«E la nave va»: un tentato omaggio al cinema felliniano

In scena al Teatro nazionale «Ivan de Zajc» il nuovo spettacolo del Dramma Italiano nella regia di Igor Pison

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«E la nave va»: un tentato omaggio al cinema felliniano
Giuseppe Nicodemo interpreta il ruolo del giornalista Orlando. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

È andato in scena lo scorso fine settimana il nuovo spettacolo del Dramma Italiano del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume: “E la nave va”, nella regia di Igor Pison, con Lea Kukovičić come drammaturgo. È la prima messinscena in lingua italiana dell’omonimo film di Federico Fellini del 1983, vincitore di una serie di riconoscimenti prestigiosi, tra cui quattro David di Donatello e cinque Nastri d’argento. Nell’adattamento teatrale dello “Zajc”, firmato dallo stesso Pison, a recitare nella parte narrante del giornalista Orlando è Giuseppe Nicodemo, mentre la rassegna dei personaggi felliniani viene offerta dalle interpretazioni di Leonora Surian Popov, Mirko Soldano, Ivna Bruck, Andrea Tich e Sabina Salamon, con l’accompagnamento musicale e la partecipazione di Nikša Eldan e Filip Eldan. Nelle immagini video utilizzate nello spettacolo figurano anche Noemi Dessardo e Giulio Settimo. L’impianto scenografico è firmato da Petra Veber, i costumi sono di Manuela Paladin Šabanović e il disegno luci di Dalibor Fugošić.

La critica sociale di Fellini
La nuova produzione del Dramma Italiano punta a un omaggio a Fellini a partire da uno di quei lavori che non sempre saltano alla mente pensando al grande sceneggiatore e regista italiano. In questo senso, però, più che trattarsi di un omaggio all’autentico e insuperato stile del maestro Fellini, riconoscibile in pressoché tutti i suoi lavori, lo spettacolo cerca di rendere onore a una determinata opera delle tante realizzate nel corso della sua lunga carriera. Un film in cui la critica al marciume di una società elitaria disinteressata ai problemi del mondo che la circonda, e dal quale cerca arrogantemente di distaccarsi, viene pilotata dall’esposizione di un personaggio narrante. Nel caso dell’adattamento teatrale di Igor Pison, tuttavia, la selezione e la conseguente trasposizione scenica dei contenuti della peculiare trama del lavoro felliniano finisce col minimizzare l’effetto che l’insieme dei personaggi della pellicola (e l’equilibrio con cui prendono parte allo svolgimento) imprime nello spettatore. Il risultato che ne deriva sembra perciò non tanto un omaggio, quanto invece un vano tentativo di riprodurre l’impatto del film riprendendone per quanto possibile lo stile espositivo. Un obiettivo che presenta più di una difficoltà dal momento che nell’arte cinematografica è la macchina da presa a costruire la percezione dello spettatore, mentre nel caso del teatro il pubblico, generalmente, ha sempre di fronte un’immagine d’insieme.

Il personaggio di Orlando
È vero, Fellini gioca con la narrazione in un modo che rende difficile un riconoscimento delle tappe dello svolgimento, ma, per definizione, rimane pur sempre confinato nella bidimensionalità del prodotto cinematografico, che pertanto pone i “paletti” entro i quali si muove la ricezione dello spettatore. L’utilizzo della ripresa dal vivo nello spettacolo diretto da Pison sembra voler sopperire all’assenza, nell’arte teatrale, del primo piano – un elemento, al contrario, fondamentale nel film di Fellini. Si tratta di una soluzione che, seppur scontata, sarebbe in grado di mettere in primo piano la figura del narratore, offrendo al pubblico una chiave di lettura dell’intera azione scenica, che il più delle volte sembra priva di un filo logico. Nella messinscena dello “Zajc”, però, la macchina da presa viene adoperata da quasi tutti gli interpreti, seppur in maniera diversa, rendendo sfocata la distinzione tra il giornalista Orlando e la folla d’élite che egli prende di mira. L’interpretazione di Giuseppe Nicodemo, dall’altro lato, è ragionata e si addice al personaggio narrante che osserva con disillusione coloro che “rappresentano i valori più alti nell’affascinante mondo dello spettacolo e dell’arte”, per utilizzare l’ironica espressione con cui il giornalista designa il suo oggetto di studio. La recitazione di Nicodemo è caratterizzata da un marcato senso del ritmo, che dota del giusto peso ogni battuta del personaggio.

Una recitazione straniante
Purtroppo, neanche la raffinata interpretazione del protagonista è in grado di rimediare alle lacune dell’adattamento drammaturgico di Pison, che, malgrado l’intento di esaltare la pellicola felliniana, appiattisce l’immagine del degrado morale della società rappresentata. Un’immagine fatta, nel film, di una rassegna di personaggi la cui caratterizzazione risulta ciononostante del tutto inequivocabile, fornita da scene brevi, ma concentrate. Nello spettacolo, questo quadro appare assai incompleto, data l’assenza di un suo perimetro che una distinzione del personaggio narrante sarebbe stata invece in grado di fornire, oltre che allo squilibrio della selezione operata dall’adattamento drammaturgico. Bisogna riconoscere, però, che la scelta di una recitazione straniante degli interpreti (specialmente quelli dei personaggi dell’”élite”) è del tutto azzeccata in uno spettacolo di questo tipo, che rinuncia a un approfondimento della personalità e della psicologia dei personaggi. Nello spettacolo, gli attori del DI danno prova, senza eccezioni, di poter sostenere – apparentemente senza difficoltà – un lavoro di questo tipo e, anzi, sembrano dimostrare di poter offrire più di quanto lo stesso spettacolo gli conceda. Ivna Bruck, in particolare, sembra molto a suo agio nell’adoperare una recitazione quasi brechtiana, offrendo una performance che non lascia spazio a incertezze. Leonora Surian Popov e Andrea Tich riescono a concentrare la comicità di alcuni personaggi in gesti piccoli e mirati, mentre Mirko Soldano si rivela molto abile nel rappresentare in modo discreto l’autoironia dell’interpretazione in determinati momenti. Lo stesso discorso vale anche per Sabina Salamon, che dimostra di possedere una buona padronanza di sottili movimenti del corpo.

Spaesamento dello spettatore
Il troncamento della caratterizzazione della società elitaria rappresentata nel film di Fellini, un utilizzo della macchina da presa che spreca le potenzialità che il primo piano sarebbe in grado di offrire e la rinuncia alla funzione di guida del personaggio di Orlando producono necessariamente una sensazione di spaesamento nello spettatore, che stenta a trovare nello spettacolo un espediente per il tramite del quale farsi trasportare e indirizzare. Nella pellicola di Fellini, il ruolo del giornalista è fondamentale ed è grazie a lui che la critica sociale prende forma. Nello spettacolo, invece, la sua funzione non viene sufficientemente distinta dal resto dei personaggi a livello scenico, che conseguentemente fa crollare il temporaneo ponte che potrebbe venire a instaurarsi tra scena e platea. Il lavoro diretto da Pison risulta pertanto caratterizzato da alcuni difetti determinanti. Piuttosto che un omaggio al cinema felliniano e al film “E la nave va”, si presenta come una trasposizione scenica forzata di una tipicità dell’arte cinematografica.

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