L’arte allegra di Alexander Calder (foto e video)

Nel Padiglione artistico zagabrese è allestita la mostra di uno dei maggiori artisti del XX secolo, che introdusse il movimento nella scultura

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L’arte allegra di Alexander Calder (foto e video)

L’irrefrenabile bisogno di creare, lo spirito ludico e una fantasia prolifica sono le caratteristiche principali delle opere di Alexander Calder, esposte per la prima volta in Croazia, nel Padiglione artistico di Zagabria. Il percorso espositivo comprende 35 opere realizzate tra gli anni Trenta e la metà degli anni Settanta del secolo scorso, ovvero 15 mobiles e stabiles e 20 dipinti strettamente connessi alle sue sculture, che nell’ampio e arioso spazio del Padiglione artistico, per l’occasione dipinto di bianco, spiccano per la loro giocosa leggerezza. L’importante mostra si inserisce nel ciclo dedicato ai maggiori scultori del XX secolo, avviato dal Padiglione artistico nel 2014 con la mostra di Joan Miró (con il quale Calder ha numerosi punti di contatto), alla quale sono seguite le retrospettive di Auguste Rodin e di Alberto Giacometti.
Pietra miliare
L’opus artistico dello scultore americano Alexander Calder (1898, Lawnton, Pennsylvania – 1976, New York) è una delle pietre miliari nella storia dell’arte, in quanto introduce il movimento nella scultura. Calder è sinonimo dei coloratissimi e fragili mobiles con il loro movimento veloce o lento, a seconda dell’intensità delle correnti d’aria. Ma il suo opus non si limita soltanto a queste affascinanti opere che collaborano con l’ambiente circostante, bensì spazia in diverse direzioni espressive. Difatti, una parte importante della sua attività artistica la occupano i guazzi, le litografie e i disegni caratterizzati da motivi zoomorfi e biomorfi, nei quali elabora motivi come lo spazio, i pianeti, i corpi celesti, il Sole e la Luna. Gli stabiles, invece, si richiamano alla scultura “classica”, che poggia sul pavimento, ma anche qui il ruolo dello spazio circostante è importante per la percezione della scultura stessa.

Foto Tomislav Miletic/PIXSELL

Interesse per il cinetismo
L’interesse di Calder per il cinetismo risale all’inizio degli anni Trenta, quando introduce il movimento meccanico nelle sue opere. Crea sculture in legno e metallo, di cui alcune si potevano muovere manualmente e altre venivano messe in movimento da un motore. L’artista applica a questi lavori le conoscenze apprese durante lo studio di ingegneria allo Stevens Institute of Technology di New Jersey. I suoi primi mobiles vennero esposti nel 1932 a Parigi.
Cirque Calder
Il suo soggiorno a Parigi, dove giunse nel 1926, fu decisivo per lo sviluppo della sua attività e del suo spirito creativo. “L’arte dev’essere innanzitutto allegra, mai cupa”, è il pensiero con il quale Calder descrive perfettamente le sue opere. Questo pensiero anima anche uno dei progetti più interessanti dei quali si occupa nel periodo parigino: Cirque Calder. La sua passione per l’ambiente circense dà vita a numerose piccole sculture in filo metallico che raffigurano ballerine, sollevatori di pesi, domatori, acrobati, di cui alcuni sono mossi da piccoli meccanismi, mentre altri sono decorati con perline, pezzi di stoffa, cartone e altri materiali di scarto. Il Circo è caratterizzato da grande libertà e inventiva ed è il seme dal quale germoglieranno qualche anno più tardi i suoi famosi mobiles e stabiles. I suoi spettacoli circensi a domicilio furono popolarissimi e attiravano un pubblico distinto, tra cui Jean Cocteau, Joan Miró e Piet Mondrian.

Ritratti in filo metallico
Un segmento particolarmente affascinante delle opere nate nella capitale francese sono i ritratti in filo metallico, lavori di particolare pregio che Calder crea con straordinaria destrezza da una matassa di filo di metallo che porta sempre appresso.
Uno degli episodi che confermano lo spirito giocoso di Calder e tutta la sua carica creativa è raccontato nel documentario proiettato nell’ambito della mostra zagabrese. La storia dice che Calder incontrò un giorno i titolari di una galleria newyorkese, alle prese con l’organizzazione della sua mostra. L’artista sarebbe dovuto venire con un certo numero di opere da esporre nella galleria, ma invece si presentò a mani vuote. I galleristi, preoccupati, gli chiesero dove fossero i suoi lavori e lui, estraendo di tasca la matassa di filo metallico, esclamò: “Sono qui!”. Creò l’allestimento dal nulla in un giorno.

Foto Tomislav Miletic/PIXSELL

Incontro con Mondrian
Un momento decisivo nella carriera di Calder è stato il suo incontro con Mondrian nel 1930 nel suo atelièr parigino, dove è rimasto stupito da rettangoli rossi, gialli e blu che adornavano le alte pareti bianche. In quell’occasione, affascinato dalla composizione astratta, aveva osservato che forse i vari rettangoli colorati potrebbero anche muoversi con un meccanismo, ma Mondrian rifiutò l’idea. La sua idea di movimento era leggermente diversa da quella dell’artista americano. In quel momento, Calder abbandonò definitivamente la pittura e scultura figurativa e si dedicò all’astrattismo. Anche se consapevole del ruolo dell’arte di Miró nell’elaborazione della sua avventura artistica, il suo incontro con Mondrian lo incoraggia a pensare ai mobiles come a una possibilità. La sua ambizione è “creare dei Mondrian in movimento…” confida a Marcel Duchamp dopo aver visitato l’atelièr dell’artista olandese.
I mobiles
Duchamp, durante una tappa all’atelièr parigino di Calder, dove vede un oggetto motorizzato e verniciato che suscita in lui grande ammirazione, riesce a convincere la galleria Vignon di dedicare una mostra allo scultore americano. Dal momento che Calder non sa come definire i suoi lavori, gli propone di chiamarli “mobiles”. È curioso il fatto che anche i suoi “stabiles” siano stati “battezzati” da un artista importante, Jean Arp, il quale ha voluto trovare un termine in contrappunto con i mobiles.
I mobiles esposti alla mostra zagabrese spaziano dagli anni Trenta ai Sessanta. Si tratta di strutture fragili sospese nell’aria in un equilibrio delicato, che girano lentamente intorno a sé stesse a causa delle correnti d’aria. Ricordano molto l’immagine di una costellazione “sia per la struttura di una ragnatela, sia per le forme triangolari o circolari che vi sono fissate, sia per i colori con i quali queste forme sono verniciate, in quanto Calder preferiva i colori primari. Questi tre parametri permettono all’artista di mettere insieme tutte le possibili combinazioni”, scrive il critico d’arte Philippe Piguet.
La leggerezza e fragilità dei mobiles è in contrasto con la staticità e solidità degli stabiles. La loro forma, che penetra nell’ambiente in diverse direzioni, evoca un senso di irremovibile forza.

Foto Sanjin Strukic/PIXSELL

La pittura come respiro
Una sezione notevole del percorso espositivo è dedicata alle opere pittoriche di Calder, tra cui spiccano i guazzi e le litografie. L’artista si occupò di pittura nel corso di tutta la sua carriera, tanto che disponeva di uno spazio adibito a questa tecnica artistica. Stando al critico d’arte Olivier Kaeppelin, la sua pittura non è mai un’immagine ferma, congelata, bensì è un respiro, il principio di mobilità del quale vive. “La pittura è un riassunto fantastico, una ‘fonte’ inesauribile nella quale il principio fisico e filosofico si rinnova per ognuno di noi”. Nei guazzi di Calder è onnipresente il colore rosso, il preferito dell’artista, che Kaeppelin definisce come “una specie di liquido amniotico che circola nell’opera di Calder nella forma di una totalità avvolgente o di un segno che ricorda la sua importanza”. Anche in questo segmento, Calder sceglie di esprimersi con i colori primari che combina con linee e spazi neri e bianchi.
La mostra annovera opere prese in prestito dal Centre Georges Pompidou di Parigi, dal Tate Modern di Londra, dal Ludwig Museum di Colonia, dal Louisiana Museum danese, dalla Fondation Maeght francese e dal Peggy Guggenheim Collection italiano.

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