Il plebiscito di cent’anni fa

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Il plebiscito di cent’anni fa

Tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918, la battaglia di Vittorio Veneto o terza battaglia del Piave, il Regno d’Italia e l’Impero austro-ungarico si misurarono in quello che fu il loro ultimo scontro bellico della Prima guerra mondiale. L’esercito asburgico era già in disfacimento a causa delle crescenti tensioni politico-sociali tra le numerose nazionalità e alle frequenti defezioni e ammutinamenti. Si combatté nella zona tra il fiume Piave, il Massiccio del Grappa, il Trentino e il Friuli. Il 3 novembre, con l’entrata in vigore dal giorno successivo, fu concluso l’armistizio di Villa Giusti che sancì la vittoria dell’Italia. Un numero esatto: 13.204 soldati istriani caduti, feriti o fatti prigionieri nel corso della Grande Guerra. È quanto emerge dall’elenco ufficiale che il Ministero della Guerra di Vienna ha raccolto in 709 fascicoli, usciti tra il 1914 e il 1919. E che ora ritroviamo in Verlustliste/Popis gubitak/Seznamek izgub/Lista delle perdite (1914-1919), che Histria Editiones propone nel VII numero della collana Histria Documentum. Iniziativa della Società umanistica Histria di Capodistria, vede la luce a Pisino il 31 ottobre, praticamente a un secolo esatto dalla fine del conflitto. Da ricordare che in coincidenza con il centenario dello scoppio delle ostilità, nell’ottobre di quattro anni fa, la medesima società aveva promosso un convegno scientifico internazionale (del quale sono stati successivamente editi gli atti), intitolato L’Istria nella Grande Guerra: fame, malattie, morte, evento che si avvalse del marchio ufficiale dei massimi organismi nazionali per la commemorazione del centenario di tutti e tre gli Stati coinvolti (Croazia, Italia, Slovenia). Il nuovo volume, cofinanziato dall’Agenzia pubblica per la ricerca della Repubblica di Slovenia, è stato curato dal professor Robert Matijašić, docente universitario e presidente della Società Histria. In esso sono contenuti i dati anagrafici e il corpo di appartenenza di oltre due milioni di nomi di militari dell’esercito-austroungarico. L’opera, che contiene la trascrizione e lo studio complementare (in quattro lingue) del materiale, può considerarsi quale primo tentativo di quantificare le perdite militari della Prima guerra mondiale e di dare un nome alle migliaia di istriani per troppo tempo rimasti nell’oblio.

Tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre di un secolo fa, i fiumani vissero giornate convulse, drammatiche e al contempo esaltanti, di speranze, aspettative e delusioni; giornate intense, cruciali, che saranno il prodromo di successivi eventi. Nelle ore in cui finalmente tacevano le armi, esplodevano altre ostilità e una tra le più complesse questioni che rischiavano di compromettere la pace e il nuovo equilibrio europeo: quella adriatica. Riguardò non solamente le relazioni tra Roma e il nascente Regno dei Serbi, Croati e Sloveni – proclamato il 1° dicembre 1918 a Belgrado, preceduto da uno Stato degli Sloveni, Croati e Serbi, costituitosi con la rottura di tutte le relazioni ufficiali con l’Austria-Ungheria, il 29 ottobre di quell’anno, formato dalle ex terre meridionali della Duplice –, ma coinvolse più in generale gli interessi economici e la stabilità politica dell’intera Europa centrale.

Acceso confronto

Sul destino di Fiume gravava l’esclusione dalle pertinenze italiane sulla città – che s’intendeva lasciare alla Croazia, indipendente o associata a una futura Confederazione Austro-Ungaro-Croata –, come previsto del Patto di Londra del 1915. All’epoca non s’immaginava ancora lo sfacelo dell’Impero, ma nel 1918 la situazione era ben diversa: con una Croazia destinata a essere assorbita nello stato comune jugoslavo, non era concepibile per l’Italia che si fornisse alla Serbia uno sbocco portuale pericolosamente vicino a quello di Trieste. Quindi, dopo Vittorio Veneto, Roma rivendicherà Fiume, con un’escalation di tensione nelle relazioni italo-jugoslave che arriverà al punto da prospettare il pericolo di un confronto armato, soprattutto quando le forze italiane prenderanno possesso delle località in Istria e Dalmazia secondo la linea di divisione stabilita con gli Alleati nelle clausole di armistizio e corrispondente in gran parte a quella del Patto del 1915. A Pola, l’ultima incursione italiana avvenne il 1° novembre e portò all’affondamento della corazzata “Viribus Unitis”. L’annessione avvenne il 5 novembre ad opera delle truppe italiane sbarcate nella vicina Fasana. In pochi giorni l’Italia raggiunse le posizioni chiave istriane e dalmate, come da precedenti accordi. E Fiume? Riassumere non è impresa facile.
Qui il clima si fece davvero esplosivo. Il 29 ottobre a Fiume il governatore magiaro Zoltán Jekelfalussy (tristemente noto agli internati in Ungheria a Tápiósüly e Kiskunhalas) abbandonò la città e l’amministrazione ungherese di fatto cessò di esistere. Jekelfalussy consegnò pieni poteri al podestà Antonio Vio, con l’intesa poi di trasmetterli al Comitato cittadino di Fiume-Sušak dipendente dal Consiglio nazionale sloveno-croato-serbo di Zagabria – l’organo sovrano della Croazia dopo la proclamazione della rottura di ogni rapporto con Vienna e Budapest –, in attesa delle decisioni della Conferenza di Pace. Nelle ore successive, il Consiglio nazionale croato, che aveva una sezione “oltre il ponte”, prese possesso della capitaneria di porto, della posta, delle ferrovie e del palazzo governativo (il 31 ottobre il bano della Croazia nominò l’avvocato Rikard Lenac conte supremo della città e del suo distretto). Fiume stava per diventare croata; un’evoluzione che i fiumani cercheranno di scongiurare. Con gli strumenti che avevano a disposizione. Perché, come aveva ribadito una decina di giorni prima di Vittorio Veneto, il deputato fiumano alla Dieta ungherese, l’industriale Andrea Ossoinack, Fiume “non soltanto non fu mai croata, ma al contrario, era italiana nel passato e italiana rimarrà nell’avvenire”. Nel suo discorso, pronunciato il 18 ottobre di quello stesso anno alla Camera di Budapest, Ossoinack reclamò il diritto all’autodeterminazione per il popolo fiumano, respingendo come irrispettosa della sua volontà e dei trascorsi storici (la popolazione non aveva ancora digerito l’occupazione del 1848, da parte delle truppe di Jelačić) l’ipotesi di assegnare la città alla Croazia.
La sera del 29 ottobre, nel salone della Società Filarmonica e Filodrammatica, il Consiglio municipale allargato si trasformò in Consiglio nazionale italiano di Fiume. Era il primo governo di Fiume indipendente, con a capo Antonio Grossich (medico chirurgo “padre” della tintura di iodio come sterilizzazione rapida per uso esterno). Il podestà Antonio Vio fu riconfermato nel suo incarico, mentre fu nominato un Comitato direttivo formato da Antonio Grossich, Salvatore Bellasich, Annibale Blau, Silvino Gigante, Adolfo Gottardi, Giovanni Schittar, Elpidio Springhetti. Il giorno dopo, proclamarono l’annessione al Regno d’Italia, invocando esplicitamente il principio di autodeterminazione dei popoli e i Quattordici Punti enunciati nel gennaio 1918 dal presidente statunitense Woodrow Wilson. Il proclama del 30 ottobre (che, vista la fretta con la quale fu stampato per diffonderlo tra la cittadinanza, riporta la data erronea del 30 settembre) fu compilato dal medico e scienziato Lionello Lenaz, preventivamente approvato da Grossich e dall’architetto Giovanni Rubinich (tra l’altro fondatore del Movimento Autonomista Liburnico). Il documento fu approvato all’unanimità.

Una pietra miliare

Davanti alla folla riunitasi nel centro e confluita nell’allora piazza Dante (20mila persone), l’avvocato Bellasich lesse il seguente testo, accompagnato da uno scroscio di applausi: “
Il Consiglio nazionale di Fiume, radunatosi quest’oggi in seduta plenaria, dichiara in forza di quel diritto, per cui tutti i popoli sono sorti a indipendenza nazionale e libertà, la città di Fiume, la quale finora era un corpo separato costituente un comune nazionale italiano, pretende anche per sé il diritto all’autodecisione delle genti. Basandosi su tale diritto il Consiglio nazionale proclama Fiume unita alla sua madrepatria l’Italia. Il Consiglio nazionale italiano considera come provvisorio lo stato delle cose subentrato addì 29 ottobre 1918, mette il suo deciso sotto la protezione dell’America, madre di libertà e della democrazia universale, e ne attende la sanzione del congresso della pace”. Non fu un vero e proprio plebiscito, in quanto in quelle condizioni (bisognava rivedere gli elenchi elettorali) era impossibile organizzare una votazione popolare.
Dopo la dichiarazione del 30 ottobre, il Consiglio nazionale assunse l’amministrazione e il governo della città, continuando a tenere separate per un certo tempo le due amministrazioni statale e comunale, in vista della prossima unione con l’Italia. Contemporaneamente, nel palazzo del Governo, riuniti i membri del locale Comitato di Fiume-Sušak del Consiglio nazionale croato sloveno-croato-serbo, il rappresentante ufficiale Konstantin Rojčević annunciò di assumere il potere statale su Fiume. Venne così a crearsi un dualismo di poteri: da una parte il Consiglio nazionale italiano, dall’altra parte il rappresentante del governo croato. La situazione era tesa. Iniziò uno dei periodi più dinamici e agitati della storia di Fiume.
I fiumani confidavano nell’aiuto dall’Italia. Già il 29 ottobre, una delegazione formata da Giovanni Matcovich, Giuseppe de Meichsner, Mario Petris, Attilio Prodam e Giovanni Stiglich, partì per Trieste, per sollecitare l’intervento militare italiano a garanzia delle deliberazioni del CNI, ma anche della pubblica sicurezza, visto che l’ordine stava precipitando. Definiti gli “Argonauti del Carnaro”, il 1° novembre partono alla volta di Venezia, dove aveva sede il Comando militare italiano. Il 2 novembre, introdotti da Sem Benelli (militare, poeta e drammaturgo toscano), riescono a informare l’ammiraglio Thaon de Revel, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, della difficile situazione a Fiume e si fanno promettere un intervento. La mattina del 4 novembre l’incrociatore “Emanuele Filiberto” e i cacciatorpedinieri “Stocco”, “Orsini” e “Sirtori “, che però non sbarcano in città. A Fiume restavano i soldati croati, che di lì a poco saranno incoraggiati dall’arrivo, il 10 novembre, di due torpediniere francesi. Nello stesso giorno, delegati del Consiglio nazionale italiano avranno un incontro a Roma con il re e nelle giornate successive altri incontri istituzionali nella capitale. Il 15 a Venezia c’è anche un incontro tra i fiumani (Edoardo Susmel, Attilio Prodam e Giovanni Matcovich) con Gabriele D’Annunzio.

Il 17 novembre navi di diverse nazionalità affolleranno il porto di Fiume, mentre le unità italiane guidate dal generale Enrico Asinari di San Marzano, comandante dei reparti dei Granatieri di Sardegna della III Armata, muovendo da Castua e dalle limitrofe Abbazia e Volosca, entrano in città, issando la bandiera italiana. Seguito dagli americani, giungerà al palazzo governativo intimando al conte Lenac di lasciare la sede, avendo egli occupato la città in nome degli Alleati. Finiva così di fatto la fase croata. Passeranno quasi due settimane prima che sia approvata l’occupazione interalleata della città con il pretesto di garantire l’ordine pubblico. Il 28 novembre ai fanti americani si aggiungeranno truppe inglesi e francesi (la maggior parte “esotiche”, di colore), con una sovrapposizione di occupazioni unica nella storia della diplomazia europea. Gli statunitensi, dopo pochi mesi, abbandoneranno la città; rimarranno inglesi e francesi, poco inclini alla causa italiana e a una presenza italiana forte nell’Adriatico. San Marzano verrà sostituito dal generale Francesco Saverio Grazioli.
Il Consiglio nazionale italiano continuerà a funzionare, con il suo Consiglio direttivo, come governo provvisorio, autonomo (e di ciò ci sono rimasti i verbali del periodo 1918-1920, pubblicati nel 2004 dalla Società di Studi Fiumani a Roma, che il protocollista Arturo Chiopris nel 1965 consegnò all’Archivio Museo storico di Fiume, e sui quali converrà ritornare nei prossimi numeri), mantenendo un assiduo contatto con Roma. In altre sedi, inizieranno lunghe ed estenuanti trattative per la sistemazione definitiva della città.

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