Acqua, l’orgoglio di Fiume

Il suo sapore è certamente più gradevole di qualsiasi acqua minerale in bottiglia e i fiumani ne sono consapevoli. Siamo andati alla scoperta di questo «tesoro», visitando le due sorgenti più importanti dalle quali viene attinta l’acqua che arriva ai nostri rubinetti

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Acqua, l’orgoglio di Fiume
La sorgente della Rječina. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Ha un sapore proprio oppure è vera la formula che si insegna a scuola, secondo cui l’acqua sarebbe “inodore, incolore e insapore”? Essendo costituita da molecole formate da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, tenuti insieme da un legame chimico chiamato “legame idrogeno” ed essendo queste molecole effettivamente inodori e insapori, possiamo dire che a scuola ci hanno dato un’informazione assolutamente esatta dal punto di vista teorico. Ma soltanto teorico, in quanto l’acqua perfettamente pura può essere sintetizzata soltanto in un laboratorio chimico ed è impossibile trovarla in natura. L’acqua dei torrenti, dei fiumi e dei laghi, così come l’acqua in bottiglia che beviamo comunemente, contiene sali minerali e altre particolari sostanze che derivano dal discioglimento delle rocce che attraversa prima di affiorare in superficie. Sono queste sostanze a trasformare il liquido “incolore, inodore e insapore” in una bevanda dotata di caratteristiche specifiche. Le diverse sostanze disciolte nell’acqua contribuiscono, tutte insieme, a creare un mix che attribuisce al liquido un sapore unico e inconfondibile, come unico e inconfondibile è il sapore dell’acqua che si beve a Fiume e i fiumani ne sono eccome consapevoli. Anzi, sono “viziati”, perché per i fiumani nessun’acqua è buona quanto quella di Fiume e se ne rendono conto quando bevono l’acqua di rubinetto in qualche altra città.

«Stress idrico»? Cos’è?
Il suo sapore è certamente più gradevole di qualsiasi acqua minerale in bottiglia. Un’acqua buonissima e, cosa molto importante, abbondante. L’emergenza idrica sarà certamente uno dei problemi più seri che colpirà il nostro pianeta, anche nei Paesi più sviluppati. La scarsità di risorse idriche si farà sentire in futuro anche in diversi Paesi europei. Per Fiume, però, lo “stress idrico” è un concetto sconosciuto. Non c’è nessun pericolo, infatti, che la città rimanga senz’acqua. Una fortuna, non c’è che dire…
L’acqua, dicevamo, va quindi assaporata. La definizione che ci viene data dal vocabolario Treccani – “gustare un cibo o una bevanda trattenendola in bocca per sentirne a lungo il sapore e rendere più piacevole la sensazione” – calza a pennello all’acqua di Fiume. Ma come, se l’acqua per definizione è un “composto chimico composto da due atomi di idrogeno legati a uno di ossigeno, incolore, inodore, insapore”? L’acqua ha un sapore proprio oppure è vera la formula che si insegna a scuola, secondo cui l’acqua sarebbe “inodore, incolore e insapore”?

L’importanza della manutenzione
Ma è proprio vero? “A Fiume sono tutti soddisfatti della qualità dell’acqua”, afferma Andrej Marochini, direttore della municipalizzata Acquedotto e Canalizzazione (Vodovod i Kanalizacija – ViK), con un pizzico d’orgoglio, puntualizzando, però, che sono tante le operazioni che vanno fatte per mantenere elevata la qualità dell’acqua che beviamo – e possiamo farlo senza indugi – dai nostri rubinetti. Come ci spiega l’ingegner Boris Turčić, “dobbiamo curare costantemente la manutenzione dell’intero sistema, dalla sorgente al rubinetto”. Come nei casi di intorbidimento dell’acqua, cosa che succede in ottobre-novembre, quando vengono giù i tipici acquazzoni fiumani dopo un lungo periodo di siccità. “Quando succede, provvediamo al lavaggio dell’intero sistema, che comprende oltre 1.000 km di tubature, una trentina di depositi idrici, tantissime stazioni di pompaggio…”, specifica l’ing. Turčić.

Le sorgenti nella storia
Per scoprire i “segreti” dell’acqua fiumana, abbiamo visitato le due principali sorgenti che alimentano il sistema idrico della città e di tutte le località contermini, lo Zvir e la sorgente della Fiumara. Nelle sue “Memorie per la storia della liburnica città di Fiume” (1896), Giovanni Kobler, il più importante storico dell’epoca moderna della città (Fiume, 22 agosto 1811 – Fiume, 1º luglio 1893), ci rivela che “tre sono le fonti che alimentano la Fiumara: il bacino detto Zvir, situato presso gli ultimi due molini, di fronte alla fabbrica di carta, il quale fornisce senza interruzione acqua limpida della temperatura di 7-8°R (8,75-10°C); il torrente Sušica che proviene dalle montagne di Grobnico, percorre la parte occidentale di quel campo e si scarica nella Fiumara sotto Lopazza; in fine l’antro situato sotto Klana, all’altezza di circa 900 piedi sopra il livello del mare, al quale si arriva in tre ore di buon cammino”.
“L’acqua di questo antro, come si legge nella Topografia di Fiume a pagina 19, ha la temperatura media di 6°R (7,5°C), ed è limpida anche nel caso di forti acquazzoni, a meno che la pioggia non sia accompagnata per molti giorni dallo scirocco, nel qual caso diventa leggermente torbida”.
“Della sorgente Zvir corre la tradizione ch’essa sia comparsa inseguito a terremoti e che nel momento del primo sgorgo siavi stato presente un pastore, certo Bellen di Cosala. Il torrente Sušica porta copioso tributo di acqua soltanto in epoca di molta pioggia o di scioglimento delle nevi; fuori di questo tempo il suo letto è secco”.
“La bocca del suddetto antro ha un diametro di circa due klafter, il suo margine inferiore è circa un klafter più alto del prossimo terreno, sul quale precipita l’acqua che va a formare la Fiumara. Nei mesi di siccità l’antro non versa acqua, ed allora stando presso a quel margine, si vede un bacino d’acqua, il quale deve essere di grande estensione, perché vi dimorano in coppia uccelli acquatici. Questo bacino sotterraneo deve essere simile agli altri molti che si trovano nel Carso e nei quali cresce e decresce l’acqua a misura della quantità degli scoli provenienti dalle alture. È quindi naturale che questa sorgente non possa recare sedimenti arenosi”.
Il klafter è un’antica misura tedesca, corrispondente alla “tesa” di altri Paesi. Come misura di lunghezza equivaleva a 6 piedi e oscillava tra 1,707 m (Francoforte s. M.) e 1,896 m (Austria-Ungheria); come misura di superficie equivaleva a 3,597 m²; come misura di volume (per il legname) era ragguagliata per lo più a 144 piedi cubi. Il Klafter cubico prussiano corrispondeva a 3,386 m³.
Il grado Réaumur, invece, è un’unità di misura della temperatura che prende il nome dal fisico francese René-Antoine Ferchault de Réaumur. Esso è definito come 1/80 della differenza tra il punto di ebollizione e quello di solidificazione dell’acqua pura alla pressione di 101,3 kPa assoluti; rispetto alla scala Celsius, quindi, il fattore di conversione è 4/5 (ovverosia 80 gradi Réaumur corrispondono esattamente a 100 gradi Celsius). Tale sistema di misurazione fu introdotto nel 1732 da Réaumur a seguito di esperimenti di dilatazione termica di una colonna di etanolo. Come curiosità, va detto che viene ancora utilizzato nella produzione del Parmigiano Reggiano.
“La Recina chiamata altrimenti Fiumara ed Eneo passa attraverso la città dopo aver percorso una vallata primitiva e pittoresca per gli aspetti selvaggi”, si legge nei vecchi libri di storia. “Nasce alle pendici del colle Kičej (606 m), una collina dell’entroterra di Fiume, a 323 metri di quota. Segue poi un percorso tortuoso in direzione sud-est, scavando una profonda gola, che lo porta a sfociare con un piccolo delta a due rami nel porto di Fiume, dopo aver percorso circa 18 km. A Fiume il suo corso si allarga e funge da porto-canale”.
“Ha un carattere fortemente influenzato dalle precipitazioni, tant’è che assomiglia, più che a un fiume, a una fiumara, e appunto col nome di Fiumara era pure indicato fino al 1947, e tale appellativo è spesso utilizzato tutt’oggi dai fiumani italofoni…”. Il suo bacino idrografico è di 234 km².

La sala di controllo dell’acquedotto fiumano all’interno del complesso Zvir.
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Indeficienter
L’acqua è “protagonista” anche sullo stemma fiumano. Nel 1919 Edoardo Susmel (Fiume, 3 dicembre 1887 – Forte dei Marmi, 18 luglio 1948), storico e politico fiumano, diede alle stampe il libro “Fiume attraverso la storia: dalle origini ai giorni nostri” edito a Milano dalla Fratelli Treves Editori, nel quale descrive lo stemma fiumano, che testimonia il legame indissolubile della città con l’acqua: “Sul fondo rosso dello scudo campeggia con le ali spiegate un’aquila bicipite sopra la quale sta una corona principesca adorna di nastri frangiati svolazzanti. L’aquila poggia l’artiglio destro su una roccia, il sinistro sopra un’urna dalla quale sgorga una fonte perenne che fluisce a un bacino. Sopra un nastro sottostante sta il motto di Fiume: Indeficienter”. Lo fa anche Silvino Gigante nella “Storia del comune di Fiume” (edito nel 1928 a Firenze dalla R. Bemporad & Figlio): “Sopra uno sfondo cilestrino damascato, incorniciato oro, campeggia uno scudo cremisi, a margine pure d’oro, recante nel mezzo un’aquila bicipite (che a differenza dell’aquila imperiale austriaca tiene tutte e due le teste rivolte a sinistra) sormontata dalla corona arciducale e appoggiata a una rupe con la zampa destra, mentre la sinistra stringe fra gli artigli un vaso da cui versa acqua. Sotto lo scudo si legge la parola Indeficienter, che non si riferisce, come asserì taluno – è inutile abbellire e falsare la storia – all’acqua che scorre inesauribile dal vaso, ma alla fedeltà dei fiumani a casa d’Austria. Né di ciò dobbiamo provar onta, come di cosa che oscuri la nostra italianità”.

Il bacino idrografico
La sorgente della Rječina è una tipica sorgente carsica, caratterizzata da grandi oscillazioni di portata, da 0 a 100.000 litri al secondo. Riesce, comunque, ad alimentare l’acquedotto fiumano per circa 9 mesi all’anno tramite la rete gravitazionale, con grande risparmio di energia elettrica. La qualità dell’acqua è elevatissima, anche in considerazione del fatto che il suo bacino di alimentazione è scarsamente abitato e gran parte di esso è occupato dal Parco nazionale del Risnjak, che offre pertanto un livello ancora maggiore di tutela. L’acqua sgorga in maniera spettacolare da una grotta che si trova ai piedi di una roccia calcarea alta quasi 300 metri. Il fondo della grotta è a forma di imbuto. Gli idrospeleologi sono riusciti a scendere fino a 70 metri di profondità, scoprendo tutto un sistema di grotte e canali nei quali si accumula l’acqua proveniente dal Monte Nevoso (lo Snežnik sloveno), dalle cosiddette Alpi grobniciane e dalla piana di Grobnico.
Quando la sorgente va in secca, entra in scena lo Zvir, che in pratica è la sorgente più importante del sistema idrico fiumano. Sgorga ai piedi del colle di Santa Caterina a circa 5 metri sopra il livello del mare e crea un piccolo laghetto, la cui acqua si riversa poi nell’alveo della Fiumara proprio di fronte all’ex Cartiera. Il bello è che questa sorgente si trova in pratica in centro città, a poco più di un chilometro e mezzo dal mare. A differenza della Rječina, questa sorgente non si è mai prosciugata, anche in virtù di un bacino idrografico molto ampio che comprende una vasta zona montuosa della Slovenia, il Nevoso, le Alpi grobniciane fino al Gorski kotar. La sua portata minima è di 1.400 litri al secondo. Il suo utilizzo per l’approvvigionamento idrico dell’acquedotto pubblico risale al 1894.

L’acquedotto Ciotta
Il 10 aprile di quell’anno, infatti, in occasione dell’onomastico dell’imperatore Francesco Giuseppe I, venne messo in funzione l’acquedotto Ciotta, che prese il nome da Giovanni de Ciotta, podestà di Fiume. Sotto il suo governo – venne eletto nel 1872 – la città ebbe un grande sviluppo con realizzazioni di valore storico, quali la ferrovia che collegò la città di Fiume con Budapest, la costruzione del nuovo porto, lo sviluppo residenziale e industriale secondo un moderno Piano regolatore e, appunto, la realizzazione del nuovo acquedotto. Queste opere furono alla base dello sviluppo economico e industriale della città di Fiume, la quale vide in quegli anni la fondazione della Compagnia di navigazione Adria e la realizzazione del grande silurificio Whitehead. Ciotta era un uomo di vasta esperienza e godeva di alta considerazione da parte degli uomini di governo. Di questa si avvalse per poter attuare numerosi e importanti progetti senza dissestare il bilancio ed è così che il comune poté realizzare la costruzione dell’acquedotto.
Oltre alle due sorgenti summenzionate, che offrono entrambe una portata media di circa 2.000 litri al secondo, l’acquedotto fiumano, che copre il fabbisogno delle città di Fiume, Buccari, Castua, Kraljevica e dei comuni di Čavle, Jelenje, Kostrena, Viškovo e Klana, dispone anche di altre sorgenti, ossia Zvir II (450 l/s), Martinšćica (450 l/s), Perilo (160 l/s), Dobra (48 l/s) e Dobrica (180 l/s), queste ultime tre nell’area di Buccari. La portata minima complessiva di tutte le sorgenti è di 2.510 litri al secondo. Va detto, in questo contesto, che la ViK preleva a livello annuo un quantitativo d’acqua sensibilmente inferiore – circa il 30-35% – rispetto al limite massimo stabilito dalle Hrvatske vode, l’ente pubblico che gestisce le risorse idriche delle Repubblica di Croazia.

Calo dei consumi
Da una parte il merito è della generosità delle sorgenti, dall’altra, però, anche una riduzione piuttosto drastica del fabbisogno complessivo degli utenti. Come puntualizzato dal direttore della ViK, Andrej Marochini, “una volta vendevamo fino a 29,5 milioni di metri cubi d’acqua all’anno, mentre oggi arriviamo a 13-13,5, meno della metà”. La causa va ricercata nella deindustrializzazione della città. “Le raffinerie a Urinj e in Mlaka, la Torpedo, la Rikard Benčić, la Mesokombinat, la Fabbrica corde e così via, di acqua ne consumavano parecchia – ha aggiunto –. Basti dire che in epoca neanche tanto lontana verso la raffineria andavano circa 150-160 litri al secondo”.
Se poi consideriamo che tutte le reti di acquedotto presentano fenomeni di dispersione idrica e volumi di acqua non fatturata, chiamati normalmente perdite, e tenuto conto di quello che è l’obiettivo principale, ossia quello di ridurre al minimo ogni tipo di perdita di acqua lungo il percorso che la porta dalle sorgenti fino alle case, abbiamo chiesto al direttore Marochini e all’ing. Boris Turčić di presentarci la situazione nell’acquedotto fiumano. Per una gestione accurata delle perdite è necessario calcolare il bilancio idrico, ovvero il bilancio tra l’acqua immessa in rete dalle sorgenti e quella effettivamente fatturata, cioè “letta” dai contatori. “La nostra situazione è più che buona, anche in virtù dei notevoli investimenti attuati negli ultimi anni e ancora in corso”, ci ha detto il direttore Marochini.

Il megaprogetto europeo
Il megaprogetto europeo denominato “Miglioramento dell’infrastruttura idrica nell’area dell’agglomerato urbano di Fiume”, del valore di 1,76 miliardi di kune, è senza dubbio uno dei maggiori investimenti nell’infrastruttura comunale in tutta la Croazia. Esso prevede la costruzione in Delta di un impianto di depurazione delle acque reflue di secondo grado, la costruzione e la ricostruzione di circa 217 chilometri di canalizzazione e 125 stazioni di pompaggio, ai quali vanno aggiunti i lavori su circa 100 chilometri di rete idrica pubblica in due città (Fiume e Castua) e tre comuni (Viškovo, Čavle e Jelenje) facenti parte dell’agglomerato urbano di Fiume.
“Abbiamo pertanto l’opportunità di utilizzare le risorse erogate dai Fondi europei per costruire nuove reti – ha proseguito –, mentre dal prezzo dell’acqua ‘attingiamo’ i soldi necessarie per la sostituzione di vecchie condotte. Quando provvediamo alla sostituzione delle condotte della rete fognaria, dobbiamo sostituire anche quelle dell’acquedotto. Le Hrvatske vode, però, considerano ‘perdita’ anche l’acqua utilizzata per la pulizia delle condotte e dei depositi idrici quando si verificano gli occasionali fenomeni di intorbidimento dell’acqua. Quando ciò avviene, provvediamo al lavaggio dell’intera rete di distribuzione di acqua potabile e questo è certamente uno dei motivi per i quali a Fiume sono tutti soddisfatti della qualità dell’acqua. La chiamano perdita, sì, ma non si tratta di perdita”.
”Si tratta di quantitativi che a noi servono per la manutenzione del sistema – ha aggiunto l’ing. Boris Turčić –. La perdita vera è quando scoppia una condotta. Sono tutte operazioni, queste, che vanno fatte per mantenere elevata la qualità dell’acqua”.

Garanzia di qualità
La zona della sorgente Zvir è anche il “cuore” e il “cervello” dell’acquedotto fiumano ed è qui che abbiamo cominciato il nostro “tour”. Oltre al direttore Marochini e al responsabile tecnico Boris Turčić, ad accoglierci è stata anche Danijela Lenac, responsabile del servizio di controllo della qualità dell’acqua. “Noi siamo tenuti a garantire la qualità dell’acqua in ogni fase – ha esordito –, dalla sorgente fino al rubinetto. Eseguiamo pertanto numerosi e costanti controlli e attività di manutenzione su tutta la filiera idro-potabile, da quando l’acqua entra nell’acquedotto fino al punto di erogazione finale. La prima verifica avviene alla sorgente, poi procediamo con la disinfezione e proseguiamo con i controlli nei depositi idrici e nei punti di controllo lungo tutta la rete, che è suddivisa in settori, per verificare nuovamente la qualità dell’acqua. Il controllo viene effettuato mediante una rete di monitoraggio costituita da 97 punti di campionamento, ai quali vanno aggiunti gli idranti e ancora una cinquantina di punti di campionamento che sono di competenza dell’Ispezione sanitaria dell’Istituto regionale di salute pubblica, le cui analisi esterne servono per confermare i risultati delle nostre analisi”.

Il cervello del “sistema acqua”.
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Controlli costanti
“L’acqua di Fiume è veramente di qualità elevatissima – ha confermato Danijela Lenac –. Abbiamo la fortuna che l’area che alimenta le sorgenti non sia urbanizzata e che non ci siano industrie che ne potrebbero minacciare la purezza. L’acqua potabile per definizione risponde a determinate caratteristiche che ne certificano l’idoneità al consumo umano. L’acqua del rubinetto è appunto definita potabile quando è conforme a parametri di idoneità chimica, fisica e microbiologica. A questo scopo disponiamo di un moderno laboratorio dedicato al controllo dell’intero ciclo dell’acqua, ossia della qualità e sicurezza dell’acqua captata, trattata e distribuita a uso potabile”.
Il primo passo, però, è costituito dalla disinfezione, che deve conferire persistenza cioè garantire la potabilità dell’acqua fino al rubinetto della singola utenza. I trattamenti impiegati sono essenzialmente trattamenti chimici (clorazione) e l’azione battericida è svolta dal cloro e dai suoi derivati (ipoclorito di sodio).
”I controlli qualitativi dell’acqua – ha puntualizzato il direttore Marochini – devono essere affiancati da una costante e continua attività di manutenzione ordinaria e straordinaria condotta su tutti gli elementi del sistema di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua, in grado di assicurare efficienza di funzionamento e rinnovamento delle infrastrutture (opere di captazione, serbatoi idrici, tubazioni ecc.) e degli impianti (sistemi di potabilizzazione, impianti di pompaggio ecc.). La manutenzione è, infatti, fondamentale per mantenere in efficienza e sicurezza qualsiasi impianto. Proprio perché si tratta di impianti dal cui corretto funzionamento dipende la salute della cittadinanza; la manutenzione in questo settore deve essere svolta in maniera regolare e attenta”.
“Sono sottoposti a controllo – ha aggiunto Danijela Lenac – anche i reagenti utilizzati nei processi di potabilizzazione ed eventuali residui di disinfettante. L’analisi chimico-fisica di un’acqua consiste nell’esecuzione, su di un campione di acqua rappresentativo e prelevato correttamente, di una serie di determinazioni effettuate tramite specifiche apparecchiature di laboratorio, tra cui uno spettrofotometro a emissione al plasma con nebulizzatore a ultrasuoni per la determinazione dei metalli”.

Danijela Lenac, responsabile del servizio di controllo della qualità dell’acqua.
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

I «FIUMI DELLA NOTTE»
Di fronte da una grande sorgente carsica, sorge spontanea una domanda: da dove viene tutta quest’acqua? È una domanda che si pone il semplice curioso di passaggio, come lo studioso d’acque sotterranee. Per gli speleologi è quasi un’ossessione e quelli che hanno tentato di esplorare lo Zvir sono stati costretti a rinunciare all’impresa a causa della “violenza” dell’acqua. A ben guardare, gran parte dell’attività speleologica è dedicata soprattutto a rispondere a questo genere di domande. La risposta va cercata nelle pieghe più nascoste delle montagne. È fatta di battute sul terreno, alla ricerca di nuove grotte, e della loro esplorazione, sino a raggiungere i collettori sotterranei: i “fiumi della notte” come qualcuno poeticamente li chiama.
Raramente capita di poter percorrere la strada che le acque di pioggia, infiltrandosi, seguono sino a riemergere in una sorgente carsica. Più spesso, per quanto lunga e difficile possa essere, la strada è sbarrata da laghi sotterranei, i sifoni, oltre i quali le grotte proseguono sommerse. Qualcuno s’immerge in questi laghi e riesce a spingersi oltre i confini interni dell’atmosfera. Allo stesso modo si può tentare di risalire il flusso delle acque immergendosi nei sifoni da cui sgorgano le acque, in superficie o all’interno di grotte che funzionano da sorgenti. Dove l’esplorazione diretta non è possibile si usano allora mezzi d’indagine indiretta: prove con traccianti o monitoraggi di dati chimico-fisici, da cui si possono ricavare informazioni sulla struttura dei sistemi carsici.
La portata delle sorgenti, cioè il loro quantitativo d’acqua (per lo più in litri) per unità di tempo (per lo più il secondo), varia nell’anno con le precipitazioni e la loro distribuzione, ma le variazioni avvengono con un ritardo tanto più sensibile quanto più lungo e più lento è il percorso sotterraneo, in dipendenza dell’ampiezza del bacino di alimentazione e delle proprietà del sottosuolo; e così mentre nelle rocce permeabili in grande con bacini ristretti il ritardo può essere anche solo di poche ore, nelle rocce omogeneamente permeabili può giungere a parecchi mesi. Anche le ampiezze delle variazioni variano nello stesso senso: nel primo caso ora citato le portate di piena possono giungere anche a una decina di volte quelle normali, mentre nel secondo non superano le due o tre volte.

Chiara Veranić: «Un meraviglioso formaggio Groviera»
Ad affrontare questo argomento è stata anche la compianta Chiara Veranić in uno dei suoi innumerevoli articoli. “Nel 2009, procedendo secondo il Programma di aggiornamento relativo alle aree di tutela delle acque sorgive, le ditte preposte alla gestione idrica versarono del tracciante nell’inghiottitoio di Rupa, a Jelenje e in una cavità lungo il margine meridionale della piana di Grobnico – scriveva –. Di solito, la sostanza usata è la fluoresceina, la quale, disciolta in acqua anche in quantità molto modeste, assume un colore verde particolare, facilmente rilevabile anche se in minime tracce. Ci si aspettava, come del resto accadde, la comparsa del tracciante nelle sorgenti a Fiume e Buccari, ma accadde che anche i laghi di Ponikve assumessero il tipico colore fluorescente. Del resto, già oltre cent’anni fa, lo studioso Dragutin Hirc riteneva che le acque della dolina derivassero dalla piana sovrastante, che si allaga anch’essa negli stessi periodi, specie nell’area chiamata Jezero. Anche la Rječina, ai margini della piana, che trascina rami, tronchi e sterpaglie, diventa sempre più gonfia per le acque che sgorgano dai posti più impensabili e si riversano nell’alveo già stracolmo”.
“Comunque, il Carso è un meraviglioso ‘formaggio groviera’ e me ne rendo conto ancora una volta scendendo a Buccari – scriveva ancora Chiara Veranić –, dove il perilo (lavatoio) nel quale di solito scorrazza placidamente qualche esemplare di trota gigante, è colmo d’acqua torbida sino al punto critico. Verso Bakarac, le risorgive scaturiscono persino dagli interstizi del bugnato rivolto al mare, formando una magnifica serie di cascatelle cristalline. Un altro fenomeno carsico legato all’acqua, molto ben visibile nella stagione delle grandi piogge e del disgelo è rappresentato dalle polle marine, alcune a getto continuo, altre di tipo intermittente. Il misterioso regno ipogeo del nostro Carso, con la sua roccia porosa, le grotte nascoste, gli inghiottitoi, i sifoni e i canali sotterranei è un filtro oltremodo potente, ma non dimentichiamolo, anche la natura possiede dei limiti”.

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