Istria Nobilissima. Stella Defranza, un racconto dal potere catartico

A colloquio la giornalista insignita del secondo premio nella sezione Prosa in lingua italiana per il racconto «La bambina che non c'è»

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Istria Nobilissima. Stella Defranza, un racconto dal potere catartico
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Dopo aver vinto nel 2021 il primo premio nella sezione Prosa in lingua italiana della categoria Letteratura al Concorso d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima” (bandito dall’Unione Italiana), Stella Defranza, giornalista e redattrice del nostro quotidiano, si è aggiudicata il secondo premio nella medesima categoria all’edizione successiva della competizione. A differenza de “L’ornitorinco”, che due anni fa era stato riconosciuto al Concorso per il fatto di offrire un “veridico, appassionato sguardo sull’esperienza di studenti ‘italiani nel cuore ma non su carta’” essendo “quasi un manuale per aspiranti studentesse e studenti negli Atenei della madrepatria”, il racconto che quest’anno ha portato un altro riconoscimento all’autrice è legato a un’esperienza che non riguarda temi quali l’identità linguistica o l’appartenenza nazionale. Intitolato “La bambina che non c’è”, il racconto di Defranza è stato premiato alla 55.esima edizione di “Istria Nobilissima” per una “scrittura incalzante, accurata ed efficace, con un flusso narrativo dal ritmo calibrato”. Nel corso di un’intervista, l’autrice ci ha parlato dei significati racchiusi nel testo, che racconta in prima persona un improvviso cambio di rotta di una donna in seguito a un’esperienza traumatica, e dell’aspetto autobiografico che lo caratterizza.

All’ultima edizione del Concorso “Istria Nobilissima” ha partecipato con un testo piuttosto diverso da quello che due anni fa le aveva portato la vittoria nella stessa categoria, per quanto riguarda il tipo di tematica.
“Dopo la scorsa edizione di ‘Istria Nobilissima’ avevo pensato di scrivere un testo di pura fantasia. Poi, però, mi sono resa conto che non è possibile inventarsi una storia che non abbia alcuna correlazione con ciò che tu sei, col tuo vissuto o con il tuo stato d’animo. E poi devo ammettere di essermi stufata un pochino del fatto che, oltre al tema dell’esodo e di altre questioni storiche della nostra minoranza, siano davvero poche le altre tematiche trattate dalla produzione letteraria della CNI. Ovviamente, nell’ambito del Concorso ‘Istria Nobilissima’ si punta sempre su temi quali la salvaguardia della lingua e argomenti legati alla storia di questi territori, che certamente è validissimo, ma credo che la nostra produzione letteraria debba andare anche oltre. L’anno scorso avevo partecipato al concorso con ‘L’ornitorinco’, un saggio riconducibile a quelle tematiche, ma questa volta ho voluto presentare un lavoro diverso e non mi dispiace di averlo fatto”.

È soddisfatta del risultato?
“A dire il vero, non saprei. Ho cercato di fare del mio meglio anche se, da un certo punto di vista, la storia mi mette un po’ a disagio. Quando inizi a scrivere, c’è sempre qualcosa che ti attira del tuo vissuto e, alla fine, utilizzi quello. Come ispirazione per questo racconto, ho usato una mia relazione tossica che avevo avuto in passato. In questo senso, ‘La bambina che non c’è’ è stata come una catarsi. Ho pensato, cioè, di scriverlo per dargli un senso e poi non pensarci più”.

Ha voluto offrire con questo testo anche un’occasione di catarsi per il lettore?
“Sono una persona indipendente, ho una casa e un lavoro e non dipendo da altri. Però ho cercato di entrare nei panni di una donna che si trova in una situazione disagiata da questo punto di vista, con una relazione che non la fa stare bene e con dei figli da allevare. In situazioni del genere, è assai difficile fare un taglio netto e andarsene. Ho provato a immaginare una situazione di questo tipo, ma dando una via di fuga alla protagonista”.

Ci sono, quindi, diversi elementi biografici nel testo?
“Sì. Nella prima fase della scrittura, ho cercato di evitare di inserirvi vicende personali, ma poi il racconto ha preso una vita propria e non mi sono più fatta problemi a inserire nel testo esperienze vissute in prima persona”.

Ha pensato di approfondire la storia, magari facendone un proseguimento?
“Devo ammettere che ‘La bambina che non c’è’ l’ho presa più come un esercizio. Semplicemente volevo cimentarmi nella scrittura di un racconto. Il mio non è un testo scritto di getto. Prima di iniziare la stesura, ho riflettuto sulla struttura che avrei voluto dargli, a dove sarei andata a parare. Scrivendolo un po’ per volta, sono arrivata al risultato finale. È un testo che riguarda un’esperienza assai intima e, quindi, scrivendolo, sono stata costretta ad aprirmi al lettore. Per quanto sia intrigante e interessante lavorare su un racconto di questo tipo, è al contempo una sensazione molto disagiante”.

Il fulcro del suo racconto riguarda un’esperienza angosciante della protagonista, che per pochi istanti crede di aver perso la figlia…
“È un episodio che ho vissuto in prima persona. Eravamo a Cherso, ci stavamo facendo una nuotata con i SUP e io e mia figlia avevamo deciso di appartarci su una spiaggetta. Con il caldo che c’era, io mi sono appisolata e per un attimo ho perso di vista mia figlia. È stato un momento di terrore, ma mi ha aiutato a guardare la vita in prospettiva. Spesso ti preoccupi per il lavoro o per sciocchezze varie, però poi ti rendi conto di quanto siano vere quelle espressioni, che troppo spesso prendiamo per scontate, che pongono l’accento sull’importanza della salute, della famiglia e delle piccole cose della vita che ci rendono felici”.

Crede siano necessari momenti del genere per far richiamare la nostra attenzione sulle cose che contano davvero?
“A volte sì, purtroppo. Pur sapendolo, ci capita di perdere di vista le vere priorità. Quando sei genitore, la paura della perdita la senti molto più vicina, al punto che spesso succede che trascuri il tuo stesso stato d’animo”.

Come mai ha optato per un finale così brusco?
“Avendo fatto esperienza di prima mano del comportamento di persone manipolatrici, ho voluto rendere l’idea del ricatto emotivo che avviene in rapporti del genere. Nel momento in cui questo tipo di persona si rende conto della fine della relazione, attacca, il che è, in un certo senso, il succo di questi rapporti”.

Crede che la scrittura di testi di questo tipo abbia influito sulla sua attività giornalistica?
“Non penso sia il caso. Si tratta di due sfere totalmente diverse”.

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