Al Burger Festival in Riva sbarca pure il plant based

L’evento di quest’anno offre un’assoluta novità, che consiste nel panino realizzato con alimenti di origine vegetale

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Al Burger Festival in Riva sbarca pure il plant based
Il Burger Festival sarà in città fino al 15 agosto. Foto: DARIA DEGHENGHI

Una volta la chiamavano “svizzera”, ma poi l’inglese ha conquistato il pianeta e oggi la polpetta schiacciata si chiama “hamburger” o solo “burger”, per non pregiudicare il contenuto. Già, perché oggi va di moda il panino “plant based”, altro neologismo di stampo anglosassone che nasce per assecondare i gusti del momento. Al Burger Festival in corso dal 27 luglio al 15 agosto in Riva abbiamo incontrato uno dei pionieri nazionali della cucina basata in prevalenza su alimenti di origine vegetale, Eduard Beg, un imprenditore che ragiona su larga scala perché oltre a occuparsi di street food, lavora come grossista nel commercio e nella ristorazione, e ora si è messo in testa di fondare anche una rete di Plant Based Butchery&Deli (“macellerie” e gastronomia vegetali), da esportare col franchising nei Paesi dell’ex Jugoslavia e possibilmente nel resto dell’Unione europea. Contemporaneamente sta fondando un webshop e un ristorante plant based di lusso che ovviamente aspira alla prima stella Michelin vegetale in Croazia. Insomma, quando si dice ambizione… Il burger green a un Festival della carne ci pare una stravaganza, ma lo chef ci smentisce immediatamente: “No, non è una stranezza. Siamo diversi, questo è chiaro, ma non siamo stravaganti. Il plant based nel mondo si espande da una decina d’anni e ora fa tendenza, per cui siamo nella norma anche se un po’ indietro sui tempi. Si tratta di un’alimentazione che nulla vieta, che non è una filosofia di vita o un credo come il veganismo. È solo una parziale sostituzione degli alimenti di origine animale con quelli vegetali che si basa sul concetto di sostenibilità”.

Eduard Beg.
Foto: DARIA DEGHENGHI

Catena alimentare insostenibile
Beg insiste su questo punto: “La catena alimentare su scala planetaria è insostenibile: la domanda è molto più elevata dell’offerta e per sopperire al fabbisogno la carne è sempre più forzata e viziata con ormoni della crescita, antibiotici o steroidi che sono delle scorciatoie industriali per provvedere alla maggior quantità di carne nel minor tempo possibile e al minor costo possibile. Il 75 p.c. della produzione mondiale di grano e mais è utilizzata per l’alimentazione degli animali da macello. È semplicemente assurdo. Il plant based è solo una delle risposte possibili al problema e alcune nazioni hanno imparato la lezione: in Olanda, in Inghilterra e negli Stati Uniti oggi si vendono più uova vegetali che uova di gallina. Ora le stiamo importando anche in Croazia e a breve li troveremo nei negozi: stiamo trattando. Il senso del discorso non è rinunciare alla carne, ma rinunciare alla carne della produzione di massa, quella di qualità infima, per poi concedersi la carne buona solo occasionalmente. L’idea di base è arrestare la pressione sull’industria alimentare e darle la possibilità di allevare animali migliori con calma”, conclude Beg il suo discorso perfettamente razionale che a nostro avviso fa cilecca solo in un punto: l’uomo è un animale poco razionale e i mercati non lo sono affatto. La razionalità è merce rara su questo pianeta. Tuttavia tentar non nuoce.

Margini di guadagno inferiori
Come siamo messi con le vendite al Burger festival? Il prodotto vegetale è richiesto o bisogna fare opera di convincimento? I prezzi ci sembrano superiori. Beg si spiega: “Non è necessario incitare chiunque perché i clienti non mancano. È vero, in proporzione si vendono meno burger vegetali che animali, ma questo è ovvio. Quanto ai prezzi sono superiori per motivi ovvi: intanto, perché per il momento la materia prima costa in partenza il 30 per cento in più e poi perché si vende un po’ meno. In verità i nostri margini di guadagno sono nettamente inferiori rispetto alla concorrenza, ma è normale per un settore in via d’affermazione. Quello che non fa una grinza invece è il discorso del gusto: i nostri piatti sono buoni quanto quelli tradizionali e chiunque li abbia assaggiati lo conferma. Chi non apprezza è una parte infinitesimale di chi ha comprato, forse l’uno o il due per cento dei clienti, e si tratta prevalentemente di vegani, che non gradiscono il gusto del prodotto green perché imita il sapore della carne”. Poco male, c’è un mercato anche per i vegani. Il lato bello dell’economia di mercato è che tutte le esigenze prima o poi trovano appagamento.

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