Legge sulla lingua croata. Plenković: «Nessun danno per le etnie»

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Legge sulla lingua croata. Plenković: «Nessun danno per le etnie»
Il premier Andrej Plenković. Photo: Goran Stanzl/PIXSELL

Il governo ha inviato all’approvazione del Parlamento la legge sulla lingua croata, con l’obiettivo di preservarne il valore come patrimonio culturale e garantirne lo sviluppo in linea con le evoluzioni del mondo moderno. Il premier Andrej Plenković ha spiegato che la legge non regola l’espressione artistica e letteraria, né la lingua legata alla quotidianità privata o le lingue delle minoranze nazionali. “Con l’approvazione di questa legge, la tutela della lingua croata riceve un quadro istituzionale. L’obiettivo della legge è garantire un elevato standard di qualità per la lingua croata nei documenti ufficiali”, ha affermato.
La legge viene inviata alla procedura, ha detto il primo ministro, in occasione del 180° anniversario di un evento importante nella storia croata, risalente al 2 maggio 1843, quando Ivan Kukuljević Sakcinski pronunciò per la prima volta un discorso in lingua croata al Sabor e chiese l’introduzione della lingua croata nelle scuole, negli uffici e nella vita pubblica, poiché già dal XIII secolo tutto era in latino. “Lo scopo della legge è preservare il valore prezioso della lingua come patrimonio attraverso il quale parlano l’identità, la storia e la cultura dei popoli, e allo stesso tempo assicurarne lo sviluppo in linea con le esigenze del mondo moderno, perché la lingua è viva”, ha sottolineato ancora il premier. Con l’approvazione della legge – ha aggiunto – la Croazia si unirà ai numerosi Paesi europei (Francia, Slovacchia, Polonia, Lituania, Slovenia, Svizzera, Belgio) che hanno già una legge sulla lingua, ovvero una legge sull’uso ufficiale della lingua.
La lingua croata “comprende la lingua standard croata e i dialetti croati – ciacavo, kajkavo e stocavo – di cui lo stocavo è stato scelto come base per lo standard, nonché gli idiomi utilizzati da una parte dei croati all’estero”. Dato che “la lingua è un bene immateriale e un segno dell’identità e dell’appartenenza del popolo – ha sottolineato il primo ministro – è dovere del governo proteggere e garantire la libertà di uso della lingua croata, soprattutto in tempi di globalizzazione. Ciò significa anche garantire le basi giuridiche per il suo utilizzo e sviluppo e promuovere la cultura della lingua croata nell’uso pubblico ufficiale”. La legge “non limita la libertà di espressione letteraria e artistica, né regola la comunicazione privata. La legge non limita l’applicazione giuridica della Legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali, né della Legge sull’uso delle lingue e le minoranze nazionali nella Repubblica di Croazia”, ​​ha assicurato ancora il primo ministro. Con la nuova normativa si propone che, al fine di preservare il ruolo sociale e la posizione giuridica della lingua croata in Croazia e a livello internazionale, il governo garantisca la creazione di un piano politico nazionale per la lingua croata con un elenco di obiettivi e misure prioritari. Si propone inoltre di istituire il Consiglio per la lingua croata, che avrà un presidente e 14 membri, come organo consultivo e coordinatore che si prenderà cura della lingua croata, nonché della varietà degli idiomi dialettali e dei loro usi funzionali specifici.
Fin qui la posizione ufficiale del governo. Resta il fatto che, soprattutto nell’area istroquarnerina e dalmata, ma non solo, non si è fatto mistero della preoccupazione sui possibili contraccolpi della nuova legge sull’uso dei dialetti, nella fattispecie quello ciacavo che si è ritagliato importanti spazi culturali negli ultimi decenni. Sarà interessante seguire l’andamento del dibattito al Sabor, dove vi saranno certamente due letture. Le rassicurazioni non mancano nei confronti delle minoranze e delle loro lingue. Sono tutti da vedersi però i riflessi della normativa sull’impiego di termini definiti stranieri ad esempio a livello pubblicitario, per quanto concerne i nomi di bar e ristoranti, in quanto specie dalle nostre parti, complice pure il turismo, ma non solo, questa è una prassi diffusa. Alla quale sarebbe bene non rinunciare.

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