Si è tenuta ieri sera, nella Comunità degli Italiani di Fiume, la serata letteraria intitolata “Mili muoi” (L’esodo dei miei) di Carlo Colombo. L’evento è una produzione di Luisa Trevisi (idee che danno spettacolo), la quale ha salutato i presenti in sala e ha introdotto Carlo Colombo, interprete dello spettacolo e autore del libro che ne è scaturito.
Prima dell’inizio della performance, però, ai presenti si è rivolta anche la presidente della Comunità degli Italiani di Fiume, Melita Sciucca, la quale ha spiegato di aver visto la scheda dello spettacolo alcuni mesi fa e di essere rimasta sorpresa della sua qualità.
“Si parla tanto di esodo, un tema presente in pubblico, ma anche in famiglia – ha illustrato Sciucca –. Ci ricordiamo di chi è andato e di chi è rimasto. Noi che siamo ancor qui lavoriamo quotidianamente per mantenere viva questa nostra lingua e cultura. Sono molto emozionata perché in questi giorni ho firmato la richiesta di inserimento del dialetto fiumano nella lista dei beni culturali immateriali della Croazia e penso che questo sia un passo molto importante per la nostra Comunità, ma anche per tutta la città di Fiume”.
Sciucca ha concluso il suo discorso ritornando al tema del l’esodo e spiegando che la ferita, la lacerazione nata ormai sette decenni fa, è ancora presente e sta a noi, figli e nipoti di quella generazione, ricucirla.
Carlo Colombo, pianista, autore e cantante trevigiano, ma anche un figlio di profughi giuliano-dalmati, nel suo spettacolo ha raccontato, tra musica e versi, la storia della sua e di tante altre famiglie che hanno lasciato le nostre terre. Ha ricordato le storie e gli aneddoti di una volta, abbinandoli a melodie popolari. Ha deciso di affrontare lo spinoso tema dell’esodo dai territori dell’Istria e della Dalmazia a seguito dell’instaurazione della dittatura comunista della Jugoslavia di Tito dopo il 1945, vissuto in primis dalla sua famiglia sia paterna che materna.
Racconta storie di fughe via mare e via terra accompagnandosi con il pianoforte, l’ekatron e il Toy Piano; lo fa anche cantando canzoni d’epoca e canzoni originali che ha scritto appositamente per questo spettacolo.
Le testimonianze sono tutte dirette e acquisite sin dall’infanzia dai suoi nonni e quando dagli anni Settanta in poi ritornò regolarmente con i suoi genitori nelle terre di origine.
Parla di Nori, di Livia, di Tina, donne che, aiutate dai loro uomini, hanno ricostruito la propria vita lontano dalla terra di nascita a seguito di rocambolesche fughe, rischiose per sé e per i familiari rimasti. Lo spettacolo è un viaggio sonoro attraverso i ricordi di un mondo che c’era e che si è spostato altrove.
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