Diana Haller. «Mi piace esplorare e creare sempre un prodotto nuovo»

Chiacchierata con il rinomato mezzosoprano fiumano che cura la regia dell’opera «Anna Bolena» di Donizetti, la cui première andrà in scena il 29 settembre al Teatro Nazionale Croato «Ivan de Zajc» di Fiume

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Diana Haller. «Mi piace esplorare e creare sempre un prodotto nuovo»
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume sono in corso in questi giorni le prove dell’opera “Anna Bolena” di Donizetti, che debutterà ​il 29 settembre alle ore 19. A curare la regia della pièce è il rinomato mezzosoprano fiumano Diana Haller, che in questo caso ha assunto, appunto, il ruolo di regista, mantenendo al contempo quello di cantante lirica e interpretando il personaggio di Giovanna Seymour, terza moglie di Enrico VIII d’Inghilterra. Diana Haller ci ha parlato della sua carriera di pianista, cantante e ora regista e delle sue aspirazioni per il futuro.

Com’è stato crescere in una famiglia di musicisti?
“La mia non è esattamente una famiglia di musicisti, perché i miei genitori non si occupano di musica, ma tra i membri della mia famiglia allargata c’è questa propensione. Sicuramente i primi impulsi sono venuti da loro, non solo da mio zio (il compianto Roberto Haller, nda), ma anche da mia nonna, che negli anni giovani volle fare la cantante. Dovette rinunciare a questo sogno perché a quell’epoca, più o meno durante la Seconda guerra mondiale, questo lavoro non era ben visto. Per questo motivo decise di fare l’insegnante. In compenso, fu lei a farmi conoscere per la prima volta l’opera. Mia nonna mi portò a vedere la ‘Traviata’ allo ‘Zajc’’ che avevo dieci o undici anni e questo è stato sicuramente un evento importante della mia vita, perché fino a quel momento suonavo il piano e credo che l’incontro con l’opera mi abbia aiutato a comprendere più tardi di voler cantare. La musica è stata sempre di casa nella mia famiglia perché anche se mio padre è medico ha suonato anche lui il pianoforte, ma il ruolo di mia nonna è stato fondamentale in questo senso”.

Come mai la “Traviata” ha avuto un impatto così profondo?
“Anche se già prima mi occupavo di musica, vedere l’opera, che è uno spettacolo complesso, con giochi di luci, cantanti, orchestra e altri elementi, mi entusiasmò al punto che per Natale chiesi lo spartito della ‘Traviata’. Iniziai, dunque, a suonarla perché mi piaceva la musica, ma all’epoca non avevo ancora in mente di cantare. Vorrei puntualizzare che da piccola ho sempre cantato, proprio come cantano tanti bambini senza che questo significhi necessariamente che intraprenderanno la carriera da cantante. Un’altra persona importante del mio periodo di formazione è stata la professoressa Nina Kovačić, con la quale ho studiato pianoforte, la quale mi consigliò, quando venne a sapere che mi piaceva l’opera, di provare a cantare, in modo da sentire meglio la frase e il respiro anche al pianoforte. Seguii il suo consiglio e dopo un anno di esercizi e prove di canto capii che col canto mi potevo esprimere meglio e che forse questa era la mia strada. Per me il vantaggio principale del canto era che mi permetteva una maggiore espressività”.

Quando ha deciso di dedicarsi al canto?
“A 16 anni lo dissi ai miei genitori e loro mi sostennero. Visto che da più di un decennio suonavo il pianoforte, loro mi dissero che forse era il caso di rivolgersi a una professionista di canto e così incontrai Dunja Vejzović. Questa fu la seconda svolta più grande della mia vita. Il grandissimo mezzosoprano Dunja Vejzović, dalla quale più tardi studiai a Stoccarda, capì subito quale era il mio potenziale e disse: ‘Sì, questa sarà una voce per il belcanto’. Avevo sedici anni e non sapevo ancora bene come cantare, ma lei già allora notò il talento e capì dove la mia voce sarebbe stata a suo agio e dove mi sarei potuta esprimere meglio. E fu proprio così. Il belcanto, infatti, è il nucleo della mia carriera e si adatta alla mia sensibilità. Andando poi a studiare a Trieste affinai questo stile, anche per il fatto che studiando in Italia è naturale dedicarsi all’opera italiana. C’è da dire, però, che non ogni tipo di musica e non ogni stile ci è congeniale. A volte possiamo non sentire vicini degli stili e dobbiamo studiarli, come è avvenuto con il lied tedesco nel mio caso. Ora l’ho fatto mio e faccio tanta liederistica”.

Com’è nata la decisione di studiare all’estero?
“Quando Dunja Vejzović nominò il belcanto io non sapevo ancora niente di ‘fach’, di tipologie di voci, ma mi affidai a questa sua stima e volendo studiare l’opera italiana il passaggio logico fu di studiare in Italia, dove trovai una grandissima insegnante, il mezzosoprano Gloria Scalchi, che ha costruito la sua carriera sul repertorio belcantistico. Una volta conclusi gli studi triennali, il cosiddetto bachelor, decisi di cercare un conservatorio dove poter imparare anche gli altri stili. Fu così che mi sono recai a Londra, che è una città multiculturale e anche nel programma di studio della Royal Academy of Music erano offerti il french song, english song, german song, scena, opera e tanto altro. Mi recai lì per l’esame di ammissione, anche se non pensavo di superarlo, perché ogni anno ci sono centinaia di studenti da tutto il mondo e all’epoca nella sezione degli studenti internazionali ne prendevano solo cinque. Mi classificai tra i primi cinque e ricevetti anche la borsa di studio, senza la quale non mi sarei potuta permettere questa esperienza. Ho studiato a Londra e ho completato il Master, che solitamente dura due anni, in un solo anno. All’epoca mia madre mi disse che a Grisignana la professoressa Vejzović guidava una masterclass e quindi decisi di iscrivermi. La prof.ssa Vejzović confermò il mio talento e mi disse di venire a Stoccarda per affinare tutto quello che avevo imparato fino ad allora. Quando feci l’esame di ammissione a Stoccarda, nel 2009, nella giuria c’erano diversi membri dell’opera, che richiesero che io entrassi a far parte del loro Operastudio, della cui esistenza non ero al corrente”.

Nel 2013 ha ottenuto dalla rivista “Opernwelt” il titolo di Nachwuchssängerin?
“Sì, si tratta del titolo di miglior cantante giovane dell’anno, per la ‘Cenerentola’, un’altra opera di belcanto. A votare per me sono stati tanti giornalisti e questo ovviamente è stato un momento emozionante, perché sono andata in Germania che non conoscevo nessuno e quattro anni dopo mi veniva conferito questo titolo, un titolo che mi sono aggiudicata lavorando sodo”.

È stato difficile passare dall’opera italiana al mondo della musica tedesca?
“È stato uno shock! Il primo anno avevo difficoltà con la lingua e all’epoca Stoccarda era una città abbastanza chiusa, molto tedesca e molto legata alla tradizione sveva del Baden-Württemberg. Nessuno parlava l’inglese e se non fosse stato per una significativa minoranza croata, arrivata negli anni Settanta a lavorare per la Mercedes, sarei stata completamente isolata. Poi ho iniziato a capire il tedesco e ho iniziato ad usarlo, fino ad arrivare a discorrere correntemente”.

Quando ha iniziato a occuparsi di regia?
“Nel 2013 ho debuttato a Weissenhorn in questo ruolo con ‘Pimpinone’ di Telemann, mentre nel 2015 ho diretto la ‘Norma’ di Bellini e nel 2018 ‘I Capuleti e i Montecchi’, sempre di Bellini. Entrambe le mie due mentori più importanti, Dunja Vejzović e Brigitte Fassbaender, con le quali tutt’oggi sono in contatto, hanno iniziato col canto per poi passare a progetti di diverso respiro e credo di essermi ispirata a loro, forse inconsciamente. Entrambe, ad esempio, insegnano canto, come ho iniziato a fare pure io all’Operaschule dell’Università di Musica di Stoccarda, ed entrambe hanno fatto regia. Lavorando in un teatro stabile si impara molto di più che essendo ospite. Io, ad esempio, ho avuto modo di assistere a tutte le prove, anche alla prova delle luci, non solo quelle di canto. Quindi il passaggio alla regia è stato naturale e quando il direttore artistico del teatro di Weissenhorn mi ha chiesto di curare la regia, non mi sono tirata indietro”.

Si è ritrovata in questo ruolo?
“Sicuramente. Mi piace creare e ideare un prodotto nuovo, ma anche investigare. Per l’opera esistono il libretto e la musica, ma c’è tutto un mondo dietro da scoprire. Per esempio adesso che stiamo allestendo ‘Anna Bolena’, dietro all’opera c’è la storia effettuale, ciò che è realmente accaduto e che forse non viene rispecchiato dal libretto. Ho tentato, quindi, di colmare alcune lacune per rendere l’opera più fedele ai fatti storici. Sappiamo, ad esempio, che Enrico VIII ebbe due figlie, Elisabetta e Mary. Nel 1536, anno in cui è ambientata l’opera, Elisabetta aveva tre anni, mentre Mary ne aveva una ventina. Ho cercato di inserire questi due personaggi nell’opera, perché entrambe le figlie erano storicamente presenti a corte”.

Il ruolo di Anna Bolena è particolarmente impegnativo?
“Sì, è un ruolo estremamente difficile e ci tengo a sottolineare che possiamo ritenerci molto fortunati ad avere nell’ensemble una cantante come Anamarija Knego, che negli ultimi anni ha cantato innumerevoli ruoli, da quello di soprano leggero nella ‘Traviata’, a un soprano spinto come ‘Butterfly’, per giungere all’’Anna Bolena’, che in sé ha tutto: sia la parte drammatica, i pianissimi, il filato, tutte le particolarità del belcanto e pure le agilità: quindi, ci vogliono tante componenti per poter cantare questo ruolo veramente impegnativo. È un po’ come ‘Norma’ ed entrambe sono state scritte per la stessa cantante, Giuditta Pasta”.

Com’è iniziata la collaborazione con lo «Zajc»?
“Il merito è del sovrentendente Marin Blažević. Ci siamo trovati a Zagabria e lui mi ha proposto una collaborazione. Se non sbaglio, la prima collaborazione risale al 2015, quando abbiamo fatto un concerto che ha avuto un grandissimo successo, con teatro esaurito, compresi i posti in piedi. Di lui apprezzo il fatto che sia estremamente professionale ed affidabile, due caratteristiche che purtroppo non sempre ho riscontrato nei teatri croati. Blažević ha compreso che se vuole collaborare con una cantante del mio calibro, deve pianificare i progetti con largo anticipo e deve mantenere la sua parola, perché se io mi organizzo per essere libera due mesi all’anno, è essenziale che anche l’altra parte sia fedele alla parola data. Proprio per il fatto che Blažević, ma anche gli altri dipartimenti del teatro, hanno sempre rispettato i miei impegni e i miei tempi, torno volentieri allo ‘Zajc’”.

Questo sarà il primo allestimento dell’”Anna Bolena” a Fiume?
“In realtà è andata in scena nel 1835 al Teatro comunale, quindi non nell’odierno teatro. Non so se a Zagabria l’opera sia andata in scena negli ultimi cento anni, però so che a Fiume sarà la prima volta. Anche in questo caso l’idea è stata di Marin Blažević, il quale non solo firma i programmi degli ultimi dieci anni, ma ha anche portato tanti professionisti nuovi, come ad esempio il Maestro Ville Matvejeff, e Valentin Egel. È stato lui a dare l’opportunità a una cantante come Anamarija Knego di studiare ed evolversi, cimentarsi in questi ruoli difficili. Senza un’occasione un cantante non ha modo di crescere e mettersi alla prova. Una decina di anni fa mi è stato chiesto di proporre un cantante per un concorso a Zagabria e io ho fatto il nome di Anamarija. È stato in quell’occasione che Marin Blažević l’ha sentita e ha deciso di assegnarle ruoli più importanti”.

Ha qualche progetto per il futuro?
“Tanti. Ho una voce un po’ ibrida. La mia voce è un mezzosoprano, però ho tante basse, motivo per cui ho fatto tanti ruoli da contralto, ma contemporaneamente ho tanti acuti e ho fatto tanti ruoli molto acuti. La prossima stagione a Stoccarda ci sarà una nuova produzione dell’’Idomeneo’ di Mozart, nella quale canterò il ruolo di Elettra, che è un soprano. Diciamo, dunque, che vorrei sviluppare la mia voce verso l’acuto. Ci saranno ulteriori debutti nel repertorio di Wagner a giugno, come Fricka ne ‘L’oro del Reno’. Desidero tenere tutti e due i mondi, sia quello da mezzosoprano, che quello da soprano. ‘Norma’ mi è già stata chiesta diverse volte, ma l’ho sempre rifiutata perché è troppo presto. Però, chi lo sa…”.

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