La dura realtà delle condizioni carcerarie

A colloquio con l’aiuto regista Cecilia Lupoli e i tre attori de «Il colloquio» del Collettivo lunAzione di Napoli, brano portato a Portole in occasione della rassegna teatrale «Il carro di Tespi», organizzata dal Dramma Italiano e dal Comites di Fiume

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La dura realtà delle condizioni carcerarie
Alessandro Errico, Marco Montecatino e Renato Bisogni nei panni di Pina, Maria Assunta e Annarella “core ‘e fierro”. Foto: MALÌ EROTICO

Per mezzo del teatro sociale, il pubblico viene a trovarsi davanti quella realtà che gli sfugge, che cerca di evitare o che semplicemente stenta a raggiungere. Visto in scena, il mondo che ci circonda certe volte può apparire più vero, più crudo, più diretto. Le vite che prima ci sembravano lontane improvvisamente fanno parte dei nostri stessi ricordi e, per un brevissimo istante, l’incontro con l’altro corrisponde a una perfetta immedesimazione. Potrebbe riassumersi così l’esperienza dello spettatore che assiste a “Il colloquio” del Collettivo lunAzione di Napoli (www.collettivolunazione.it). Lo spettacolo – che il pubblico istriano ha avuto l’occasione di vedere quest’estate a Portole, in occasione della rassegna teatrale “Il carro di Tespi”, organizzata dal Dramma Italiano e dal Comites di Fiume in collaborazione con lo Zakon Teatar di Karlovac – è nato nel 2019 nell’ambito del Premio Scenario dell’Associazione Scenario di Bologna, diretta da Cristina Valenti. Il progetto registico firmato da Eduardo Di Pietro, con costumi di Federica Del Gaudio e con l’organizzazione di Martina Di Leva, porta in scena la dura realtà delle condizioni del carcere di Poggioreale, a Napoli, vista attraverso gli occhi di tre donne, Pina, Maria Assunta e Annarella “core ‘e fierro” – interpretate con maestria da Renato Bisogni, Alessandro Errico e Mario Cangiano/Marco Montecatino –, in attesa dell’inizio dei periodici colloqui con i detenuti. A parlarci della messinscena e dell’universalità delle tematiche che emergono nel corso dello spettacolo sono stati l’aiuto regista Cecilia Lupoli e i tre attori che abbiamo avuto modo di vedere in scena in Istria.

Una pièce nata gradualmente
In quale modo è stato creato “Il colloquio”?
Cecilia: “È stato Eduardo ad aver avuto l’idea di portare in scena quelle tematiche, dopo aver visto il documentario ‘Il loro Natale’ di Gaetano Di Vaio, che parla delle condizioni del carcere di Poggioreale. Ed è così che abbiamo deciso di partecipare al Premio Scenario che, oltre a essere un concorso prestigioso che ti dà la possibilità di avere un aiuto produttivo, è assai particolare per la modalità in cui è strutturato. Infatti, ti consente, passo per passo, andando avanti con le fasi della selezione, di mettere gradualmente a fuoco quello che vuoi raccontare. Dai cinque minuti della prima selezione, si passa ai venti minuti nella seconda fase e poi, quando si arriva alla finale, la commissione ti interroga su una serie di aspetti legati alla messinscena e al risultato a cui vuoi arrivare. Questo ti pone sempre a farti delle domande, a non dare mai per scontato quello che hai fatto, ma a metterlo continuamente in discussione. Così, passo per passo, abbiamo costruito lo spettacolo.”

Il lavoro sulla drammaturgia si è basato, in parte, su storie vere…
Cecilia: “Nella seconda fase delle selezioni al Premio Scenario abbiamo avuto l’opportunità di intervistare delle donne che avevano vissuto delle esperienze in prima (o seconda?) persona con il carcere, le quali ci hanno dato tanti spunti drammaturgici, che poi si sono uniti alle improvvisazioni impostate da Eduardo e da me. Fin da subito abbiamo lavorato sui personaggi e abbiamo diviso le protagoniste per età: un’anziana, una giovane e una ‘novellina’. La messinscena è stata poi completata durante le due settimane di residenza artistica al Teatro Due mondi di Faenza, che abbiamo ottenuto grazie alla vittoria al concorso.”

Un’evoluzione continua
Lo spettacolo si è trasformato nel corso delle repliche oppure è rimasto sostanzialmente intatto dal debutto?
Alessandro: “La struttura del mio personaggio si è evoluta un po’ per volta nel corso delle prime repliche, fino a raggiungere la forma che ha ora, però la partitura di micromovimenti e di mini reazioni di Pina cambiano a seconda della sera, ci sono sempre delle micro-intenzioni diverse.”
Renato: “Nel mio caso, essendo la mia prima vera forte esperienza teatrale, il mio personaggio, con il tempo, è cresciuto con me. È assurdo dirlo, ma è come una tua personale opera d’arte, come una ricerca infinita…”
Mario: “Nella fattispecie, questo spettacolo ha una partitura molto precisa perché è caratterizzato da tutta una serie di movimenti che per forza di cose devono essere eseguiti tutte le sere, però le sfumature sono sempre diverse. Nel personaggio di Maria Assunta c’è soltanto un momento che replica per replica è flessibile, che però in Croazia abbiamo lasciato uguale per via della traduzione – sono le notizie del giornale. È molto divertente raccontare i fatti di cronaca attuali, spesso anche cronaca rosa che fa divertire il pubblico.”

Esperienza positiva
Com’è stato portare “Il colloquio” in Istria?
Alessandro: “È stata la prima volta che lo abbiamo rappresentato all’estero e devo dire che è stata un’esperienza accogliente. L’ospitalità che abbiamo ricevuto dal Dramma Italiano e dal Comites di Fiume ci ha fatto sentire davvero bene, ci siamo sentiti in famiglia. Per quanto riguarda il pubblico, non ho sentito tanta differenza, da un punto di vista tecnico, dalle reazioni che abbiamo in Italia con spettatori italiani. Anzi, in alcuni punti ho notato delle risate a cui noi non siamo abituati. Quindi, è stato bello anche interagire in un modo diverso.”
Renato: “Portole è una località molto diversa dai luoghi in cui abbiamo girato finora con ‘Il colloquio’. Portare lo spettacolo in tournée ti arricchisce, perché poi ti porti dietro anche quei profumi, quei suoni, quelle persone, quelle sensazioni, quelle atmosfere… Dopo la prima replica, un ragazzino assai simpatico ci ha fermati per farci le congratulazioni. Poi, alla mia domanda su quanto abbia compreso dello spettacolo, ha risposto di aver capito ‘l’ottanta per cento’… Immagino, quindi, che gli adulti lo abbiano afferrato appieno.”
Mario: “L’esperienza è stata assolutamente positiva. È bello vedere un pubblico straniero che riconosce non solo un linguaggio differente, ma anche un diverso modo di interpretare il corpo in scena rispetto a quello della propria nazione. Poi l’impatto con gli spettatori istriani è stato bellissimo. Anzi, è stato notevolmente più caloroso rispetto a come ci era sembrato di giorno, mentre passeggiavamo per il paese. Di giorno ci sono sembrati tutti molto composti, sobri, educati, quasi si sussurrava per strada, poi però il pubblico della serata è stato vivace e cordiale, sembrava quasi di stare al sud Italia.”

Il fatto che “Il colloquio” sia incentrato su una tematica così particolare, come quella delle condizioni del carcere di Poggioreale, ostacola il coinvolgimento di un pubblico d’oltre confine?
Mario: “Credo che il carcere sia un pretesto. È uno spettacolo piuttosto universale da questo punto di vista. Non credo che la questione sia se uno conosce o meno o è mai stato in carcere. ‘Il colloquio’ è un lavoro che, come spesso accade a teatro, parla di umanità. Che poi nella fattispecie quel luogo del carcere rappresenti uno spaccato, è ovvio. Però credo che parli poi della società in sé, di tre donne che si trovano sulle stesse difficoltà e alla fine della fiera, per quanto litighino e per quanto siano egoiste a loro modo, sono sulla stessa barca.”

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