Il Sud Tirolo e la tutela della madrelingua

Secondo lo studioso l’insegnamento delle lingue e degli idiomi deve essere inserito sia negli asili che nelle scuole ma non a scapito della madrelingua minoritaria

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Il Sud Tirolo e la tutela della madrelingua
Foto: Cristian Kollmann

Il Convegno scientifico “Promozione della varietà linguistica nell’Europa centrale”, organizzato dallo Stato Libero di Fiume e dalla Coppieters foundation, con il sostegno della Città di Fiume e della Regione litoraneo-montana, nonché in collaborazione con il Museo civico di Fiume, la Società di Studi Fiumani, la Comunità degli Italiani di Fiume e la Cattedra per la Lingua ungherese dell’Ateneo fiumano si è svolto lo scorso novembre a Fiume. All’incontro di illustri ricercatori e linguistici ha preso parte pure Cristian Kollmann, linguista ed esperto di toponomastica, specializzato nelle aree del Tirolo e di Lussemburgo. È autore di due importanti monografie, “Grammatik der Mundart von Laurein” (Stoccarda, 2012) e “Luxemburger Familiennamenbuch” (Berlino, 2016). Attualmente impegnato come libero collaboratore a un progetto sui nomi preromani nell’area del Tirolo e presso il partito Süd-Tiroler Freiheit, ha condiviso con il nostro quotidiano alcune sue scoperte e ragionamenti.

Come mai si è occupato del sistema scolastico in Sud Tirolo?
“Io sono un linguista, ma al contempo mi occupo anche di politica e faccio parte del partito indipendentista ‘Süd-Tiroler Freiheit’, membro della European Free Alliance, un partito politico europeo che raggruppa 43 partiti e movimenti in 19 Stati, che sostengono politiche di regionalismo, autonomismo, indipendentismo. Ho deciso di parlare del sistema scolastico perché credo fermamente nell’importanza dell’insegnamento nella madrelingua della minoranza”.

È molto interessato anche alla realtà linguistica fiumana?
“Sì, nelle mie ricerche mi è capitato di studiare la complessità etnica della città in una prospettiva storica. Nella lezione tenuta a Fiume avevo presentato, ad esempio, alcuni documenti storici come ad esempio la ‘Topographia Provinciarum Austriacarum’ di Matthäus Merian e Martin Zeiler, una mappa della città pubblicata a Francoforte nel 1679, oppure altri documenti che dimostrano che a Fiume, Rijeka o Sankt Veit am Flaum o Pflaum, esiste una storia molto profonda di multilinguismo, con la predominanza dell’italiano. Storicamente molti giovani venivano inviati a Fiume da diverse parti dell’Impero austro-ungarico per imparare l’italiano”.

Due realtà molto simili
Si può tracciare un parallelo con il Sud Tirolo?
“Ovviamente i cambiamenti storici hanno avuto conseguenze anche in Sud Tirolo, come è avvenuto a Fiume, però a differenza di Fiume nel Sud Tirolo nel Medioevo la lingua predominante era il tedesco. Attualmente la regione è inserita nei confini italiani ed è autonoma. Confina con la Svizzera a ovest e con l’Austria a nord ed est. Nel 1920, contrariamente al volere della popolazione, l’area è stata separata dall’Austria e annessa all’Italia. Proprio come è avvenuto a Fiume, nel Sud Tirolo il profilo linguistico e nazionale della popolazione è cambiato tanto negli ultimi cent’anni. Al momento dell’annessione più del 90 per cento della popolazione parlava il tedesco, una piccola percentuale, pari a circa il 3 per cento, parlava l’italiano e una piccolissima percentuale parlava il ladino, un idioma retroromanzo. I ladini sono il gruppo etnico più antico della regione”.

Gli anni Quaranta e Settanta
Com’è la situazione oggi?
“Ovviamente adesso la situazione è molto diversa. Delle tre lingue ufficiali i parlanti tedesco sono il 69 per cento, i parlanti italiano solo il 26 per cento e i ladini sono il 5 per cento. La percentuale di italiani è cresciuta anche a causa di un’ondata migratoria incoraggiata dal fascismo, che aveva in piano di ‘italianizzare’ la zona. All’epoca del fascismo vennero chiuse le scuole tedesche e fu vietato l’uso di tedesco o ladino. Il risultato di questo divieto fu che il tedesco continuò a venire insegnato e usato in famiglia e in quelle che segretamente venivano chiamate ‘scuole catacomba’. Dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1946, la situazione cambiò e il Sud Tirolo riuscì a ottenere una sorta di autonomia, sia dall’Italia, che dall’Austria. Tale autonomia entrò in vigore nel 1948 con il primo Statuto speciale di autonomia del Trentino – Alto Adige (il termine “Alto Adige” per la parte prevalentemente tedesca del Tirolo meridionale fu imposto sotto il fascismo e non è stato abolito fino ad oggi). Il documento sanciva il ripristino delle scuole in lingua tedesca e l’uso della stessa, ma l’Italia continuò a sostenere politiche di immigrazione e assimilazione. Un altro passo in avanti è stato fatto nel 1972 con il secondo Statuto speciale di autonomia del Trentino – Alto Adige, che ha trasferito la maggior parte delle competenze inizialmente attribuite alla Regione alle Province autonome di Trento e di Bolzano e ha decretato che i bambini debbano frequentare asili e scuole nella loro madrelingua, ovvero in tedesco o italiano”.

Come stiamo con il ladino?
“In Ladinia, nel cuore delle Dolomiti, la situazione è differente. Durante il fascismo la zona è stata divisa tra tre provincie italiane in modo da indebolire la minoranza (Bolzano, Trento e Belluno) e attualmente i ladini di Belluno non sono nemmeno riconosciuti come minoranza etnica e vengono considerati assimilati. In Sud Tirolo la situazione è molto migliore ed esistono persino scuole nelle quali viene applicato il principio di parità linguistica e nelle quali il ladino viene affiancato a italiano e tedesco con lo stesso numero di ore settimanali. La parità e l’uso vengono applicati anche agli asili. In pratica, il sistema della parità scolastica significa che in prima elementare i bambini imparano a leggere e scrivere in tutte e tre le lingue e gli insegnanti devono parlarle fluentemente. Dalla seconda classe i contenuti vengono proposti in italiano o tedesco e il ladino viene usato come lingua ausiliaria. In compenso, vengono organizzate lezioni di lingua e cultura ladina e dalla quarta classe pure due ore a settimana di inglese”.

La quantità riduce la qualità
Come funziona la cosa in pratica?
“Grazie a questo modello, che nel nome porta la parola ‘parità’, ci possiamo accorgere che il ladino non è per niente paritario alle altre due lingue, ma i ragazzi hanno la possibilità di usare la loro madrelingua come sostegno alle altre. Reputo che due ore a settimana di ladino non bastino a mantenere vivo l’idioma a lungo termine. Un problema di base è pure il fatto che la lingua viene usata solo in un’area circoscritta. Fino a poco tempo fa non veniva usata per i testi scritti e non abbiamo una versione ‘standard’ della stessa. Un vantaggio è la sua neutralità e spesso i bambini nati in matrimoni misti, la considerano una lingua franca senza connotati nazionali. Un insegnamento in troppe lingue, però, ha mostrato che spesso la quantità riduce la qualità. Un esempio lampante è la Val D’Aosta, dove le scuole francesi, dopo la Seconda guerra mondiale, vennero rimpiazzate con quelle italo-francesi. A lungo termine questo portò alla riduzione dei parlanti francese e franco-provenzale dal 90 al 20 per cento. Con la perdita della lingua si è persa pure la coscienza dell’importanza del bilinguismo e oggi la maggior parte dei valdostani pensa che l’italiano sarebbe da usare nella pubblica amministrazione perché tanto lo parlano tutti”.
Quindi le scuole dovrebbero essere interamente nella madrelingua dei ragazzi?
“Penso di sì, anche se negli ultimi anni il Governo sudtirolese ha ripetutamente sperimentato il modello CLIL o ‘Content and Language integrated learning’. In base a questo modello una materia può venire insegnata nella lingua che non è la madrelingua dello studente, in contraddizione con lo Statuto di autonomia menzionato prima. Questo modello è particolarmente svantaggioso per i ladini. Le ricerche linguistiche hanno dimostrato che i ragazzi sudtirolesi hanno un’ottima comprensione di tutte e tre le lingue, ma secondo me tali ricerche sono carenti in quanto non hanno valutato l’espressione scritta e orale, ma solo la conoscenza passiva relativa a lettura ed ascolto”.

Usare il multilinguismo con cautela
Cosa possiamo fare per preservare il multilinguismo?
“Indipendentemente dal metodo scolastico, sia quello paritario, multilinguistico o il CLIL, quando si parla di promozione del multilinguismo, ciascuno di questi modelli è comunque lodevole ed è meglio di niente. Le minoranze apprezzano il fatto che la loro madrelingua venga usata nelle scuole, seppur in maniera marginale. L’applicazione però è molto soggettiva e ciascuna area ha bisogni diversi. Il principio di base deve essere: l’insegnamento multilingue sì, ma non a scapito della madrelingua minoritaria. Nelle aree minoritarie l’insegnamento multilinguistico deve essere sempre indirizzato, come continuo a ripetere, ad avvantaggiare la madrelingua della minoranza”.

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