L’INTERVENTO Il Covid-19 e la crisi del capitalismo

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L’INTERVENTO Il Covid-19 e la crisi del capitalismo
Foto: Hrvoje Jelavic/PIXSELL

Secondo il professor Michel Chossudovsky del “Centro di ricerca sulla globalizzazione” canadese, la chiusura dell’economia mondiale (11 marzo 2020, con il lockdown imposto in più di 190 Paesi) ha innescato un processo di indebitamento globale senza precedenti. I governi nazionali sono ora sotto il controllo dei creditori globali. Quello a cui stiamo assistendo è una privatizzazione totale degli Stati, mentre i governi nazionali capitolano di fronte alle necessità delle istituzioni finanziarie globali. Che cosa in realtà rappresenta il Covid? Di questo parla anche Fabio Vighi, professore di teoria critica all’Università di Cardiff (GB), autore di numerosi libri, tra cui “Critical Theory and the Crisis of Contemporary Capitalism (2015)”. Nel 2021 ha pubblicato un interessante articolo “Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico”, nel quale viene posta una domanda molto importante: “Perché la classe dominante, per sua natura senza scrupoli, ha messo nel congelatore la macchina del profitto a fronte di un patogeno che si accanisce quasi esclusivamente contro i soggetti improduttivi – gli ultraottantenni?”. Sappiamo molto bene che ai grandi predatori del petrolio, delle armi e dei vaccini non gliene importa proprio niente dell’umanità. Ne scaturisce che il Covid è una semplice forma di dominio reale fondata su un preciso linguaggio, un arsenale di armi semantiche usate con cinismo su popolazioni preparate da decenni a vivere nell’insicurezza e nel conformismo. Il successo di questo linguaggio, come possiamo seguire ogni giorno – sottolinea Vighi – si misura sulla capacità d’installare una vera e propria “liturgia covidiana”, un culto fatto di nuove abitudini che ci accomunano solo nell’alienarci, nell’allontanarci ulteriormente da noi stessi e l’uno dall’altro, dalla mascherina al distanziamento, dal coprifuoco ai vaccini, dal green pass, alla sanificazione compulsiva delle mani ecc. La guerra epidemiologica, indipendentemente da dove e come sia partita, è oggi una guerra psicologica totale. Non illudiamoci – dice il professore – l’assedio è destinato a durare. La concessione di qualche ora o di mesi di libertà vigilata servirà a indorare la pillola di nuove forme di coercizione. Non se ne esce, perché – come rileva Vighi – “la crisi del coronavirus conferma che il capitale dipende sempre più dal debito pubblico, concretamente dalla creazione di denaro virtuale/fittizio da parte delle banche centrali”. Questo significa che il cambio di paradigma in atto praticamente rappresenta la condizione necessaria per la sopravvivenza (distopica) del capitalismo, che non è più in grado di riprodursi attraverso il lavoro salariato di massa e la conseguente utopia consumistica. Perciò l’agenda della pandemia oggi è dettata, in definitiva, dall’implosione sistemica del capitalismo. Per questa ragione, il capitalismo è sempre più dipendente dal debito pubblico, dai bassi salari, dalla centralizzazione della ricchezza e del potere nelle mani di poche persone, dallo Stato di emergenza permanente e dalle acrobazie finanziarie. Così entriamo nella “nuova normalità”, perché il ritorno alla vecchia è impossibile.

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