Doppio esodo. Una ferita ancora aperta

Nel volume «Esuli due volte» Rosanna Turcinovich ci fa conoscere da vicino gli esuli che dopo essere costretti a lasciare le proprie terre, hanno dovuto abbandonare anche l'Italia. Lo spunto della narrazione è stato il raduno mondiale dei giuliano-dalmati tenutosi nel 2000 alle Cascate di Niagara

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Doppio esodo. Una ferita ancora aperta

Ci sono questioni legate all’enorme esodo che colpì le nostre genti, alla fine della Seconda guerra mondiale, che sono state poco indagate. Una di queste è cosa accadde a quanti, dopo aver lasciato l’Istria, Fiume e la Dalmazia, hanno dovuto lasciare anche l’Italia per mete lontane: Canada, Stati Uniti, Sudamerica, Sudafrica, Australia. Sui numeri si è detto e scritto, si è poco indagato invece su cosa abbiano vissuto nei lunghi viaggi, nei luoghi di approdo, nelle nuove destinazioni e come siano oggi inseriti nelle comunità in cui sono stati “ospitati”. Rosanna Turcinovich Giuricin affronta l’argomento nel suo nuovo libro “Esuli due volte” pubblicato da Oltre edizioni. Attraverso i suoi viaggi oltreoceano e le tante interviste, che vi realizzò con le persone incontrate, ha scoperto alcune ferite che ancora bruciano. Ne abbiamo parlato con lei durante la presentazione del libro tenutasi l’altra sera a Trieste.

La copertina del volume

Un’ingiustizia nell’ingiustizia

“L’esodo che sconvolse le nostre terre costrinse i profughi giuliano-dalmati in una trentina di campi profughi disseminati in tutta Italia, isole comprese. Si trattava di destinazioni di fortuna come vecchie caserme o baracche dove rimasero anche per lunghi anni. Quando l’IRO (International refugee organization) offrì la possibilità ai cittadini dei Paesi dell’est europeo di andare Oltreoceano, tanta gente scelse questo ‘secondo esodo’ con la speranza di una nuova occasione di vita ma dovettero farlo come jugoslavi. Un’ingiustizia nell’ingiustizia”.

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro, qual è stata l’occasione?

“Nel 2000 alle Cascate di Niagara ci fu il raduno mondiale dei giuliano-dalmati con rappresentanti dei vari Club giunti da tutti i continenti: Sudamerica, Australia e Sudafrica. Lì conobbi le loro storie, li intervistai per TV Capodistria e la voglia di raccontare, da allora, non è mai cessata”.

Hai conosciuto tante persone, quali sono state le più importanti?

“È la comunità intera che ha contribuito a mantenere viva l’identità istriana-fiumana-dalmata affidandosi a personaggi di spicco come Alceo Lini, Angelo Grohovaz, tra i primi giunti in Canada, come Konrad Eisenbichler, che ha un ruolo da Virgilio nel libro; Maria Zuccon, madre di Sergio Marchionne; Ersilia Toskan, madre di Frank il Re della Mac up artist, il grande nome della cosmesi; la famiglia Reia con imprenditori ed imprenditrici; la nostra Luisa Grisonich, insegnante pluripremiata, e così via. Un lungo elenco di protagonisti della nostra storia comunitaria e mondiale che nel libro si raccontano attraverso le interviste, ora ragionate, per conoscere le ragioni e i percorsi di chi andò e di chi rimase”.

E poi c’è stato Simone Cristicchi e il suo “Magazzino 18” anche in Canada.

“Quando nel buio del teatro di Toronto, dove con Konrad (Eisenbichler, ndr) ed Eligio Clapcich, siamo riusciti a portare Magazzino 18, Cristicchi ha sentito l’aria densa dell’attenzione e della condivisione, si è commosso a sua volta, la gente di cui stava raccontando s’era materializzata in quella sala. È stato bellissimo”.

C’è una questione molto importante che il libro solleva attraverso le testimonianze degli intervistati e l’esperienza diretta dell’autrice: lo scollamento tra le esigenze di coloro che vivono in questi contesti e l’associazionismo e le istituzioni preposte italiane. I club e i personaggi che rappresentano le eccellenze in quei Paesi avrebbero bisogno di un confronto continuo con i contesti culturali ed economici dell’Italia, confronto purtroppo trascurato da quest’ultima. Si nega così un futuro di legami e scambi molto importanti e viene meno anche l’attrattività dell’Italia per le ultime generazioni, dei figli e nipoti di coloro che sono emigrati. Una perdita secca per tutti.

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