherri, non decida di far intervenire le armi nucleari. E perciò bisogna fare di tutto per portarlo al tavolo del negoziato e specialmente ora che l’esercito russo si è impantanato nel territorio del Donbass e la guerra lampo, anelata da Putin, sta diventando una guerra d’attrito.

L’Unione europea ha, purtroppo, tralasciato di discutere e, eventualmente, approvare il piano di pace italiano per l’Ucraina, tramutandolo in un piano di pace europeo.

A prima vista, il piano italiano sembra aver recepito l’analisi e le proposte di Henry Kissinger, che ha detto chiaro e tondo che la pace si fa con i compromessi, le offerte e le contro-offerte: l’importante è trattare. Putin rifiuta ogni trattativa, sembra finché non avrà conquistato l’intero Donbass: un obiettivo ridotto rispetto all’intento iniziale di conquistare e assoggettare l’intera Ucraina, grazie alla resistenza ucraina e agli aiuti massicci dei Paesi occidentali, sia in termini di materiali bellici che di aiuti umanitari.

Però la metamorfosi di questa guerra rischia di causare assuefazione tra l’opinione pubblica occidentale: è già passata dalla prima pagina e dai titoloni alla cronaca internazionale e questo è un brutto segno. Questo vuol dire che potrebbe succedere come con la guerra nell’ex Jugoslavia, come con l’assedio di Sarajevo. Però questa guerra, oltre al pericolo di scatenare un Armageddon nucleare, rischia di portare una gran parte del mondo alla fame e l’altra parte a una crisi economica che ci farà tornare indietro di parecchie decine di anni. E qui ritorna in primo piano il ruolo dell’Italia, che è stata la prima a proporre questo schizzo di un piano di pace. I diplomatici a Roma ne parlano: tutti si aspettano un passo, sia da parte dell’Italia che dell’UE. Ne ha scritto, in questo senso, anche il consigliere principale del Papa, il gesuita Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica.

”Il futuro si può pensare in termini di pace oppure in termini di vittoria degli uni sugli altri. C’è chi vuole l’una e chi vuole l’altra. Chi pensa alla vittoria crede che questa coincida con la pace: questa è una bella ingenuità. C’è persino chi pensa che sia possibile la vittoria in una guerra nucleare. Questa per me è una follia. Che significa essere vincitori di una guerra nucleare? Non ne ho la più pallida idea”, scrive Spadaro. E offre un “Decalogo”, dieci considerazioni sulla guerra in Ucraina. La prima considerazione è che l’aggressione militare è ingiustificabile, la seconda è che ogni effetto ha cause che vanno indagate: comprendere non è giustificare, ma si deve comprendere. La terza considerazione è: come se ne esce? In seguito, Spadaro avverte che non bisogna confondere la parola “negoziato” con la parola “resa”. “Come se ogni ricerca dell’opzione negoziale fosse automaticamente un arrendersi davanti all’aggressore. Dopo tre mesi di guerra non si vedono soluzioni del conflitto all’orizzonte. L’aggressione sacrilega, come l’ha definita Papa Francesco, non si è fermata, si vede soltanto una escalation progressiva. E allora, è un imperativo categorico cercare le vie della pace e di un possibile compromesso. I diplomatici, a differenza dei politici e dei generali, sanno che ogni guerra finisce con una conferenza, con un negoziato reso possibile da garanzie multiple e da compromessi reciproci. E tutti si aspettano il primo passo proprio dall’Unione europea. Il piano italiano era, ed è, un primo passo che può portare alla pace.

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