Il «treno» Fiume CEC 2020 è giunto al capolinea

Dopo la proroga fino al 30 aprile 2021 si chiude l’avventura di Fiume Capitale europea della cultura, un progetto prestigioso e importante che però ha subito l’impatto violento della pandemia di Covid-19, ma che nonostante tutto è riuscito a sopravvivere. Ne abbiamo parlato con i principali artefici

0
Il «treno» Fiume CEC 2020 è giunto al capolinea

«Sono convinto che Fiume saprà offrire ai visitatori dell’Europa intera e di tutto il mondo l’opportunità di conoscere non soltanto la città e la sua storia, ma anche la diversità culturale e i valori comuni dell’Unione europea. Non dubito che questo titolo porterà a Fiume e alle zone circostanti vantaggi culturali, economici e sociali a lungo termine”. Sono le parole pronunciate da Tibor Navracsics, Commissario europeo per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, il 24 marzo 2016, giorno in cui a Fiume è stato assegnato, assieme alla città irlandese di Galway, il prestigioso titolo di Capitale europea della cultura 2020. Per il sindaco di Fiume, Vojko Obersnel, si è trattato di “un sogno diventato realtà”, aggiungendo che “sta a noi trasformare quest’opportunità in successo e lo possiamo fare soltanto in sinergia con i cittadini di Fiume”.

Dal garage al grande palcoscenico

Comprensibile la gioia di tutti quelli che si erano impegnati nel rendere la candidatura di Fiume credibile e appetibile, ma anche la felicità dei cittadini comuni, i quali avevano intuito subito che si sarebbe trattato non soltanto di un grande evento culturale, bensì di un’opportunità unica di aumentare la visibilità della città e della Regione, a tutto beneficio dell’economia. Il capodipartimento per la cultura della Città di Fiume, Ivan Šarar, aveva detto che gli sembrava di far parte di “una demo band che fa le prove in un garage e che tutto ad un tratto riceve l’opportunità di esibirsi su un grande palcoscenico”. “Siamo consapevoli di tutti i nostri difetti, per cui questo titolo ci ha sorpreso ancora di più”, aveva aggiunto il “ministro” fiumano della cultura, il quale aveva ringraziato il sindaco “per aver avuto il coraggio di affidare tutto a un team di persone decisamente… originali e per non avere mai interferito nel nostro lavoro”.

La mostra Fiume fantastica all’Exportdrvo. Foto Ivor Hreljanovic

L’ultima stazione

Ora il “treno” della Capitale europea della cultura (CEC) ha raggiunto la sua ultima stazione, dopodiché si sono spente anche le due luci rosse sull’ultimo vagone e con esse anche il titolo ufficiale di Capitale europea della cultura 2020, mantenuto in via eccezionale fino al fino al 30 aprile 2021 a causa di quella maledetta pandemia di Covid-19 che oltre ad aver sconvolto le vite di tutti noi, ha rivoltato come un calzino il programma di CEC 2020. Infatti, l’11 marzo 2020, nemmeno 40 giorni dopo la spettacolare inaugurazione e due settimane dopo la grande sfilata conclusiva del Carnevale fiumano, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), dopo aver valutato i livelli di gravità e la diffusione globale dell’infezione da SARS-CoV-2, ha dichiarato che l’epidemia di COVID-19 poteva essere considerata una pandemia.

Il coraggio di dire: «Andiamo avanti»

Gli orari e le stazioni del “treno” CEC, quindi, hanno subito diverse modifiche, che hanno comportato una riduzione dei programmi e dei protagonisti, ma anche l’impossibilità da parte del pubblico di assistere a eventi mai visti finora a Fiume. Rischiava di diventare “il treno dei desideri” di Adriano Celentano nel famoso brano “Azzurro”, che nei suoi pensieri andava “all’incontrario”, ma l’entourage di CEC ha avuto il coraggio di dire: “Andiamo avanti”! E così, in un modo o nell’altro, si è andati avanti e non sapremo mai cosa sarebbe stato senza la pandemia che ha trasformato il “treno” CEC nel “grande mostro sbuffante che si avventa per valli e per gole, oltrepassando cascate, montagne nevose e strade campestri” descritto dalla grande scrittrice britannica Agatha Christie, per la quale “viaggiare in treno significa vedere la natura, gli uomini, le città, le chiese e i fiumi, insomma, la vita”. Ed è quello che avrebbero dovuto e voluto vedere i suoi passeggeri. Ma cosa rimarrà, oltre ai ricordi, quando si saranno spente le luci rosse sull’ultimo vagone della Capitale europea della cultura?
Lo abbiamo chiesto a tre personaggi chiave di questa avventura, ossia Irena Kregar Šegota, da giugno 2020 direttrice di Rijeka 2020, l’azienda costituita per gestire il programma CEC (aveva preso il posto della dimissionaria e molto discussa Emina Višnić), il sindaco Vojko Obersnel e il suo “ministro” della cultura Ivan Šarar.

Ivan Šarar: «Il valore più grande è quello che rimane»

Il “ministro” fiumano della cultura Ivan Šarar. Foto Roni Brmalj

“Credo sia ancora troppo presto per poter fare un bilancio completo, per valutare quello che abbiamo fatto, ma anche quello che non abbiamo fatto – ci ha detto Ivan Šarar –. CEC 2020 è un progetto che dura ormai da otto anni. Mica un anno. Ci serviranno ancora uno o due anni per poter valutare il tutto in modo imparziale, per capire quanto abbiamo perso a causa della pandemia. Generalmente, però, posso dire di essere più che soddisfatto. Lo sono in primo luogo perché tutti i progetti infrastrutturali sono stati portati a termine oppure sono in fase conclusiva. Le promesse in questo campo sono più difficili da mantenere rispetto a quelle che riguardano i programmi. Quando abbiamo avviato il progetto CEC avevamo le idee chiare su quello che volevamo fare e ottenere, anche se era tutto in fase embrionale. In questo contesto posso affermare che sono stati tutti veramente bravi. Nei giorni scorsi ho partecipato a un dibattito al quale ha parlato anche la collega di Maribor, che con la città portoghese di Guimarães è stata Capitale europea della cultura nel 2012. Ebbene, loro non hanno costruito nemmeno una casetta e Maribor oggi non c’è nulla che potremmo ricollegare alla CEC”.
“Credo che il valore più grande – ha aggiunto –, se escludiamo grandi spettacoli come lo è stata l’inaugurazione, sia proprio quello che rimane. Abbiamo reso possibile il trasloco del Museo di arte moderna e contemporanea, abbiamo restaurato e messo in funzione il bellissimo palazzo dello Zuccherificio, ora sede del Museo civico, abbiamo inaugurato la Casa dell’infanzia, abbiamo allestito il RiHub, il Galeb è in fase di restauro, abbiamo messo in funzione i vecchi magazzini dell’Exportdrvo, progetto che non era stato nemmeno annunciato, la Biblioteca civica è a metà strada… Insomma, si tratta di un intervento di grandi proporzioni che sarà al servizio della società per almeno i prossimi cinquant’anni. Qualsiasi cosa accada a Fiume o in Croazia, si tratta di interventi destinati a durare nel tempo e a elevare lo standard della città non soltanto nel campo della cultura, ma anche dal punto di vista urbanistico. Qui mi riferisco all’intero complesso Benčić, che per decenni è stato la vergogna della città. Via Krešimir ha già un altro aspetto e con il restauro della stazione ferroviaria, risplenderà tutto il rione. Finché questo virus, però, continuerà a circolare, nulla potrà risplendere come dovrebbe”.

Foto Roni Brmalj

«Ci siamo dovuti arrangiare»

Eh sì, quel maledetto virus che si è accanito sul nostro pianeta sconvolgendo in tutti noi le priorità. Uno dei settori maggiormente colpiti è stato proprio quello della cultura, importante anche per il suo impatto su economia e occupazione. Inoltre, la cultura stimola l’innovazione in tutta la sfera economica e contribuisce a generare un impatto sociale positivo in numerosi altri ambiti. È inutile rimarcare che i settori culturali e creativi sono composti in gran parte da microimprese, enti e organizzazioni no profit e creativi professionisti che spesso operano ai margini della sostenibilità finanziaria. Le grandi istituzioni culturali pubbliche e private e le imprese dipendono in maniera imprescindibile da questo dinamico ecosistema culturale per la fornitura di beni e servizi creativi. Come ha fatto Fiume ad andare avanti?
“Non è stato facile gestire il tutto in circostanze così sfavorevoli – ha puntualizzato il capodipartimento per la cultura della Città di Fiume –. In un dato momento abbiamo dovuto fermare tutto, i finanziamenti sono stati dimezzati, i programmi internazionali cancellati, come pure i progetti turistici e quelli che risultavano essere troppo costosi… Dovevamo riprogrammare tutto, cancellando i programmi più grandi, quelli che avrebbero attirato il pubblico più numeroso, tutto quello che la gente aveva immaginato dovesse essere Fiume Capitale europea della cultura. Visto come stavano andando le cose, dovevamo arrangiarci in qualche maniera e riorganizzare tutto. Abbiamo adattato il format alle circostanze, organizzando una serie di piccoli concerti all’Exportdrvo, puntando molto sulle mostre come Fiume fantastica, Mare incandescente o la Città di Balthazar, che hanno avuto grande successo. Noi fiumani abbiamo la tendenza a sottovalutare l’importanza e il valore di certe cose. Non dimentichiamo che Fiume è l’unica Capitale europea della cultura a essere sopravvissuta alla pandemia. Galway non ha potuto fare niente perché il lockdown ha impedito agli irlandesi di fare qualsiasi cosa, mentre Timişoara, Elefsina e Novi Sad, le capitali del 2021, hanno spostato tutto al 2022 senza avere nessuna certezza per quanto riguarda gli sviluppi di questa pandemia. Certo, possiamo anche esaminare ciò che è andato bene e ciò che è andato male, però nessuno ci potrà togliere la soddisfazione di essere riusciti a sopravvivere nonostante tutto, di aver mantenuto tutte le promesse relative all’infrastruttura e anche quelle riguardanti il programma dopo i tagli dettati dal Covid”.

Critiche? Spesso malevole…

Oltre al Covid-19, gli organizzatori sono stati fatti bersaglio di numerose critiche. “Sì, è vero, ci sono piovute addosso tantissime critiche, molte delle quali piuttosto malevole – ha detto Ivan Šarar –. Si tratta per lo più di un’esacerbazione della vita politica quotidiana e delle persone che trascorrono evidentemente troppo tempo sulle reti sociali. Per riassumere, fra tre o cinque anni, quando il complesso Benčić potrà respirare a pieni polmoni e quando, spero, ci saremo lasciati questa pandemia alle spalle, la gente non potrà non osservare che tutto questo ci è stato lasciato in eredità dalla Capitale europea della cultura. Ci posso scommettere”.

La mostra sul siluro fiumano all’interno del Palazzo dell’ex Zuccherificio. Foto Željko Jerneić

Non solo infrastruttura

A parte l’infrastruttura, cosa rimarrà? Secondo il “ministro” fiumano della cultura diverse cose. “Io stratificherei la risposta. La prima cosa che menzionerei è il programma di volontariato, che dobbiamo continuare a curare, mantenendo le persone che lo hanno sviluppato, perché credo che il volontariato sia un modo bello e nuovo per coinvolgere le persone nel mondo della cultura. In secondo luogo abbiamo il programma formativo, di apprendimento, che è stato affrontato da più di 800 persone le quali hanno partecipato a conferenze, lezioni, laboratori, fortunatamente prima della pandemia. Queste persone hanno imparato qualcosa di importante, sono diventati in pratica operatori culturali. Qualcuno continuerà certamente a percorrere questa strada, altri magari no, qualcuno rimarrà a Fiume, altri andranno altrove. Il loro sapere è ora sicuramente più ampio rispetto a due o tre anni fa. Tra loro ci sono anche i dipendenti dell’azienda Rijeka 2020 o di diversi enti. I professionisti del settore culturale sono decisamente più competenti e molti di loro continueranno a dare il loro contributo in questa città. A parte i nuovi edifici, che hanno elevato o eleveranno lo standard di musei e biblioteche, abbiamo anche il RiHub, che una volta terminata la pandemia ritornerà a essere un luogo d’incontro, di collaborazione e di coworking”.

Sarà un 2022 difficile

“Temo, però, che la crisi finanziaria provocata dal Covid si ripercuoterà sulla cultura e penso che il 2022 sarà un anno molto difficile – ritiene Šarar –. Noi abbiamo voluto avviare le attività legate alla Capitale europea della cultura con notevole anticipo perché non volevamo un 2020 pieno di attività, senza un prima e senza un dopo. Molti programmi erano stati avviati già nel 2017 (Tobogan, Porto etno…). La gente si è abituata in un certo senso a una moltitudine di eventi culturali. Nel 2021 avremo un calo, mentre il 2022 sarà il primo anno post CEC e credo che sarà un anno difficile. Dovremo essere intelligenti e sapere dove risparmiare e dove no, ma, come ho già detto, le persone, il sapere, i volontari, i nuovi ambienti contribuiranno a rendere anche il 2022 migliore di quanto non lo sia stato ad esempio il 2015. Per riuscirci, l’entusiasmo dovrà essere l’ingrediente essenziale. Dipenderà anche dal futuro establishment cittadino, dalla sensibilità che il futuro sindaco e i nuovi consiglieri cittadini avranno nei confronti di questa storia. Sono pienamente consapevole del fatto che negli ultimi anni la cultura abbia attinto notevoli risorse dal bilancio cittadino ed è assolutamente normale aspettarsi che rientri nei ranghi, seppure a un livello superiore rispetto a quanto non lo fosse stata cinque o sei anni fa”.

Quelle «orme» sulla neve

“Io, però, sono ottimista – ha concluso –. Per cinque o sei anni la cultura ha invaso la città e mai finora si era parlato tanto di cultura. Nel bene e nel male se ne parlava e ciò non potrà non lasciare traccia. Se c’è qualcosa che mi ha reso triste è l’aver scoperto, specialmente dopo lo scoppio della pandemia, la presenza di forze distruttive nella nostra città, persone che non vedevano l’ora che succedesse qualcosa per poi accanirsi contro la CEC, che sembra aver risvegliato a Fiume lo spettro del provincialismo, facendo trasparire il lato nascosto della nostra città, quello autodistruttivo, provando gusto nello svilire e sminuire il valore di quello che abbiamo. Una sorta di gretto campanilismo, venuto fuori nel posto e nel momento sbagliati. Mi fa piacere, però, che sia… nevicato e che le belve abbiano lasciato le proprie orme sulla neve. Ho seguito con attenzione anche queste correnti, ma non capisco come si possa godere delle disgrazie altrui. Mi fa piacere, pertanto, essere riusciti a superare le difficoltà e aver portato a termine questo progetto”.

Vojko Obersnel e la reazione alla pandemia

Il sindaco Vojko Obersnel. Foto Roni Brmalj

Con la conclusione del progetto CEC, si concluderà anche la lunghissima permanenza di Vojko Obersnel alla guida di Fiume. È una persona, quindi, che ha potuto seguire il progetto dal suo concepimento alla sua nascita e anche alla sua conclusione. Non diremo “morte”, perché lo spirito della Capitale europea della cultura continuerà ad aleggiare su Fiume per tantissimo tempo, nonostante la pandemia abbia rovinato una festa che era stata preparata nei minimi dettagli.
“Premetto che abbiamo investito notevoli energie e anche tantissimi soldi nell’organizzazione di CEC 2020, avviata non appena abbiamo saputo della nomina – ha esordito il sindaco –. Un impegno, quindi, iniziato nel 2017. Il 2020 sarebbe dovuto essere un grande evento culturale, ma anche un’importante promozione della nostra città. Dopo l’imponente inaugurazione, che è stata bene accetta sia da parte dei cittadini che dai professionisti del settore, abbiamo dovuto subire purtroppo le conseguenze della pandemia di Covid-19, che ha compromesso la realizzazione di tutto quello che avevamo già preparato. Abbiamo dovuto adattarci, come del resto tutti, alle nuove circostanze, ma ciononostante si è riusciti a organizzare circa 600 eventi diversi, da quelli grandi come le mostre internazionali Fiume fantastica e Mare incandescente a quelli più piccoli, sia a Fiume che nelle località del circondario nell’ambito dell’indirizzo programmatico dei 27 vicinati. In tutto questo periodo a Galway, che ha condiviso con noi il titolo di CEC, non succedeva nulla perché in Irlanda le misure di contenimento del contagio erano più rigorose rispetto alla Croazia. Per quest’ultimo mese, dopo la decisione del Parlamento europeo di prorogare le Capitali europee della cultura 2020 e l’organizzazione dei loro eventi fino al 30 aprile 2021, avevamo pianificato tutta una serie di avvenimenti, ma per disgrazia la situazione nella nostra Regione è precipitata ulteriormente. Sono state decretate misure più rigorose e i programmi pianificati si sono svolti prevalentemente online. Le mostre verranno allestite, sì, ma saranno accessibili e visitabili appena quando la situazione lo permetterà. Lo stesso discorso vale per il Teatro, i cui programmi finanziati con i mezzi CEC verranno messi in scena successivamente”.

«Un’eredità permanente»

“La cosa più importante, però, è l’eredità permanente, rappresentata dagli edifici restaurati in questo periodo – ha detto ancora Vojko Obersnel –. Mi riferisco a tutta l’area dell’ex complesso Benčić, all’edificio del Museo di arte moderna e contemporanea che deve venir ancora completato, alla mostra permanente del Museo civico nel bellissimo palazzo dell’ex Zuccherificio, alla Casa dell’infanzia, un progetto unico nel suo genere in Croazia e che permetterà ai bambini e ai giovani di sprigionare la propria creatività non appena lo condizioni lo consentiranno. Si sta lavorando ancora all’edificio che ospiterà la Biblioteca civica e che dovrebbe essere completato verso l’inizio dell’anno prossimo. Ci sono anche i locali del RiHub, che rimarranno in funzione delle startup e del coworking. L’edificio dell’Exportdrvo, inoltre, dopo essere stato messo a posto, rappresenta oggi un enorme spazio espositivo che potrà essere utilizzato non soltanto per l’allestimento di mostre, ma anche per l’organizzazione di eventi fieristici e di altro tipo. Non dimentichiamo il Galeb, che sarà completato entro l’anno e sarà parte integrante del Museo civico e presenterà, oltre alla propria storia, quella del Movimento dei non allineati”.

Il Galeb è ancora in fase di ristrutturazione

Galeb, polemiche ed equivoci

È stato proprio il progetto Galeb ad aver sollevato un vespaio di polemiche che, presumiamo, avrà richiesto notevoli energie anche da parte del sindaco per giustificarlo e per spiegarlo. “Troppe persone si sono lasciate andare a ragionamenti dozzinali – ha detto in merito –, affermando che i soldi per il Galeb potevano essere spesi altrimenti. La verità, però, è un’altra. Noi abbiamo partecipato a un concorso al quale potevano essere ammessi soltanto beni culturali sotto protezione. Abbiamo optato per il palazzo dello Zuccherificio e per la nave Galeb, entrambi beni culturali sotto protezione della Repubblica di Croazia, e siamo riusciti a ottenere il massimo possibile dai Fondi europei per il loro restauro. Pertanto, con questi soldi non potevamo mica costruire scuole o asili. Le critiche? C’è sempre chi è insoddisfatto. È chiaro che non tutti potevano essere inclusi nel progetto e quelli che rimangono fuori ritengono sempre di aver subito un torto, un’ingiustizia, pensando di avere più meriti rispetto a quelli che sono stati coinvolti. Ci sono state pure tantissime critiche insensate, critiche che sono più il prodotto della cattiveria che di analisi obiettive. Improvvisamente sono comparsi sulla scena ‘esperti’ convinti di poter proporre al pubblico un programma alternativo a quello della Capitale europea della cultura, ma come sono venuti così sono anche scomparsi. Non mi sembra che sia stato fatto qualcosa fuori dal programma ufficiale della Capitale europea della cultura”.

Dalla gioia alla tristezza la strada è breve

Dalla gioia alla tristezza la strada può essere molto breve, come ci ha confermato il sindaco di Fiume, in carica, ricorderemo, dal 2 marzo del 2000. “Ero molto felice quando Fiume è riuscita a battere la concorrenza accanita di otto città croate e conquistare il titolo di CEC, diventando così la prima città in Croazia a fregiarsi di questo titolo e lo sarà anche per i prossimi quindici o più anni. Si è trattato di un grande impegno, ma anche di una grande sfida e credo che siamo riusciti a farlo in maniera più che egregia. La pandemia ha causato una riduzione del programma e delle risorse finanziarie, in quanto molti degli introiti pianificati sono risultati irrealizzabili. Anche il Ministero ha ridotto le risorse, essendo stati i mezzi dirottati verso il sistema sanitario. Poi ci sono stati i terremoti a Zagabria e nella Banija. Anche la Città ha dovuto operare tagli al proprio bilancio, perché abbiamo rinunciato a una buona parte delle nostre entrare per soccorrere gli imprenditori fiumani colpiti dalla situazione provocata dalla pandemia. Nell’ambito delle nostre possibilità, abbiamo fatto tantissimo. Se consideriamo che le città che avrebbero dovuto essere quest’anno CEC hanno dovuto spostare i propri programmi al 2022, quest’anno in Europa non succede nulla in questo settore”.

Irena Kregar Šegota: «Crepar, ma mai molar»

Irena Kregar Šegota, direttrice di Rijeka 2020. Foto Željko Jerneić

Irena Kregar Šegota, dal giugno scorso direttrice di Rijeka 2020, l’azienda costituita per gestire il programma CEC, ha partecipato a tutte le fasi di preparazione della candidatura di Fiume, per cui la sua nomina al posto di Emina Višnić non ha sorpreso più di tanto. Anzi, erano in molti a ritenere che quell’incarico le andava affidato fin da subito. Comunque sia, sarà lei a fare l’ultimo viaggio con il “treno” CEC. Non lo farà nell’ultima carrozza, bensì alla guida della locomotiva che ha trainato il convoglio sui binari della Capitale europea della cultura.
“La nomina di Fiume a CEC ha rappresentato per tutti noi una grande gioia e una grande opportunità per la città – ha esordito –. Ci siamo messi subito al lavoro e nei quattro anni che hanno preceduto l’inaugurazione abbiamo realizzato tutta una serie di programmi, sia per aumentare la nostra capacità e la produzione culturale, sia per entrare in contatto con il nostro pubblico e parlare del progetto. Il 2020 è cominciato in maniera davvero fantastica. Abbiamo realizzato un preprogramma brillante, con la mostra di David Maljković, quella su D’Annunzio, seguite da un’apertura spettacolare nel porto fiumano, alla quale hanno assistito più di 30mila persone, con una settantina di eventi vari tra cui il Needcompany festival, la prima volta di Richard Wagner a Fiume (Tristano e Isotta, n.d.a.), senza dimenticare gli eventi carnevaleschi e i festival nei vicinati. Un inizio bellissimo, eccezionale, molto seguito dai media di tutto il mondo. Anche l’impatto sull’economia è stato positivo. Nei primi due mesi dell’anno, infatti, sono aumentati notevolmente i consumi. Secondo i dati dell’Ente turistico sono addirittura raddoppiati rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Poi ad un tratto tutto è stato interrotto bruscamente in marzo con l’inizio di questa pandemia. Dopo lo shock iniziale e il blocco totale dei programmi, è stata presa una decisione strategica, quella di non rinunciare alla Capitale europea della cultura, mettendo in atto il tipico motto del nostro litorale, ‘Krepat ma ne molat’ (‘Crepar, ma mai molar’, n.d.a.). Oggi, dopo esserci lasciati alle spalle il 2020, posso affermare che è stata una decisione giusta. Abbiamo fatto tantissime cose. Abbiamo continuato quando tutti gli eventi culturali nel mondo erano stati cancellati a causa della pandemia”.

Il «quartiere artistico»

Il nuovo “quartiere artistico”. A destra la Casa dell’infanzia, sullo sfondo la futura Biblioteca civica. Foto Roni Brmalj

“Avendo deciso di andare avanti – ha proseguito a ruota libera –, bisognava adattarsi a questo nuovo contesto, alle misure di contenimento del contagio. Un contesto a causa del quale numerosi artisti stranieri non hanno potuto raggiungere Fiume. Un contesto che ha visto il dimezzamento del budget a nostra disposizione. Abbiamo adeguato il programma, ponendo maggiormente l’accento sulla scena locale. È stata una buona decisione, che ha favorito anche questi artisti, i quali hanno avuto l’opportunità di esibirsi nonostante la paralisi del settore culturale, il più colpito dalla pandemia oltre a quello del trasporto aereo. Il risultato della nostra decisione è che siamo riusciti a realizzare 241 programmi, alcuni dei quali con un’ottantina di eventi, per cui è stata raggiunta la ragguardevole cifra di 600 eventi, con la partecipazione, escluso il pubblico presente all’inaugurazione, di 159mila persone, di cui 118mila fisicamente e 41mila online”.
Anche secondo Irena Kregar Šegota l’eredità lasciataci dalla Capitale europea della cultura è considerevole “e se ne parlerà per tantissimi anni”. “La parte più visibile di questa eredità è rappresentata indubbiamente dai progetti infrastrutturali – ha rimarcato –. Fiume ha ricevuto in regalo un vero e proprio ‘quartiere artistico’. Stiamo parlando un’area completamente rinnovata di oltre 30.000 metri quadrati. Il Museo di arte moderna e contemporanea, il palazzo dello Zuccherificio e la Casa dell’infanzia hanno già aperto i propri battenti, la Biblioteca civica lo farà l’anno prossimo. Si tratta senza dubbio del più grande progetto infrastrutturale nel settore della cultura dopo la Seconda guerra mondiale, per la realizzazione del quale abbiamo potuto contare su notevoli risorse erogate dall’Unione europea. Una nuova casa, quindi, per i nostri enti, ma anche un progetto innovativo come la Casa dell’infanzia, un ambiente completamente dedicato ai bambini e ai giovani che non ha pari nel Paese. I cittadini riceveranno in regalo anche una bellissima area pubblica, con riferimento alla piazza che verrà allestita fra tutti questi palazzi, con tanto di torrente. Questi interventi hanno rivalutato tutta quest’area, compresa via Krešimir. Partendo dal centro in direzione ovest abbiamo l’Art cinema, il Teatro dei burattini, l’intero quartiere Benčić e quando finiranno i lavori di restauro della Stazione ferroviaria sarà un’area molto interessante dal punto di vista culturale, ma anche turistico”.

Tante tracce tangibili

“Oltre a questo grande progetto infrastrutturale, di cui fa parte anche la nave Galeb, attualmente sotto restauro e in un futuro prossimo museo galleggiante, ce ne sono anche di più piccoli – ha proseguito la direttrice di Rijeka 2020 –. In questo contesto menzionerei il RiHub, che rimarrà un importante punto d’incontro per gli imprenditori culturali e per l’industria della creatività. Poi non dobbiamo dimenticare che è stato messo in funzione il grande magazzino dell’Exportdrvo, un altro impianto industriale sottoposto a riutilizzo adattivo che si è prestato meravigliosamente all’allestimento di alcune importanti mostre. Essendo di proprietà dell’azienda portuale, il suo impiego futuro dipenderà dal nuovo establishment politico, dalle intenzioni del futuro sindaco e dalle politiche culturali. Si tratta comunque di un impianto interessante, che assume un valore aggiuntivo se consideriamo la vicinanza del teatro e del futuro porto turistico. Abbiamo ereditato anche altre tracce tangibili, come ad esempio i tanti murales apparsi in città, le sculture create nell’ambito dell’indirizzo programmatico Lungomare art e che ora abbelliscono le aree pubbliche non soltanto a Fiume, ma anche in diverse località della Regione”.

Il concerto che ha chiuso la manifestazione. Foto Željko Jerneić

Programmi e persone

“Se escludiamo queste ‘prove tangibili’ – ritiene Irena Kregar Šegota –, l’eredità della Capitale europea della cultura può essere individuata in altri due elementi, ossia nei nuovi programmi e nelle persone. I nuovi programmi sono rappresentati dalle mostre permanenti nel palazzo dello Zuccherificio, dai festival come Tobogan e Porto etno, per i quali spero continuino, dalle nuove piattaforme per i cittadini, come i 27 vicinati, l’Onda verde, e le Iniziative civiche, che includono in maniera innovativa i cittadini nella vita culturale della città. Abbiamo quindi il programma di volontariato culturale, sviluppato in maniera sistematica e figlio della Capitale europea della cultura. Da non dimenticare il programma DeltaLab, prodotto dell’indirizzo programmatico Dolce e salato, che l’Università di Fiume continua a sviluppare, un programma unico in cui architettura e urbanistica vengono connessi ad altre discipline scientifiche. Poi abbiamo ricevuto in eredità un preziosissimo capitale umano, l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite da oltre 1.500 persone ai nostri laboratori e finalizzate al management della cultura. Tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione del progetto CEC hanno acquisito una grande esperienza e credo che molti tra loro continueranno a creare la cultura nella nostra città”.

Una visibilità diversa

Inoltre, Fiume e la Regione hanno ottenuto grazie a questo progetto, sostiene la direttrice di Rijeka 2020, una visibilità diversa. “A prescindere dalle limitazioni dettate dalla pandemia e dalle critiche piovute sul progetto, nessuno ci può negare di essere stati Capitale europea della cultura e con un marketing intelligente bisognerebbe capitalizzare questo fatto nel campo del turismo. Le nostre guide turistiche hanno già organizzato visite guidate… sui sentieri della CEC. Abbiamo cosa raccontare e cosa mostrare. Il city branding di Fiume dovrebbe cavalcare l’onda della Capitale europea della cultura con un insieme di azioni mirate per creare un’immagine positiva della città, esaltare i suoi punti di forza e creare un ponte tra le istituzioni e i cittadini e, non ultimi, i turisti”.
Mai come oggi, infatti, le città sono in competizione tra loro. La società è cambiata, è aumentata la mobilità internazionale, sono aumentati i turisti, le destinazioni si sono moltiplicate e le città devono intercettare questi movimenti di persone, merci e capitali attraverso la valorizzazione delle loro caratteristiche, sia quelle tangibili come i monumenti, i musei e l’architettura, sia quelli intangibili come il feeling che una città riesce a esprimere, sintetizzando queste caratteristiche in un sistema di valori comunicabile in modo univoco e riconoscibile. In altre parole, le città devono brandizzarsi, facendo di sé stesse un “prodotto” vero e proprio da lanciare nel grande mare della competitività territoriale. Riuscirà Fiume in quest’impresa? Con un marketing intelligente, come puntualizzato da Irena Kregar Šegota, potrebbe farcela.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display