Gaetano Bencich poeta poliedrico

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Gaetano Bencich poeta poliedrico

Personalità poliedrica Gaetano Bencich, classe 1978. Con una laurea conseguita a Trieste, ha insegnato a Buie presso la Scuola media superiore “Leonardo da Vinci” e presso la Scuola elementare “Edmondo de Amicis”. Due le principali aree d’interesse – archeologia classica e medievale, storia e cultura istriana – che lo hanno portato nel 2014 a lavorare al Dipartimento di Archeologia del Museo del territorio parentino. Prime vengono la storia, regionale e locale, e l’archeologia. Ma Gaetano ha una speciale sensibilità per la fenomenologia artistica in tutte le sue forme e annovera tra i suoi migliori amici la bibliofilia, la fotografia, la poesia, la musica, il bel canto, tutte arti che gli permettono di esulare dal quotidiano e spiccare il volo verso l’alto. Probabilmente quando si sente “stretto” dai tanti impegni, pensa a disinquinarsi psichicamente con mete allo stesso tempo non meno elevate di quelle professionali, ma più distensive e gratificanti.

Impegno verso sé stesso

Perché ci sono giorni e ci sono momenti in cui l’unico impegno, vero e necessario, è l’impegno verso sé stesso, e soprattutto credere che le parole e le note possano esprimere e comunicare emozioni e sentimenti anche agli altri. Gaetano ha bisogno della poesia. La poesia rende liberi, può spingersi oltre tutto, dentro tutto, scavare dove niente più scava, nelle ombre, nelle piazze, nei silenzi, fin dentro la morte, dove “le tombe (sono) ordinate come una caserma prussiana/i lumini pregano per le anime”.
Il filo che tiene insieme la raccolta dal titolo “Camera singola” (secondo premio Poesia, Istria Nobilissima 2017), che spiazza e spazia via via che si procede nella lettura, potrebbe essere il viaggio inteso come spostamento interno ed esterno. Un itinerario geografico e spirituale tradotto in un collage sapiente che alterna brevi liriche a componimenti di più largo respiro, di versi liberi, con figure di suono e di senso che creano un quadro poetico ben amalgamato. La misura è l’elemento portante della silloge, ed è una misura insieme formale e interiore. Realtà delle cose, limiti, margini di territori e di lingua, casa e corpo, natura e cultura, mitologia e storia, campagna e città, terra e acqua: il loro esistere è collegato da un comune filo conduttore che è la ricerca del senso al di là dell’apparenza delle cose.

Come una piccola scossa

L’occasione è buona anche per il lettore. L’esperienza della poesia non appartiene soltanto al poeta, essa appartiene al poeta quanto al lettore. La poesia di Bencich agisce come una piccola scossa, un commutatore di banda, che fa sì che – a volte, non sempre – anche il lettore veda qualcosa che aveva sotto gli occhi e che guardava senza vedere. Questo trasalimento sposta un po’ l’orizzonte mentale quotidiano, fa scattare un flash di bellezza che abbaglia e che conquista per mezzo di un’immagine, una percezione, un’intuizione, che incoraggia a superare i limiti della realtà in cui si vive e conduce a un nuovo orizzonte di significato. Soccorre il mito della caverna: all’uomo non è dato conoscere la realtà ultima delle cose, l’uomo non può vedere le cose direttamente, ne vede soltanto le ombre proiettate sul muro della caverna mentre scorrono lì fuori. Questo avviene quando la poesia che il lettore sta leggendo corrisponde a un’attesa profonda, perché gli fornisce le parole per esprimere qualcosa che già pulsava in lui e non riusciva a prendere forma. Ebbene, la poesia di Bencich lascia intuire che c’è qualcosa al di là del muro. E lo fa intuire in modo indiretto, per analogia, per evocazione, per allusione, per metafora. Praticamente dice una cosa per far intendere un’altra cosa, “sforza il pensiero oltre gli oggetti”, suggerisce qualcosa che si protende oltre noi stessi e attraverso tale operazione genera nuove immagini del mondo e dell’essere umano.

Forte senso d’adesione

Più che di un viaggio vero e proprio, si ha l’impressione di un’incessante flânerie. Le poesie sono intrise d’un forte senso di adesione ai luoghi fisici, ai luoghi di origine che sentono il bisogno del confronto, non con mari lontani e oltremari, ma con la “foresta di simboli” di città riconoscibilissime, fra le quali Venezia, Aix-en-Provence, Vienna, Trieste, Zagabria, con punti di riferimento in alberghi, strade, caffè bar, cimiteri, musei, antiquari, piazze, monumenti. La poesia si appoggia alla biografia, all’esperienza di vita, alle circostanze che la vita organizza. Circum-stantia: le cose mute che stanno nel nostro intorno immediato! La vita è una somma di circostanze vissute. La città è luogo ostile, allucinato e violento, dove tra “grattacieli siamo condannati alla venerazione pagana”, luogo che manifesta le forme più abiette dell’esistenza (“…una mendicante dissennata/ferma i passanti puzza di birra/è ubriaca della vita…”), il disordine e la sopraffazione all’insegna dell’egoismo degli uomini (… “intanto i semafori alternano i colori/e solo le streghe si accostano/a chi è solo”), ma anche scenario in cui collocare Ujević accanto a “un’aiuola davanti al teatro” o in cui andare alla ricerca di un diario di Karl Kerényi, fondatore della moderna scienza del mito, o in cui inseguire “le variazioni di Bach”, o in cui “condurre l’innamorata affetta da/passione ma anche stanza/singola in albergo di bassa/categoria”.
Il viaggio inconscio non è meno fecondo dello spostarsi fisico da un luogo all’altro, da una città all’altra, poiché la dimensione autentica del viaggiare è proprio quella del movimento di ricerca interiore che non conosce gli ostacoli dello spazio e del tempo, né l’illusione del presente e del passato. Bencich riesce così a creare un mondo trasversale che, pur non coincidendo sic et simpliciter con la realtà cruda che lo circonda, ne è il soffio vitale. Un universo segreto che solo lo sguardo “altro” del poeta può suscitare attraverso le parole, svelando le corrispondenze tra le cose.

Dal corpo alla parola

La poesia di Gaetano ha un corpo, tutto quello che percepisce lo fa passare attraverso l’auscultazione della fisicità. Il corpo beve, mangia, dorme, accusa talvolta il malessere. Dal corpo alla parola. Il corpo è il veicolo fragile e forte dell’aspirazione al cielo, il luogo di frontiera da cui partono l’osservazione e lo scavo per poi protendersi verso l’alto, verso l’assoluto, senza mai toccarlo: “ma ci sono giornate in cui l’istante/del tramonto si dilata all’infinito/quando il sole è scomposto dal vento/e le nubi danzano come/streghe ubriache/momenti in cui un coltello taglia/quella corda d’impiccato/e la massa del corpo si sfracella/sfacciata/non si ha quel giorno paura di volare/di scavare profondissime fosse/come talpe/peccato un vero peccato/che il temporale duri poco/meno ancora della vita/e il corpo torni a far ombra/sui soleggiati deserti quotidiani tra/ zuccherini d’amore e coriandoli/sempre bella maschera/di carnevale.

Nell’esplorazione delle zone intime e delle relazioni sentimentali, l’amore stenta ad aprire un sentiero sicuro fra le trappole della lusinga e le disillusioni, e diviene piuttosto lo scenario di una mancanza o di una necessaria irresolutezza.

Un viaggio dal valore etico

L’“io” è presente dappertutto. Sì, il poeta parla di sé stesso. Ma con i suoi versi si immerge subito nel mondo, lo ancora sia alla dimensione contingente che all’enigma dell’esistenza. La natura si mette al centro della sua poesia, per natura intendendo la terra, il paesaggio, il cielo, l’universo. Il tutto. Gli elementi di questo cosmo sono colti e collocati quasi mimeticamente nel grembo di una madre feconda, tra ruscelli, gelidi venti, fronde pittoresche, farfalle nello spineto, specchi di pozzanghere, canneti piegati, papaveri timidi, venature delle foglie, respiro della corteccia, cipressi e ginestre, fogliame autunnale, petali di ciliegio… Un tutto inestricabile di fenomeni naturali e di eventi interiori: lo stupore che accompagna il disvelamento di ciò che è allo stesso tempo permanente e mutevole nel vivere; la fusione estatica con gli elementi della natura e il sollievo che essa porta nella pacificazione dell’antinomia esistenziale; la consapevolezza che con la desacralizzazione e l’oblio di antichi idoli e luoghi di culto, si producono discontinuità “catastrofiche” mentre vanno consacrandosi istituzioni e spazi nuovi. È il viaggio stesso che assume un valore etico. Il viaggio è quel tempo che permette di apprendere, modificare e accrescere le conoscenze che saranno parte del patrimonio che riporterà il poeta, in quanto profondamente ammalato di nostomania, a Itaca. È un percorso a ritroso verso le origini, un richiamo alla natura più pura, un respiro profondo tra il tramonto e la notte quando “i profili si sagomano di nubi” e “lampi di circostanza devastano/lontani mari” e “nella notte le ginestre/attendono lo sguardo/dei cani solitari”.

Cifra poetica

Sarà Itaca-Torre la vera ragione di vita? L’unica dimensione del possibile? Il “grigiore banale” del ritorno è dissuasivo, con il rospo pestato per bene dalla macchina, “quadretto desolato con budella e liquame”. Tuttavia il commiato e la separazione sono una necessità che però non esclude la tensione verso quell’angolo periferico del mondo dove “dondola la luna sopra le cave/in acquietante sorriso” e “brilla di ultima luce/lo specchio di una pozzanghera/per le oche”. La nostalgia per la comunione con la natura è attenuata dal senso di accettazione del vivere le proprie scelte nel mondo, calato in un’inevitabile appartenenza cronologica e storico-sociale. Perciò nessun ripiegamento malinconico in questo affresco di vita dal carattere alquanto riflessivo, a volte sanamente ironico, piuttosto una consapevolezza pacata della continua mobilità ed evanescenza esterna e interna, un continuo necessario cammino, teso alla conquista del mistero del tempo, delle stagioni, del fluire della vita da cogliere (“a risolvere il problema/della nuvola/del sole/della terra”) o anche soltanto da osservare, con incessante stupore e con una musica dentro che pare accompagnarlo: è la cifra poetica di Gaetano Bencich, o meglio, ciò che maggiormente colpisce.

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