Assicurare il pluralismo dell’informazione

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Assicurare il pluralismo dell’informazione

La risoluzione di maggioranza alla nota di aggiornamento del Def, depositata in aula al Senato da Lega e M5s, prevede, tra le misure che impegnano il governo, di “attuare” un “graduale azzeramento a partire dal 2019 del contributo del Fondo per il pluralismo” del Dipartimento editoria. “Il progressivo azzeramento dei finanziamenti pubblici all’editoria” e una stretta maggiore di quella prevista sulle spese dei ministeri. Sono queste le due principali novità che emergono dal vertice tra Luigi Di Maio e lo stato maggiore del M5S. Un vertice che sfiora uno dei nodi principali che si proporrà da qui al Cdm di luned al governo giallo-verde: la “pace fiscale”, sulla quale i 5 Stelle pongono paletti ben precisi. Dai tagli, spiega il vicepremier potranno scaturire risorse per “opzione donna”, ovvero “per permettere alle donne che hanno lavorato una vita ma che sono fuori da quota 100 di andare in pensione”. Il leader pentastellato Luigi Di Maio conta di incassare ulteriori fondi dai tagli ai giornali, in un contesto piuttosto burrascoso tra il M5S e i media. “Sono le nostre battaglie, quando in campagna elettore parlavo di cambiamento della politica intendevo anche questo”, sottolinea Di Maio ai suoi.

La risoluzione M5S-Lega
Nella sostanza, la risoluzione catalogata al Senato come la 6-00017 n. 5 dell’11 ottobre 2018, che vede come firmatari i senatori Massimiliano Romeo (Gruppo Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d’Azione) e il pentastellato triestino Stefano Patuanelli (che dal 6 giugno di quest’anno ricopre l’incarico di presidente del gruppo M5S a Palazzo Madama) pone un limite di garanzia all’annunciata stretta ai contributi all’editoria. La formulazione usata nel documento approvato in aula nel suo testo emendato con la maggioranza semplice dei voti prevede infatti sì un graduale azzeramento a partire dal 2019 del contributo del Fondo per il pluralismo – quota del Dipartimento informazione editoria –, ma impone anche che questo avvenga “assicurando il pluralismo dell’informazione e la libertà di espressione”. Il riferimento è alla parte del fondo che finanzia i giornali di cooperativa, quelli senza fini di lucro, delle associazioni dei consumatori, delle minoranze linguistiche in Italia, alle testate italiane pubblicate all’estero e per i non vedenti. L’altra parte, non citata nella risoluzione, è di competenza del ministero dello Sviluppo Economico e riguarda i finanziamenti per tv e radio locali.

La stampa all’estero
Il fondo, alimentato a seguito della riforma del 2016 con risorse stanziate ad hoc, con una parte del gettito del canone Rai e con un contributo di solidarietà dalla raccolta pubblicitaria di stampa e tv, ammontava lo scorso anno a circa 182 milioni, di cui 68 a disposizione del Mise e 114 del Dipartimento per l’editoria. Di questi quasi 28 milioni sono andati alla Convenzione con Rai International e circa 70 milioni a finanziare i contributi diretti all’editoria, tra anticipi e saldi. A usufruirne 54 testate. La parte più consistente di tutto l’importo è andata a cinque fra queste.Le testate all’estero Stando ad alcuni calcoli le testate italiane all’estero parteciperebbero alla ripartizione dei contributi con una quota complessiva di circa il 3 p.c. dell’importo disponibile. Per quanto si siano andati a ridurre nel tempo, i contributi risultano comunque fondamentali per il mantenimento dei giornali italiani all’estero, tra i quali figura anche il nostro quotidiano. Ecco quindi spiegati i timori emersi a seguito degli annunci inerenti una riforma dei contributi diretti alla stampa. Tagli draconiani fatti senza considerare le peculiarità di realtà sensibili che danno un contributo fondamentale sia per quanto attiene all’attuazione del diritto all’informazione nella lingua materna sia in termini di diffusione della lingua e della cultura italiana sul territorio rischiano infatti di tradursi in una graduale svalutazione del ruolo fino al loro completo spegnimento.

La reazioni alla riforma
Rischio quest’ultimo evidenziato anche dagli esponenti dell’Unione Italiana che già nei mesi scorsi avevano provveduto a inviare una serie di lettere ai rappresentanti del governo e del Parlamento italiano chiedendo loro di “riconosciute le particolarità e di mantenere le provvidenze in favore dell’editoria italiana edita all’estero, nello specifico delle testate dell’EDIT e del quotidiano La Voce del Popolo in primis, come pure delle minoranze linguistiche in Italia”. L’argomento era stato poi affrontato anche in sede di incontri istituzionali avuti a Roma dal presidente dell’UI, Maurizio Tremul, e dal presidente della Giunta esecutiva dell’UI, Marin Corva. Preoccupazione anche da parte dell’opposizione parlamentare. Per il senatore Renato Schifani (Fi) “con la fine del sostegno pubblico all’editoria si rischia di spegnere un pezzo di democrazia”. Michele Anzaldi (Pd) avverte sul rischio che grava sull’informazione di carattere locale: “Sarebbe il colpo di grazia per decine e decine di testate, con centinaia di lavoratori che rischiano di perdere il posto”.

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