«Yerma». Una vita incompresa che determina solitudine

Il brano del Dramma Croato dello «Zajc», scritto da Federico García Lorca e diretto da Rajna Racz, al suo debutto all'Exportdrvo di Fiume si presenta complesso e stratificato

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«Yerma». Una vita incompresa che determina solitudine
Il matrimonio di Yerma (Judita Franković Brdar) e Juan (Dean Krivačić). Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Secondo la formula taoista dello Yin e Yang, la vita si articola sottoforma di dualismo, per cui ogni cosa esiste in riferimento al suo opposto, contenendone il seme al proprio interno. Il giorno è luminoso perché si oppone al buio della notte, detto banalmente. Anche la nostra esistenza, a volte, procede in funzione di un’assenza. Far percepire il vuoto, la mancanza, l’inesistenza per mezzo del linguaggio teatrale è tutt’altro che facile – ma non impossibile. Infatti, come dimostrato dalla nuova produzione del Dramma Croato del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, certe volte, a teatro, l’assenza può assumere dimensioni monumentali. “Yerma” di Federico García Lorca, diretto da Rajna Racz e con Judita Franković Brdar, Deni Sanković e Dean Krivačić nei ruoli principali, ha debuttato negli spazi dell’Exportdrvo, portando in scena un interessantissimo progetto registico e delle magnifiche interpretazioni attoriali.

Diverse chiavi di lettura
Parte della “trilogia lorchiana” insieme a “La casa di Bernarda Alba” e le “Nozze di sangue”, “Yerma” affronta temi quali la maternità, la fertilità, i rapporti di coppia, la pressione sociale, l’oppressione del patriarcato e della Chiesa. Esattamente come la drammaturgia di Lorca, la regia di Racz offre vari spunti d’interpretazione, varie chiavi di lettura, a cui corrispondono altrettanti livelli della messinscena. Una di queste è, come accennato, quella dell’assenza, del vuoto. “Le ragazze di campagna come me – afferma Yerma, a più riprese e in forma diversa nell’adattamento drammaturgico firmato da Rajna Racz e Maja Ležaić – trovano tutte le porte chiuse. Tutto è mezze parole, gesti, silenzi”. È il non detto ciò che determina l’esistenza della protagonista. Ed è ciò che smuove l’intera azione scenica. Il non detto è nelle crepe del villaggio e in quelle della casa di Yerma, è nella distanza che la separa dal marito e dall’amante, è nello spazio che la avvolge. Al punto che la stessa protagonista si presenta come il negativo di tutto quanto viene taciuto.

Un segno racchiuso nella musica
La giusta intuizione di Racz sembra risiedere nell’individuazione dell’inscindibilità di queste due realtà, quella di Yerma e quella (a lei) celata. A livello visivo, infatti, la regia – in combinazione con le coreografie create da Kasija Vrbanac Strelkin – produce uno sdoppiamento dello spazio e dell’azione scenica. Oltre alla storia vissuta da Yerma in prima persona, ciò che sembra affiorare dalla scena è il segno, il riflesso di un mondo altro, che non cessa mai di comunicare con Yerma, quello racchiuso ed espresso nei movimenti delle donne del villaggio e di Bafometto, nella musica – composta da Marin Živković e incisa da Osman Eyublu, Lucija Kovačević, Golnar Mohajeri, Pedro Rosenthal Campuzano, Toni Kranjac, Mihael Hrgar e Živković stesso – che offre una cornice all’intera messinscena. Pur puntando a un maggior approfondimento dei personaggi secondari, il progetto registico di Racz provoca uno slittamento tra il piano occupato da Yerma (insieme a Juan e, per certi versi Victor) e quello dominato dalle altre figure. In questo senso, anche le donne del villaggio possono essere viste come l’immagine in negativo della protagonista. Ed è pure lo stesso spazio – le scenografie sono di Paola Lugarić – che viene scomposto e alla fine ricomposto in funzione di Yerma.

Una recitazione sorprendente
La nuova produzione del Dramma Croato dello “Zajc” è il risultato di un progetto registico complesso, che per tutta la durata dello spettacolo non smette mai di far vibrare i livelli di cui è composto. Un progetto registico che richiede, pertanto, un’interpretazione attoriale piuttosto impegnativa, basata su una gestione tra l’immedesimazione nel personaggio e una corporeità fatta di simboli e astrazioni. Sono da lodare, in questo senso, le performance offerte da Jelena Lopatić, Olivera Baljak, Biljana Lovre, Aleksandra Stojaković Olenjuk, Ana Marija Brđanović, Dora Čiča e Nika Grbelja, che interpretano le donne del villaggio, mentre Mario Jovev riesce a rendere comprensibile la misticità di Bafometto. Lo stesso discorso vale anche per Deni Sanković nella parte di Victor, il quale crea una perfetta simbiosi con l’interpretazione offerta dalla protagonista. Sorprendentemente bravo invece Dean Krivačić, in uno dei suoi ruoli più riusciti di questa stagione teatrale. Interpretando Juan, Krivačić dimostra delle straordinarie capacità di sintesi della complessità emotiva del personaggio, riuscendo a intensificare o attenuare la propria espressività, a seconda dei momenti, in un batter d’occhio.

Una pièce che non lascia indifferenti
L’assoluta protagonista, tanto a livello drammaturgico quanto a livello attoriale, è Judita Franković Brdar nella parte di Yerma. Commovente, energica e portatrice di tante abilità attoriali quanti sono i dolori e i sentimenti della protagonista, Franković Brdar regala al pubblico una performance che colpisce per la sincerità che sembra emanare, premiata alla première con forti applausi e ovazioni. “Yerma”, nella regia di Rajna Racz, non è uno spettacolo che permette una comprensione immediata. È un lavoro complesso e stratificato, che si offre a tutta una serie di interpretazioni da parte dello spettatore. Più che presentare soluzioni, sembra far aleggiare degli interrogativi e, forse proprio per tale motivo, finisce per stimolare i gusti, i sistemi di pensiero, le convinzioni e la percezione stessa del pubblico. Caratterizzato da un gioco tra il non detto, l’occulto e il taciuto da un lato, e la sofferenza in prima persona della protagonista dall’altro, il progetto registico firmato da Racz può inquietare, stuzzicare, commuovere o far disgustare lo spettatore, ma indubbiamente non lo lascia indifferenti. A completare la messinscena sono i costumi di Manuela Paladin Šabanović, il disegno luci di Dalibor Fugošić e il design del suono di Saša Predovan.

Il pubblico della serata.
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

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