Incrocio di culture nella prima metà del XIX secolo

La prof.ssa emerita Ilona Fried, dell'Università degli Studi di Budapest, ha tenuto al Dipartimento di Italianistica di Fiume una lezione su Enrico Morovich e Franco Vegliani

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Incrocio di culture nella prima metà del XIX secolo
Corinna Gerbaz Giuliano, Ilona Fried e Gianna Mazzieri-Sanković. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

La ricca storia di Fiume, contrassegnata dal dominio di diversi imperi, stati e reggenze, è ben nota, anche perché ciascuna influenza straniera ha lasciato una profonda traccia nella popolazione, nell’architettura e nella cultura del capoluogo quarnerino. Il periodo dell’Austria e ungheria, ovvero della fine del XIX secolo e inizio XX secolo, è il campo d’interesse della prof.ssa emerita Ilona Fried dell’Università Loránd Eötvös di Budapest, la quale ha dedicato diversi suoi libri non solo alla città di Fiume, ma anche alla sua popolazione italofona. Fried è stata ospitata ieri pomeriggio al Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume, dove ha tenuto una lezione intitolata “Confini nell’immaginario letterario: Enrico Morovich, Franco Vegliani”.

Una fiumana d’adozione
Il benvenuto agli studenti e alla relatrice è stato dato dalla capodipartimento di Italianistica, Corinna Gerbaz Giuliano, la quale ha dichiarato che la studiosa è stata già menzionata in aula in riguardo ai testi consultati.
“La sua ricerca verte sull’Otto e Novecento – ha illustrato – e in particolar modo sugli studi interculturali, sul teatro italiano, sulla prosa contemporanea e sui rapporti tra Ungheria e Italia. Potremmo dire che la professoressa è fiumana d’adozione. Nel corso della sua carriera ha pubblicato più di duecento saggi e articoli e ha partecipato a numerosi convegni. Ci sta particolarmente a cuore la monografia ‘Fiume. Città della memoria’ edita nel 2005. Fried è anche caporedattrice della rivista online ‘Italogramma’.
La professoressa Gianna Mazzieri-Sanković ha aggiunto che le lezioni dell’ospite sono preziose e riguardano il corso universitario di questo semestre. Questi argomenti vengono trattati solitamente alla fine del corso di Letteratura, ma in questo caso si è deciso di sfruttare l’occasione per ospitare la relatrice e anticipare i tempi.
“È prezioso il suo studio per la cultura fiumana, lo spazio tra la fine del XIX secolo e il 1945, un periodo turbolento ma dalla grande produzione culturale – ha puntualizzato Mazzieri-Sanković –. In questa occasione tratterà di due autori fiumani, anche se Vegliani è nato a Trieste. Enrico Morovich è nato a Fiume nel 1906, ma successivamente sarà esule. Questi due autori rappresentano la letteratura fiumana ai tempi delle avanguardie e delle riviste culturali di spicco, come ad esempio ‘Delta’”.

Testimonianze di un’epoca passata
La professoressa Ilona Fried ha salutato gli studenti spiegando di essere molto commossa per il fatto di poter parlare all’Università fiumana. Anche se si è occupata di storia, letteratura e società fiumana, ha ammesso di aver studiato queste cose molto tempo fa, all’inizio degli anni Novanta, quando preparava il suo primo libro “Fiume. Città della memoria” e ha invitato le docenti fiumane, che sicuramente sono più esperte in materia, di intervenire.
Fried ha spiegato che nel corso delle interviste per il suo libro ha parlato con testimoni della cultura italiana che erano anziani all’epoca e ora non ci sono più. Una di queste persone era lo storico Leo Valiani, protagonista della Resistenza italiana, il quale ha trattato il crollo dell’Austria e Ungheria. Lui nacque a Fiume, una città che parlava tutte le lingue dell’Impero e potremmo considerarlo il simbolo di questa multiculturalità.
Per quanto riguarda il tema della lezione, la docente ha scelto alcuni brani delle opere più famose di Vegliani e Morovich, come ad esempio “Processo a Volosca” e “La frontiera” del primo, nonché “Un italiano di Fiume”, “Un cartoccio di funghi” e “Il baratro” del secondo.

Una città di confine
Il tema portante della lezione è stato quello dei “Confini nell’immaginario letterario” perché Fiume, oltre che incrocio di culture, diventa anche un confine, in parte naturale, ma anche della coscienza.
“Io che alloggio all’albergo ‘Continental’ guardo il Delta e il confine di una volta e penso ai grandi cambiamenti che sono stati segnati da questo corso d’acqua naturale – ha dichiarato Fried –. All’inizio del Novecento il germanista e traduttore Enrico Burich, in una lettera a Giuseppe Prezzolini diceva che gira per la Cittavecchia in cerca della nostra italianità. Burich faceva parte di una generazione che cerca la propria identità e il rapporto con l’Italia. I fiumani di allora a volte non si rendono conto di essere padroni di una cultura che arricchiva notevolmente la cultura italiana, che oltrepassava i centri culturali italiani perché poteva aprire prospettive che magari mancavano in italia”.
La professoressa Fried ha letto poi un brano delle memorie di Mittner, nel quale il grande germanista ricorda le atmosfere fiumane negli anni Sessanta del Novecento, dopo tutti gli avvenimenti tragici della Seconda guerra mondiale.

Cambiamenti politici e tensioni
Viene ricordato soprattutto come collaboratore di giornali quali “Il Mondo”, “La Nazione”, “Il Giornale d’Italia”, nonché per le numerose opere letterarie, di cui la prima “L’osteria sul torrente” è del 1936, mentre l’ultima “Un italiano a Fiume” è del 1993. Morovich fa uso di due generi: la prosa autobiografica e la memorialistica. Nelle sue opere si nota la fantasia, i sogni della sua infanzia, ma i ricordi spesso cambiano in base al suo presente. Nonostante tutto il letterato mantiene un tono realista.
La professoressa ha letto agli studenti un brano nel quale Morovich racconta il periodo dopo il 1914, che per lui rappresenta la fine di un’epoca felice. Morovich menziona i cambiamenti geopolitici, ma parla anche delle tensioni tra i membri della famiglia a seconda della loro visione politica. In alcuni romanzi e racconti l’autore ricorre a spunti di grottesco o assurdo.
Nel romanzo “Il baratro” (scritto nel 1956, pubblicato nel 1964) l’elemento naturale diventa parte essenziale dell’intreccio e lo spazio concreto spesso diventa un confine sottile tra la vita e la morte. Le metafore del confine vengono usate, dunque, non solo in senso geografico. “Il baratro” è un giallo che inizia col monologo di un cane, che scopre che una vecchia signora è stata uccisa dal suo vecchio padrone. Viene di fronte a un baratro nel bosco dove molti vengono buttati e nessuno ne esce fuori. Il bosco diventa un paesaggio della morte. Il romanzo diventa una reminiscenza delle foibe in una forma grottesca ed è l’elaborazione in tono fiabesco della terribile esperienza di queste zone, vissuta da quella generazione.
Nel romanzo “Il cartoccio dei funghi” la situazione di partenza è molto semplice. Una giovane coppia va in villeggiatura e prende in affitto una stanza. Non sono concordi sul prezzo, motivo per cui la signora ruba un po’ di funghi alla padrona e li sostituisce con delle patate. La padrona sospetta la domestica, che si taglia un’unghia e finisce in ospedale. I periodi brevi e le battute secche indicano l’imprevedibilità e l’assurdità dell’azione. Il braccio si infetta e dopo qualche mese la domestica muore.

Due storie parallele
Il fiumano d’elezione Franco Vegliani durante la Seconda guerra mondiale fu fatto prigioniero in Africa e durante la prigionia iniziò a scrivere i suoi due romanzi: “Processo a Volosca” (1958) e “La frontiera” (1964). Nel libro “Processo a Volosca” il narratore è un italiano che fa amicizia ai tempi del fascismo con quattro ragazzi slavi che diventano complici di un omicidio. La questione centrale è la colpa e la punizione, la possibilità o meno di giustizia in quelle condizioni storiche. Patrizia Hansen ha definito il romanzo “La geografia dell’anima”.
Fried ha spiegato che “La frontiera” è un romanzo di interesse particolare con due storie parallele. La prima avviene ai tempi della Prima guerra mondiale e riguarda un fiumano che si chiama Emidio Orlich, mentre la seconda è legata alla Seconda guerra mondiale.
Il narratore, un ufficiale dell’esercito italiano che occupa parte della Dalmazia, torna ai luoghi d’origine della sua famiglia. Il personaggio Simeone custodisce le memorie di Emidio, di una generazione prima della Prima guerra mondiale. Emidio ha vissuto l’impero multietnico e multiculturale dell’Austria e Ungheria, dove “Italiano? Slavo? Che cosa significa? Non siamo forse tutti austriaci?”, come dice un personaggio. A un certo punto Emidio perde la sua identità e diventa vittima di questa perdita. Passato il fronte viene ucciso. Simeone, suo nipote, impiegato di alto rango della dogana, conserva i suoi documenti e li fa vedere all’ufficiale, che parte come uno che crede sinceramente nell’esercito e nel suo ruolo. Non si pone domande e obbedisce agli ordini.
Nel finale del romanzo l’ufficiale finisce il suo congedo e Simeone viene arrestato dall’esercito italiano insieme ad altri sospetti. Non aveva commesso niente ma era stato suddito prima austriaco e poi jugoslavo.
L’ufficiale in conclusione del romanzo ammette che essere dalla parte dei vincitori non era una sensazione piacevole, perché il suo amico era tra i prigionieri.
La docente ha concluso la sua lezione consigliando agli studenti la visione del film di Franco Giraldi, “La frontiera”.

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