PERCORSI EUROPEI Alla ricerca della solidarietà perduta

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PERCORSI EUROPEI Alla ricerca della solidarietà perduta

L’Unione europea si è già messa due volte alla ricerca della solidarietà perduta: la prima volta durante la crisi finanziaria che ha scosso l’Europa nel periodo 2008-2014 e la seconda durante la crisi economica causata dalla pandemia da Covid-19, nel periodo 2020-2022. La prima volta i Paesi “virtuosi”, cioè quelli dell’Europa settentrionale si erano opposti alle misure solidali, richieste dagli Stati della “fascia delle olive”, che i giornali anglosassoni avevo denominato PIGS, che in inglese vuol dire “maiali”. Infatti, l’acronimo PIGS era costituito dalle iniziali dei Paesi coinvolti nella crisi finanziaria e cioè Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. La Germania e la Gran Bretagna si erano opposti inizialmente a un intervento dell’UE con un fondo speciale “salva cittadini”. Invece, avevano provveduto a compiere passi individuali per salvare le loro banche. Solo con il dilagare della crisi la Germania aveva accettato, in extremis, l’intervento dell’UE con il fondo “salva Stati”. Erano state sanate 500 banche e parte dei “maiali” con l’intervento anche della Banca centrale europea, che prima si era rifiutata d’intervenire perché la crisi non rientrava nel suo mandato! Grazie a Mario Draghi, c’era stata una svolta e generalmente l’Europa aveva superato questa crisi. Ma non i cittadini europei, almeno non tutti.
Anche nella crisi del Covid ci si era aspettati a lungo un intervento comune, perché la pandemia aveva causato una profonda recessione. Invece di “europeizzare” il brevetto per il vaccino antiCovid, che avrebbe permesso di impiegare i fondi di emergenza per aiutare i cittadini a superare la crisi, l’UE si era abbandonata a lunghe trattative che avevano visto volare alle stelle i profitti dell’industria farmaceutica. Alla fine, anche i “Paesi virtuosi” si erano rassegnati e avevano varato il Piano di ricovero e resilienza, un’altra inversione d rotta. Ma c’erano voluti due anni, come nel primo caso, quello della crisi finanziaria. E non erano stati mai i cittadini europei a usufruire di questi sostegni e interventi, ma le banche e gli Stati con le finanze traballanti, nel primo caso, e la Big-Pharma nel secondo caso.
Ora, purtroppo, assistiamo non a un bis, ma a un ter – per la terza volta siamo in crisi, questa volta per una guerra causata dall’aggressione russa, ma le cui conseguenze dilagano a macchia d’olio fino a sfociare in una crisi energetica europea a tutto campo. Il primo passo sarebbe, ora, quello di adottare misure straordinarie per mettere freno alla speculazione sull’energia, quella sostitutiva del gas russo, e quella importata da altri Paesi. I ministri dell’Energia dei Paesi membri si sono riuniti per una seduta “informale” a Praga, il 12 ottobre scorso, anche per discutere della richiesta di 17 Stati membri di imporre dei tetti ai prezzi del gas importato. L’inflazione ha già raggiunto il 10 p.c., i prezzi sono aumentati del 40,8 p.c. su base annua, e le bollette sono balzate alle stelle. Chi ci rimette sono sempre gli stessi, i cittadini europei. Con la solidarietà faticosamente raggiunta la prima e la seconda volta che non è stata proprio a vantaggio dei cittadini.
Il 18 ottobre, fra qualche giorno, la Commissione europea uscirà con le proposte di misure atte a contenere la crisi energetica, e il 20 e il 21 ci sarà il summit dell’UE a Bruxelles. Di nuovo sono i “Paesi virtuosi”, quelli che si fanno beffa dei poveri PIGS, a opporre una dura resistenza al varo di misure di solidarietà per i cittadini europei. La Germania ha già deciso di spendere 200 miliardi di euro per compensare il rincaro del gas, ma si oppone al tetto sul prezzo del metano. Come sempre, vorrebbe giocare anche questa partita da sola. La Norvegia, un Paese non facente parte dell’UE, che ha sopperito con la sua produzione di gas a quella russo mancante, è anche contraria al tetto per i prezzi per l’energia. A questi Stati si unisce anche l’Olanda, che è riuscita a procurarsi delle fonti energetiche da sola. Si accoda anche l’Ungheria, che dietro le quinte rimane un cliente del gas russo, nonostante le sanzioni contro la Russia. Martedì scorso Berlino e Amsterdam hanno lanciato una loro proposta di dieci punti per fronteggiare la crisi energetica, ricorrendo agli strumenti fiscali e all’abbassamento dell’imposta sul valore aggiunto, proponendo un “negoziato strutturato” con i produttori alternativi del gas e con i venditori, mediatori, sensali e altre forme di incettatori che fanno parte della galassia energetica mondiale. E come funzionano i partner dell’Europa, quelli coinvolti anche nel sostegno all’Ucraina nell’ambito della NATO? Semplicemente, i produttori di gas americani, ad esempio, vendono il gas liquido (Gnl) agli europei a un prezzo quattro volte superiore rispetto a quello praticato nei confronti dei propri industriali. Se siamo in guerra insieme, avvertono i commissari europei, Washington non dovrebbe, come invece fa, approfittare dell’Europa per fare soldi e regalare un enorme vantaggio competitivo al suo sistema industriale. E così siamo, daccapo, in una storia che vedrà, di nuovo, i cittadini europei che ci rimetteranno i loro soldi e diverranno, anche questa terza volta, più poveri di prima.

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