Flavio Dessardo. Il futuro del giornalismo è assicurato

«La Comunità Italiana in Slovenia»: un documentario che riguarda noi tutti

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Flavio Dessardo. Il futuro del giornalismo è assicurato
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Nella categoria del giornalismo del Concorso d’Arte e Cultura “Istra Nobilissima”, premio “Paolo Lettis”, quest’anno il riconoscimento è andato a Flavio Dessardo, telecronista di Radio TV Capodistria (RTV SLO), per il documentario “La Comunità Italiana in Slovenia: trent’anni in agrodolce”, in cui ha sviluppato le tematiche della minoranza italiana, utilizzando anche eccellentemente immagini d’epoca, alcune abbastanza rare, e confermando il suo perfetto inserimento e conoscenza delle tematiche principali che uniformano gli italiani d’Istria. Di particolare rilievo la capacità di condensare in appena 40 minuti una storia molto complessa, con un lavoro di montaggio accurato e professionale, che ha evidenziato vicende complesse, sviluppatesi nei tre decenni d’indipendenza della Slovenia, e ricche di mille sfumature. Dessardo ha rivelato per il nostro quotidiano come sia nata l’idea per il documentario e qual è a suo parere la situazione nel giornalismo in generale e nel giornalismo della CNI in particolare.

Quali sono stati i suoi inizi nel giornalismo?
“La mia entrata nel mondo del giornalismo risale già agli anni del Liceo, quando avevo iniziato a collaborare con ‘La Voce del popolo’, nel 1979. La mia generazione era entrata a far parte della riforma scolastica di Šuvar e quindi il mio indirizzo alla SMSI era anche giornalistico. Dopo la pratica estiva in terza e in quarta classe rimasi a collaborare con lo sport tutte le domeniche e le estati. Nell’‘83 fui assunto in pianta stabile e rimasi alla “Voce” fino al ‘93, spostandomi tra cronaca fiumana, sportiva e per un periodo gestii pure la prima pagina. In quel periodo una squadra di giornalisti e grafici era andata a Milano per fare un corso sulle nuove tecnologie e Rodolfo Segnan, a quei tempi caporedattore, mi aveva chiamato a dirigere, appunto, la prima pagina. Per me fu uno dei periodi più divertenti dal punto di vista professionale perché ogni giorno il giornale è vuoto e si deve decidere che notizie inserire e quali mettere in apertura”.

Ha vinto già in passato il premio Istria Nobilissima?
“Sì, quest’anno è la terza volta. Ho sempre partecipato nella categoria del giornalismo. Nel 1994 avevo vinto con una serie di servizi per la rivista ‘Panorama’, in pratica corrispondenze commentate da Capodistria, su carta stampata. La seconda volta, nel 2000, avevamo fatto un ciclo di trasmissioni che si chiamava ‘Il Duemila dietro all’angolo’ ed era composto da sette puntate di un’ora con ospiti, immagini da repertorio, servizi e altro. Il tema era quello che ci avrebbe portato il nuovo millennio, la grande attesa. Per fare un esempio, dedicammo un episodio alla scienza e alla tecnica che si apriva con un piccolo servizio di quattro o cinque minuti che riassumeva ciò che era successo di più significativo in questo campo negli ultimi cent’anni. Ebbi pure due ospiti che parlarono del futuro: l’astrofisica Margherita Hack e Arturo Falaschi, che era direttore del Centro di ingegneria genetica. Tra gli ospiti c’erano pure Predrag Matvejević e Barbara Ronchi Della Rocca. Le trasmissioni erano sette perché a ciascuna partecipavano, con domande e considerazioni, anche i bambini delle scuole medie, che sono sette. Penso, comunque, che tutte le buone idee in ambito professionale nascano principalmente dalla curiosità personale”.
Di che cosa parla il documentario che ha vinto il Premio “Paolo Lettis” quest’anno?
“Nel 2021 ricorreva il trentesimo anniversario dell’indipendenza slovena e croata. L’anno scorso è stato l’anno degli anniversari, tra cui pure i trent’anni dell’Unione Italiana. Per non ricalcare le trasmissioni di Lubiana, abbiamo parlato tra di noi in redazione e io ho proposto di fare un servizio sui trent’anni dell’indipendenza, però visti da un’ottica minoritaria. Mi sono concentrato sulla Slovenia, ma ho parlato anche di problemi comuni che esistevano da prima e problemi nati con il confine”.

Nella motivazione al premio è stato lodato il suo uso degli archivi…
“Sì, un mio carissimo collega che ora è in pensione, Loris Braico, mi ha detto di possedere un suo archivio con cassette molto interessanti con alcune chicche. Lui mi ha fornito pure gli inserti audio dei telegiornali d’epoca sulla registrazione dell’Unione Italiana. Nel 1997 Fassino, che a quei tempi era sottosegretario agli Esteri, spiegava che cosa significa registrare l’UI e quali erano i suoi compiti e quelli della CAN o Comunità autogestita della nazionalità italiana. Il bello è che questi temi sono ancora attuali. Abbiamo usato pure tante interviste a Roberto Battelli (deputato al seggio specifico della Comunità Nazionale Italiana al Parlamento di Lubiana, nda). Quindi quando Loris mi ha presentato questi documenti ho compreso la loro unicità e originalità e mi sono chiesto come sfruttarli in un prodotto compiuto”.

Avete lavorato tanto alla realizzazione del video?
“Paradossalmente, il Covid-19 ci ha aiutati perché ci ha costretti a rimanere a casa e quindi avevamo più tempo per analizzare il materiale. Io sono stato l’autore del documentario, ma il ritmo e le parti sono stati curati dal montatore e dal regista. In un servizio televisivo la qualità del prodotto equivale alle competenze dell’anello più debole dell’équipe e io ho avuto la fortuna di collaborare con persone validissime. La squadra era composta da due cameraman, un tecnico audio, una collega dell’archivio, la grafica, la regista Zeinab Momeni e il montatore Alen Mavrič. Io compaio all’inizio e accompagno tutto il documentario commentando le scene, ma una parte dei commenti dei passi cruciali è stata fatta pure dallo storico Kristijan Knez. L’inizio è stato ripreso davanti al Teatro Verdi e la vicenda la facciamo iniziare non nel 1991, ma dal Gruppo 88, perché reputo che tutto quello che successe dopo ebbe origine nel Gruppo 88, che era composto da Franco Juri, ora direttore del Museo del mare di Pirano, Roberto Battelli, Claudio Geissa ed Eros Bičić, un giornalista molto bravo di origini albonesi. Abbiamo iniziato, dunque, a lavorare al documentario all’inizio del 2021 e lo abbiamo terminato entro il mese di giugno. È andato in onda il 25 giugno del 2021, nel giorno esatto dell’anniversario dell’indipendenza slovena e lo si può trovare nell’archivio di Radio TV Capodistria se qualcuno volesse vederlo. Basta cercare tra i documentari la data menzionata. Vorrei fare un’osservazione riguardo a questi telegiornali e video risalenti a tanti anni fa. Osservandoli mi sono reso conto che quello che noi facciamo quotidianamente è cronaca, ma a distanza di alcuni decenni si trasforma in storia e il suo valore aumenta. Ovviamente ciò non vale per tutti i temi, ma molti momenti importanti sono stati immortalati proprio da noi giornalisti ed è bellissimo riscoprirli. Facendo il telegiornale da quasi trent’anni ho compreso che dobbiamo saper mettere insieme il generale e il particolare, cioè riuscire a estrarre i dettagli facendo in modo che questi dettagli creino il contesto, la cornice della storia”.

Com’è la situazione nel giornalismo oggi?
“Noi giornalisti raccontiamo le cose al mondo e abbiamo bisogno di una risposta dal nostro pubblico. Uno dei problemi del giornalismo della nostra CNI è la sensazione di non avere pubblico. I nuovi media ci hanno aiutato perché ci siamo accorti che molta gente segue gli eventi in differita. Non mettiamo tutto il telegiornale online, ma pubblichiamo due o tre servizi in 4D sul sito e su Facebook e in base al numero di visualizzazioni possiamo scoprire quali sono gli interessi dei nostri spettatori. Non me la sento, dunque, di sparare sui nuovi media. Se dovessi fare un pronostico per gli anni a venire direi che il futuro per il giornalismo c’è. Dopo questa indigestione di fake news degli ultimi anni, penso che si tornerà ad apprezzare la fonte onesta. L’informazione è un pezzettino di realtà che deve venire messo in un contesto. Il giornalista, non dal punto di vista pedagogico o didascalico, dà una mano a fornire una chiave di lettura di questi fatti, anche selezionandoli. Nella nostra società esiste il problema della mancanza di tempo. Se noi trasformiamo una riunione di due ore in venti righe di testo o un minuto di trasmissione, dobbiamo fare una selezione delle parti che riteniamo importanti. Certo, le persone sono libere di guardare anche la versione integrale della riunione, ma spesso non hanno il tempo e questo garantisce a noi giornalisti un futuro. Nella scelta delle notizie l’onestà paga, perché se noi giornalisti diffondiamo un’informazione non vera o non verificata e il nostro pubblico se ne accorge, perdiamo credibilità. Per quanto riguarda il giornalismo della CNI, reputo che sia necessario un ritorno alle origini, nel senso che dobbiamo chiederci per chi scriviamo, cosa scriviamo e come scriviamo. Dobbiamo rivolgerci ai nostri lettori e non scrivere per noi stessi. Un altro problema è che ci impegniamo troppo a proporre notizie in tempo reale e penso che questo sia impossibile sia per noi che lavoriamo alla radio o televisione, che per i quotidiani. Dobbiamo puntare di più sulla qualità e meno sull’immediatezza della pubblicazione”.

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