Il settore culturale punta sull’inclusione

Tino Vodanović, membro del Consiglio culturale inclusivo istituito in seno al programma «La cultura a tutti», racconta in un'intervista il processo d'ammissione agli enti e ai contenuti culturali per le persone affette da disabilità

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Il settore culturale punta sull’inclusione
Nel corso degli studi universitari Tino Vodanović si è sentito accettato sia dai docenti che dai colleghi. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Uno dei temi più attuali a livello politico negli ultimi anni se non decenni è la par condicio, ma anche nella società si parla di pari opportunità, quote rosa, inclusione e integrazione di tutte quelle categorie che per un motivo o un altro sono marginalizzate. Uno dei problemi che accompagnano l’emarginazione è pure l’esclusione dalle istituzioni culturali e dai contenuti di tipo culturale, prerogativa di persone dalla mobilità o dai sensi non compromessi. A parlare della situazione difficile delle persone affette da disabilità è Tino Vodanović, ex coordinatore dell’Ufficio per gli studenti affetti da invalidità dell’Ateneo fiumano e membro del Consiglio culturale inclusivo istituito in seno al programma “La cultura a tutti”. Tino Vodanović è laureato in Studi culturali e conosce da vicino la problematica della disponibilità dei contenuti culturali, non soltanto perché per spostarsi usa la sedia a rotelle, ma anche perché ha viaggiato per tutta Europa e ha incontrato realtà ben diverse da quella fiumana.

Un’analisi scientifica
Da dove è nato l’interesse per gli Studi culturali?
“Gli studi culturali comprendono molte discipline e tra queste ci sono pure le persone affette da disabilità e la disabilità in generale. Anche se sono disabile, non ho mai studiato da vicino la mia condizione prima di iscrivermi alla Facoltà e dunque per me questo corso di studio è stato un’occasione per analizzare con occhio scientifico cosa vuol dire essere disabile nella nostra società oggi. Nel corso degli studi universitari mi sono sentito accettato per la prima volta in vita mia, sia dai docenti, che dai colleghi di studio. Apprezzo i professori anche per il fatto di non aver abbassato i criteri nei miei confronti, dandomi la possibilità di dimostrare veramente di cosa sono capace”.

Le persone disabili vengono trattate in maniera diversa in seno al sistema educativo?
“Sì, ma è una lama a doppio taglio. Tutti noi siamo contenti quando possiamo superare gli ostacoli senza sforzo, ma in questo modo si alimentano pregiudizi sulle nostre capacità. All’Università ho incontrato per la prima volta un ambiente che mi ha spronato a dare il massimo e non mi ha trattato come una persona disabile. Le persone che ho incontrato non si sono fatte scrupoli a dirmi di ‘no’ o a confrontarsi con me in maniera aperta e diretta e io apprezzo quest’atteggiamento. Mi rendo conto che le persone sono restie ad approcciarsi perché hanno paura di offenderci involontariamente, oppure si sentono a disagio in nostra presenza, ma il timore è reciproco perché ci è stato inculcato già dall’infanzia che le persone disabili sono persone di serie B con la ‘bi’ maiuscola e vanno trattate di conseguenza. Personalmente, mi è capitato di venir offeso perché a volte sono più lento degli altri o di sentire commenti offensivi nei miei confronti, ma detti alle mie spalle”.

Una condizione inesplorata
Perché nasce questa discriminazione?
“Questo tipo di marginalizzazione colpisce le persone disabili e lo posso testimoniare in prima persona, ma è un fenomeno che ferisce anche altre categorie sociali più a rischio, solo che si manifesta in modi diversi. Non so da dove nasca questo problema, ma all’Università mi sono reso conto che il mio difetto più grande non è l’impossibilità di camminare, perché tanti miei problemi sono uguali a quelli dei miei coetanei normodotati, ma la mancanza di un ambiente positivo e incoraggiante. Una volta che ho incontrato tale ambiente ho deciso di occuparmi di attivismo, anche perché credo che la disabilità sia una condizione dalla quale si possano imparare tante cose e che in Croazia è pressoché inesplorata. Quello che mi interessa maggiormente è la percezione a livello sociale delle persone disabili e il modo in cui la disabilità influenza la formazione dell’identità”.

Fondamentale l’autonomia
Qual è la situazione con l’accesso agli enti culturali?
“Le cose tendono a migliorare, anche se in maniera piuttosto lenta. Il Campus di Tersatto, ad esempio, è assolutamente a misura di sedia a rotelle e per quanto riguarda le lezioni e i contenuti, mi è stato permesso di registrarle, in modo da poterle riascoltare a casa. Per quanto riguarda la cultura devo dire che non tutti i tipi di cultura mi interessano. Ad esempio, non vado quasi mai al cinema perché sono molto sensibile ai rumori forti, ma diciamo che nei cinema non ho incontrato alcun tipo di problema. Il TNC ‘Ivan de Zajc’ è anche relativamente accessibile perché possiede delle rampe d’accesso, ma esiste un piccolo gradino all’entrata che richiede il sollevamento di tutta la carrozzina. Quando visito, dunque, il Teatro o spazi nei quali so che dovrò venire sollevato, non prendo la sedia a rotelle motorizzata, che di per sé pesa 60 chili, ma prendo quella classica. Però se devo dipendere dagli altri per entrare in un edificio, reputo che questo sia un tipo di discriminazione piuttosto grave. L’autonomia nello spostamento è, secondo me, un prerequisito importante per fare parte integrante della società. Un’altra manchevolezza del Teatro riguarda i posti in platea, che sono tutti poltrone fisse. Allora mi devo mettere all’inizio della fila e non ho una buona visuale dello spettacolo. In compenso i biglietti per le persone disabili sono gratuiti per la maggior parte degli spettacoli”.

E i musei?
“Due mesi fa sono stato a Roma e tutti i musei sono gratuiti per le persone disabili e per gli accompagnatori e non esistono assolutamente barriere architettoniche. Lo stesso vale per tutte le grandi città europee, ma anche mondiali. A Fiume, ad esempio, la Casa croata di Cultura (HKD) di Sušak ha adeguato i servizi sanitari e ha installato un ascensore per le carrozzine, ma il sollevatore è talmente lento che se siamo in dieci in sedia a rotelle, dobbiamo venire con un’ora d’anticipo per poter entrare. Quando sono andato a vedere il gruppo di danza ‘Magija’, che ha alcuni membri in sedia a rotelle, abbiamo incontrato non pochi problemi per vedere lo spettacolo. Uno degli edifici più ermetici da questo punto di vista è il Palazzo del governo. Nel 2020 ho fatto parte del Gruppo per l’accessibilità del progetto Fiume CEC 2020 e abbiamo tentato di progettare un modo per far entrare le persone disabili, passando per via Laginja e entrando dalla porta laterale, ma penso che la cosa sia rimasta solo teorica, anche perché in via Laginja non è possibile fermare le vetture. Lo stesso problema sussiste pure per la Biblioteca civica. Abbiamo collocato pure delle rampe all’entrata del club Palach e nella galleria Kortil. Il palazzo della Filodrammatica è particolare perché nella Biblioteca civica al pianterreno è possibile entrare senza problemi, ma per vedere gli spettacoli nella sala al terzo piano o le mostre nella saletta attigua, devo farmi portare di peso. Queste situazioni sono potenzialmente pericolose perché possono succedere delle cadute e anche in passato mi è capitato di cadere mentre venivo portato per le scale. Purtroppo anche il Museo d’Arte moderna e contemporanea (MMSU) non è adeguato alle persone disabili, anche se si diceva che ristrutturando il ponte che collega la Casa dell’infanzia all’MMSU, potremo entrare passando dalla seconda”.

Liberarsi dai pregiudizi mentali
Il progetto ha portato a dei risultati?
“Per me è la prima volta che partecipo al progetto e devo vedere come si svilupperà nei prossimi mesi. In piano per novembre e dicembre ci sono le visite ad alcune scuole. In questi incontri si cercherà di coinvolgere presidi, ma anche direttori di altri enti culturali o persone attive nella politica per far vedere loro quanto sia difficile entrare e spostarsi negli edifici pubblici”.

Quali sono i tuoi piani per il futuro?
“Sto cercando di iscrivere un dottorato di ricerca legato al tema della disabilità, ma non ho ancora un tema preciso. So soltanto che vorrei trattare la disabilità all’interno dello spazio, non necessariamente in senso fisico, ma anche mentale o virtuale. Un mio grande problema deriva dal fatto che la disabilità viene inserita sempre in un contesto fisico e materiale e si pensa sempre alle barriere architettoniche perché rappresentano gli ostacoli più evidenti, ma penso che rappresentino soltanto la punta dell’iceberg. Reputo che siano molto più importanti le ‘barriere nelle opinioni’, alle quali spesso non si fa caso e dalle quali poi derivano quelle fisiche. Per spianare gli ostacoli fisici dobbiamo prima liberarci dai pregiudizi mentali”.

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