PERCORSI EUROPEI Democrazia europea alla prova nel 2024

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PERCORSI EUROPEI Democrazia europea alla prova nel 2024
Foto: Hrvoje Jelavic/PIXSELL

Il 2023 è stato un “annus terribilis” per la pace nel mondo e anche per l’Unione europea, con la guerra in Ucraina che si sta trasformando in un conflitto endemico del quale non si vede la fine, né dei combattimenti né delle vittime umane, e soprattutto con la guerra provocata dal terrorismo di matrice fondamentalista islamica del gruppo Hamas e dalla rappresaglia israeliana che ha causato migliaia di vittime civili, donne e bambini compresi, come anche la morte di 136 operatori dell’ONU nella striscia di Gaza, come ci comunica il segretario generale dell’ONU Guterres.

In questo contesto è avvenuto il 1° di gennaio di quest’anno il cambio alla presidenza di turno del Consiglio europeo: il Belgio è subentrato alla Spagna e il pesante fardello della crisi mondiale si è riversato sulle spalle del premier belga, il liberale Alexander De Croo. Il semestre belga ha ricevuto in eredità, come non mai, dei nodi inestricabili che minacciano una crisi letale non solo del multilateralismo come modus operandi della comunità internazionale, ma anche una crisi profonda della democrazia in Europa. E perciò la presidenza belga ha voluto sottolineare nel suo programma offerto all’UE la difesa della democrazia, dello Stato di diritto, come priorità no. 1 nell’agenda politica europea. Infatti, il 2023 ha visto, come anche conferma l’analisi dell’Istituto svedese per la democrazia, un avanzamento di forze autoritarie e nazionaliste che mirano a trasformare la democrazia liberale in democrazia di facciata “all’ungherese”, e cioè pura forma con elezioni pluripartitiche, ma con esecutivi forti e con la marginalizzazione del potere legislativo e di quello giudiziario. E proprio durante il semestre belga si terranno le elezioni per il nuovo Parlamento europeo, in programma dal 6 al 9 giugno, in tutti e ventisette gli Stati membri dell’UE. La posta in gioco è enorme: si voterà anche in India, Stati Uniti (che sono le più grandi democrazie nel mondo), in Russia (che non è una democrazia ma una “democratura”) e in una trentina di Paesi che sceglieranno il presidente o rinnoveranno il Parlamento. La democrazia arranca in tutto il mondo e il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite stima un regresso ai livelli del 1989, l’anno della caduta del muro di Belino. Una grande preoccupazione, una sensazione di insicurezza e precarietà che regna tra le popolazioni, contribuisce a indebolire le forze democratiche. Molte sono le malattie della democrazia che affliggono il mondo e anche l’Europa: l’ascesa di movimenti identitari e sovranisti, la crisi ambientale, un’impennata delle migrazioni, il ritorno dei leader religiosi in politica – tutto questo contribuisce a un disorientamento della gente. A questi sintomi di crisi, purtroppo, si aggiungono anche le reti sociali, le fake news e l’incognita dell’uso dell’intelligenza artificiale.

Ma nel nostro piccolo – e parlo dell’Europa unita, quella che dovrebbe essere un’eutopia moderna (cioè, un’utopia buona, concreta e realizzabile) – dovremmo confrontarci con un astensionismo elevato dei cittadini nell’esercizio del diritto democratico di voto. E proprio il Belgio qui può esserci da esempio, perché è uno dei pochi, anzi pochissimi Paesi nel mondo (in Europa c’è ancora solo la Grecia) che ha trasformato il diritto del voto – in obbligo del voto. In altre parole, l’obbligo di votare è un dovere per eccellenza del vivere civile (e Machiavelli ci insegna che solo il “vivere civile” può essere “vivere politico” e “vivere libero”, come afferma nei suoi Discorsi sulla prima deca di Tito Livio). Ma questa lezione l’avevano imparato ancora i cittadini della Serenissima, la Repubblica di Venezia. Come anche nella Firenze del Rinascimento, i cittadini venivano multati se disertavano le sedute del Gran Consiglio. Dunque, la democrazia europea può essere ravvivata da un profondo mutamento del modus operandi e degli strumenti della democrazia stessa. E nell’ambito euopeo, questo vorrebbe dire anche promuovere una riforma profonda dell’assetto istituzionale dell’Unione, confermando la centralità del Parlamento europeo, e non del Consiglio europeo che agisce, oggi, come un deus ex machina che interviene sulla base del voto unisono degli Stati membri, dunque con il potere di veto che blocca il processo decisionale dell’UE.

E il Belgio è proprio quel Paese che si è distinto per il suo ruolo attivo nella costruzione dell’Europa unita. Uno dei padri fondatori dell’Unione europea, Paul Henri Spaak, è stato un federalista convinto, e proprio durante la presidenza del Belgio della Comunità europea, nel 1973, si è consumato il primo allargamento della CE all’Inghilterra, alla Danimarca e all’Irlanda. E poi, è stato il premier belga Guy Vehofstadt a imbracciare la staffetta di Altiero Spinelli, quella del federalismo europeo, ed è lui che l’anno scorso si è battuto, nel Parlamento europeo, per l’iniziativa della riforma dei trattati costitutivi dell’UE. Una strada tutta in salita per l’attuale presidenza belga, che tra le priorità di quest’Europa vuole un prosieguo della transizione verde e giusta, il rafforzamento dell’agenda sociale e sanitaria – e dunque, vuole promuovere un’Europa di pace e globale, per affrontare la crisi in corso.

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