INSEGNANDO S’IMPARA Come gennaio è diventato il numero uno

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INSEGNANDO S’IMPARA Come gennaio è diventato il numero uno

Di solito ai corsi di italiano studiamo i numeri in concomitanza con i mesi dell’anno. Ogni volta mi diverto a chiedere “Che numero è gennaio” al che mi rispondono “Uno”, “Che numero è febbraio?” “Due” e così via. Però, dopo agosto il gioco si fa interessante perché il mese seguente è il numero nove, ma nel nome del mese c’è il numero sette (settembre), seguito da otto-bre, nove-mbre e dice-mbre (rispettivamente mesi dieci undici e dodici). È il momento in cui gli studenti fanno un gratificante “Ah” di riconoscimento. Ma questo non spiega come mai ci sia una discrepanza tra il nome del mese e la sua posizione nel calendario.

Il tutto acquisisce un senso se si fa iniziare l’anno a marzo. Allora sì che sette-mbre diventa i mese numero sette! Ma così facendo, gennaio slitta all’undicesimo posto, il che sembra una stonatura.

Per trovare una spiegazione bisogna andare indietro nel tempo. Secondo le fonti che ci sono state tramandate, sembra che il calendario computato nel 753 a.C. da Romolo, fondatore di Roma, avesse solo 10 mesi. I primi quattro erano dedicati alle divinità martius (Marte – dio della guerra), aprilis (Afrodite – dea dell’amore), maius (Maia – dea della fertilità) iunius (Giunone – dea della maternità e procreazione); mentre negli altri sei si vedono chiaramente i numeri: quintilis, sextilis, september, october, november e december.

Questo calendario, che si basava su uno precedente di antiche origini etrusche, contava solo 304 giorni. Siccome questi non bastavano per coprire l’anno da una primavera all’altra, c’erano, in aggiunta, altri 60 giorni non organizzati di inverno tra december e martius.

È facile dedurre che dare struttura a questo periodo informe era solo questione di tempo. Così arrivano gennaio e febbraio, che fanno la loro prima apparizione nel 713 a.C., quando Numa Pompilio, il secondo dei sette re di Roma, li aggiunse ai dieci mesi già in uso. Quindi gennaio è effettivamente nato come il penultimo mese, in quanto l’anno civile che segnava l’inizio delle attività militari e della carica pubblica dei consoli, continuava a cominciare a marzo. Il suo passaggio al primo posto sembra sia da attribuirsi alle circostanze storiche del 154 a.C. anno in cui, per fronteggiare una ribellione, i consoli entrarono in carica il primo di gennaio, inaugurando così una nuova tradizione.

Qui le opinioni si dividono, perché le fonti classiche (Plutarco, Macrobio, Ovidio) sembrano confermare l’avvenuto passaggio al numero uno di gennaio, ma secondo lo studioso William Warde Fowler gli ufficiali religiosi insistettero a considerare marzo il primo mese.

Sembra comunque certo che già prima che Giulio Cesare, nel suo ruolo di Pontefice Massimo, riformasse nuovamente il calendario – il famoso calendario giuliano che è rimasto in vigore fino al 1582, quando fu sostituito da quello gregoriano – gennaio si fosse ormai comodamente installato nella pole-position dei mesi.

D’altronde anche il dio a cui è dedicato ne giustifica la collocazione. Giano Bifronte, (Ianus da cui il latino ianuarius) era il dio dalle due facce, che presiedeva alle porte, ai ponti, agli ingressi, perché protettore di tutte le forme di passaggio e mutamento. Considerando inoltre che una delle facce guardava al passato e l’altra era rivolta al futuro, è la figura ideale da trovare sulla soglia che separa l’anno appena concluso da quello che sta per iniziare. Possiamo immaginarcelo cerimoniere di Capodanno, intento a supervisionare la corretta entrata e uscita degli anni in questione.

A pensarci bene, questo stare un po’ di qua e un po’ di là è insito nella natura di gennaio. Nel mondo cristiano, l’anno si chiude il 31 dicembre, ma si ha la sensazione che quello nuovo abbia inizio solo dopo il sei gennaio, giorno dell’Epifania, quando finalmente si conclude la stagione festiva iniziata un mese prima con San Nicolò.

Dopodiché durante il mese non c’è molto altro da fare. La gente si riprende dalle feste; si pronunciano buoni propositi per il futuro, che spesso vengono subito infranti. I lavori all’aperto e le attività agricole si fermano.

Però è interessante notare che nei tempi passati anche questo periodo di stasi veniva utilizzato, perché a metà mese si usava accendere dei falò per ottenere ceneri con cui concimare la terra. Uno dei santi di questo “periodo dei fuochi” è Sant’Antonio Abate, la cui ricorrenza è il 17 gennaio (da non confondere con quello da Padova che si celebra il 13 giugno). Sant’Antonio è patrono degli animali domestici (inclusi quelli delle stalle e da fattoria) per cui è spesso ritratto con un maialino al seguito, ma è anche il protettore dei malati di Herpes Zoster, detto appunto “fuoco di Sant’Antonio”, malattia che provoca fiamme di dolore.

Alla fine del mese abbiamo i Giorni della Merla che dimostrano ancora una volta l’abitudine di gennaio di sconfinare nel territorio dei colleghi. Secondo la leggenda all’epoca in cui il mese contava solo 28 giorni, una merla bianca stanca di essere strapazzata da gennaio, che le mandava vento e gelo ogni volta che usciva per procacciarsi cibo, fece abbondanti provviste nei mesi precedenti. Convinta di aver ingannato il mese dispettoso, uscì dal nido al 28º giorno cantando vittoria. Gennaio risentito, escogitò subito il modo di vendicarsi: chiese in prestito tre giorni a febbraio, durante i quali sfogò la sua rabbia con tempeste di neve, freddo e ghiaccio. Per proteggersi dalla furia degli elementi, la merla con i suoi piccoli trovò riparo in un comignolo. Dopo tre giorni gli uccelli emersero dalla tana neri di fuliggine che non andò più via. Così adesso sappiamo perché i merli sono neri.

La morale della leggenda è che non bisogna provocare gennaio perché è un tantino permaloso. Però è anche un debitore poco onesto perché il prestito a febbraio non l’ha più restituito e continua a gongolarsi con i suoi 31 giorni. O forse non gli ha ridato il capitale ma paga solo gli interessi… ogni quattro anni! Buon anno bisestile.

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