Il diritto di esprimersi nel proprio dialetto. Anche a scuola

Ad ampio raggio con la lauranese Vjekoslava Jurdana, professore straordinario presso la Facoltà di scienze dell'educazione e dell'istruzione dell'Università «Juraj Dobrila» di Pola, nonché esperta di teoria della letteratura e poetessa in ciacavo, sulla recente problematica relativa al Disegno di legge sulla lingua croata, poi risolta con successo

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Il diritto di esprimersi nel proprio dialetto. Anche a scuola
La prof.ssa Vjekoslava Jurdana. Foto Željko Jerneić

Nell’agosto dello scorso anno aveva suscitato parecchio scalpore il disegno di Legge sulla lingua croata, presentato dal Ministero della Scienza e dell’Istruzione su stesura della Matica croata, che contemplava l’uso dei dialetti nell’insegnamento della stessa nell’istruzione a tutti i livelli, dall’elementare all’universitaria, ma esclusivamente nel contesto dei programmi extrascolastici e non in classe. In particolare, i riflettori erano puntati sul rapporto tra la lingua standard e i tre continuum dialettali, ciacavo, caicavo e stocavo, i cui nomi derivano rispettivamente dai pronomi “ča”, “kaj” e “što”. Le maggiori novità proposte dalla Matrix, riguardavano, appunto, il mondo della scuola, dagli asili alle Università, in quanto, come aveva rilevato in un’occasione il ministro Radovan Fuchs, “ai ragazzi deve essere insegnata la ‘lingua croata standard’, mentre a casa potranno continuare a parlare il dialetto”, pena addirittura determinate sanzioni per chi non dovesse attenersi alle disposizioni legislative. Concretamente, l’articolo 2 comma 2 dello stesso disegno di Legge, sottolineava il fatto che la peculiarità della lingua croata consiste nella sua suddivisione in tre continuum dialettali al medesimo livello, appunto ciacavo, caicavo e stocavo, di cui quest’ultimo è stato scelto come modello per il croato standard quale lingua ufficiale. Dalla stessa frase non si evinceva, però, in che modo i tre continuum fossero d’importanza pari ovvero in rapporto a chi o a che cosa fossero pari. Inoltre, il capitolo “Ambito d’uso della Legge” (articolo 6, comma 1), incoraggiava l’uso di tutti gli idiomi della lingua croata, i continuum dialettali (ciacavo, caicavo e stocavo) e gli idiomi usati dai croati all’estero, senza però specificare il modo in cui se ne dovesse incoraggiare l’uso. Infine, nel capitolo “Uso della lingua croata nell’istruzione” (articolo 12, comma 1) veniva rilevato che le lezioni e le attività didattiche a tutti i livelli e nell’ambito di tutta la verticale scolastica (dagli asili alle Università), dovessero venire svolte in lingua croata. Il disegno di Legge proposto nell’agosto scorso, contemplava sì le parlate dialettali, ma in modo scarno e non contestualizzato, limitando il loro uso in classe, dove si disponeva venisse usata soltanto la lingua standard.

Dibattito online

Dopo la pubblicazione dello stesso, era stato avviato un dibattito pubblico in forma elettronica sulla piattaforma e-Građani, durato per tutto agosto del 2023, al quale poteva accedere e partecipare chiunque. L’interesso non era mancato, soprattutto negli ultimi giorni del mese, con la partecipazione di esperti del settore, come pure di cittadini comuni, dai cui interventi era scaturita la medesima perplessità per il modo in cui il documento era stato concepito e sulla pericolosità della sua entrata in vigore nel caso in cui fosse rimasto tale. Il successo che aveva avuto il dibattito elettronico, servito in un certo senso, a… smuovere le acque, strideva con la quasi totale assenza dell’intervento pubblico di esperti del campo, la cui parola in ambito mediatico, nonostante le richieste dei giornalisti, era risultata praticamente nulla. L’unica a pronunciarsi in merito alla questione, su uno dei quotidiani nazionali, era stata Vjekoslava Jurdana, prof.ssa straordinaria della Facoltà di Scienze dell’educazione e dell’istruzione dell’Università “Juraj Dobrila” di Pola, nonché esperta di teoria della letteratura e poetessa in dialetto ciacavo, che per il suo lavoro si divide tra Laurana, dove vive, e l’Istria. L’abbiamo incontrata in un momento in cui si trovava a casa, per farci raccontare questa sua piccola, ma grande battaglia, il cui esito era stato positivo e aveva riguardato l’approvazione da parte della Matrix delle considerazioni da lei fatte (e inviate al legislatore sotto forma di lettera aperta firmata dall’ente artistico-culturale “Ivan Matetić Ronjgov”, di cui la stessa fa parte) con successive modifiche dell’articolo 12 del disegno di Legge, riguardante l’uso dei dialetti nell’istruzione scolastica. Al comma 1, che regola l’uso in classe della lingua standard, era stato aggiunto il comma 2 ai senso del quale “nei casi in cui agli alunni è più comprensibile la comunicazione in dialetto, gli insegnanti e professori possono in parte farne uso, fermo restando che la materia Lingua croata deve venire svolta unicamente in lingua standard, eccezione fatta per i casi in cui è necessario l’uso di modelli linguistici dialettali e per quelli relativi alle attività libere”. La Legge, con quest’importante integrazione, è entrata in vigore nel febbraio di quest’anno.

Il mancato intervento pubblico degli esperti

“Tutto è iniziato dopo la prima conferenza stampa tenutasi all’inizio di agosto dell’anno scorso – ci ha spiegato Vjekoslava Jurdana – nella Biblioteca universitaria di Zagabria, alla quale avevano presenziato, tra gli altri proponenti la Legge, il ministro delle Scienze dell’educazione e dell’istruzione, Radovan Fuchs e la ministra della Cultura e dei Media, Nina Obuljen Koržinek, nel corso della quale era stato dato a intendere la possibilità di sanzionamento di coloro, tra il corpo docenti, che non si sarebbero attenuti alle disposizioni della Legge. Nel caso concreto, di coloro che avrebbero usato il dialetto nell’insegnamento in classe, a scapito della lingua standard. Furono tantissime le domande poste dai giornalisti in quella circostanza. Quello stesso pomeriggio venni contattata dalla giornalista di un quotidiano nazionale, che mi chiese una dichiarazione al riguardo, che stando a quanto mi disse, sarebbe andata ad aggiungersi ad altre dichiarazioni date da vari interlocutori. Sarebbe dovuto essere una specie di mosaico sul tema. Ricordo che parlammo a lungo e io le spiegai in modo molto dettagliato tutti i pro e i contro sulla questione, entrando nel merito dell’importanza dei dialetti e della necessità di non precluderne l’uso anche e soprattutto in ambito scolastico, a tutti i livelli, partendo da quello prescolare fino a quello universitario. Quando l’articolo uscì, rimasi molto sorpresa del fatto che lo stesso conteneva solo ed esclusivamente il mio intervento e che degli altri interlocutori, che la giornalista mi aveva annunciato ci sarebbero stati, non c’era traccia. Mi venne spiegato che nessuno della lista stilata dall’autrice del pezzo aveva dato la propria disponibilità per una dichiarazione in merito, il che mi aveva lasciato a dir poco esterefatta. Una questione così delicata, come lo è quella delle parlate locali, non può venire ignorata. Sta di fatto che la pubblicazione del mio intervento nel quotidiano in questione provocò un boom di commenti, devo dire con piacere, tutti positivi. Ciò che dissi ebbe un forte impatto mediatico e venne ripreso dai vari giornali e portali, come pure dalle emittenti radiotelevisive. Fui contattata da numerosi giornalisti delle varie testate, ma decisi di non dare più dichiarazioni, aggiungendo di non avere nulla in contrario che quanto da me dichiarato divenisse di dominio pubblico. Il dibattito sulla piattaforma e-Građani durò per tutto agosto. Mi collegai spesso per leggere i vari interventi e devo ammettere che alcuni di essi mi entusiasmarono per il modo in cui erano concepiti, con grande cognizione di causa, e contribuirono ad allargarmi certi orizzonti di cui non ero a conoscenza, nonostante la mia esperienza e il mio sapere al riguardo”.
Su che cosa Vjekoslava Jurdana aveva puntato nel suo intervento, poi ripreso dall’ente “Ivan Matetić Ronjgov” per venire inoltrato all’attenzione della Matica croata?
“Innanzitutto sul fatto che la lingua è un soggetto vivo e come tale va trattata, in tutte le sue forme e pertanto anche nei suoi dialetti e parlate locali – ha precisato la nostra interlocutrice –. C’è chi sostiene, ancora oggi, che l’uso degli stessi nelle scuole sia nocivo per i bambini, il che è sbagliatissimo. Nel vecchio sistema non si prediligeva l’uso del dialetto in classe con la spiegazione che ciò poteva ostacolare un apprendimento corretto della lingua standard, ma è da un bel po’ che abbiamo superato questi retaggi del passato, forti del fatto che è ormai comprovato anche dal punto di vista pedagogico, che l’uso della propria lingua materna, in questo caso il dialetto, non ostruisce in alcun modo l’acquisizione della lingua ufficiale e al contempo favorisce lo sviluppo cognitivo dei bambini e il loro attaccamento alle proprie origini. I bimbi dai 2 ai 7 anni sono delle vere e proprie spugne, aperti a ogni tipo di nozione. Quelli di età prescolare hanno una grande capacità di ampliare il vocabolario, di accogliere e applicare attivamente le già note strutture intermedie della lingua e al contempo di attivare caratteristiche comunicative nuove. A quell’età è particolarmente sviluppato il loro interesse verso i giochi linguistici, verso il significato delle parole e verso i testi in prosa e versi. Ciò che apprendono a quell’età, rimane per sempre. Questo è un motivo per il quale è stato anticipato l’insegnamento delle lingue straniere a scuola e il detto ‘Quante lingue parli, tante persone sei’ la dice lunga sulla veridicità di questo concetto. Ribadisco quanto detto poc’anzi, la lingua è un soggetto vivo e questo è uno dei primi assiomi del campo della linguistica. È ciò che contraddistingue ciascuno di noi, che ci fa rimanere attaccati alle nostre radici e che ci costituisce. La mancata libertà d’uso dei dialetti a livello didattico può pertanto provocare soltanto dei danni nello sviluppo dei bambini. Consentire loro di esprimersi nella loro lingua madre è di essenziale importanza e non preclude assolutamente l’apprendimento della lingua standard. Anzi, lo supporta e arricchisce”.
Perché, allora, era stato stilato un disegno di Legge così poco chiaro al riguardo? “Non credo sia stato fatto apposta – ha concluso Vjekoslava Jurdana –, l’intenzione era buona, ma non sono stati contemplati i vari aspetti di essenziale importanza, come quello pedagogico. Un approccio meno superficiale avrebbe evitato si arrivasse a tutto ciò, ma sono felice e grata che alla fine siano stati riconosciuti i nostri sforzi volti a modificare il disegno di Legge, che ha portato all’integrazione del comma 2 relativo alle parlate locali. Un win-win che soddisfa tutti”.

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