Vorrei ritrarre volti di donne nell’Istria mia e di mio padre

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Vorrei ritrarre volti di donne nell’Istria mia e di mio padre

Annamaria Castellan, scrive il critico d’arte Enzo Santese, “è in grado di offrire una palpitante dimensione del presente… La qualità poetica dell’artista sta anche nel superare l’artificio della posa (tutti i soggetti sono consapevoli di essere ritratti), catturando l’attimo in cui il volto appare meno proteso ad apparire e più incline ad essere quello che in realtà è…”. Santese si riferisce ad una mostra, (con relativo catalogo), dedicata ai ritratti che la Castellan ha realizzato nel Cadore. Da ripetere in Istria?

L’idea è grandiosa: a Dignano d’Istria dove è nato e cresciuto suo padre o a Sissano (magari in occasione del Festival dell’Istrioto, ndr) Annamaria vorrebbe impiantare uno studio improvvisato lungo una strada o in un cortile e catturare i volti della gente del posto, in una sequenza che racconti il loro mondo, fatto di espressioni, di intensità di sguardi, di ammiccamenti, di sorrisi appena accennati o di risate a bocca aperta. Come ha fatto nel Cadore dove insegna ai giovani e dove è nato il catalogo intitolato “L’attimo colto”, album di paese. Volti dai quali si sprigiona una straordinaria bellezza di donne senza età, nei cui sguardi si leggono sensazioni ed emozioni.
“Insegnare mi piace moltissimo” spiega Annamaria. Nel suo studio vediamo delle opere singolari, delle corolle che s’aprono su un pentagramma con chiave di violino rovesciata.

Perché?

“Sono opere realizzate senza la macchina fotografica”.

Si può fotografare senza l’obiettivo?

“Si possono ottenere delle immagini impressionando la carta fotografica, elaborando immagini in camera oscura, giocando con gli strumenti che solitamente si usano per lo sviluppo delle pellicole. È l’abc della fotografia, ancora prima di iniziare a rivolgere gli occhi a ciò che ci circonda, bisogna prendere dimestichezza con il materiale che andiamo elaborando per creare delle linee d’unione. Come per la scrittura, dove è indispensabile la conoscenza dell’alfabeto, per la fotografia questo è il percorso da seguire. Così ci si sottrae alla sudditanza della tecnologia digitale, che oggi è molto sofisticata e invadente”.

Perché la fotografia?

“È sempre stata la mia passione, da quando mia madre mi regalò una prima macchina instamatic quando ero alle elementari. Divenni in breve tempo, la fotografa ufficiale della classe, pronta ad immortalare le nostre gite o le ricorrenze. Ma la prima macchina, la comprai a Londra…”

A Londra? Come mai?

“Ci andai con un’amica, dopo la maturità. Mia madre non si oppose ma mise un paletto: avrei dovuto pagare tutte le spese di tasca mia. Mio padre era mancato che ero piccola, sono cresciuta senza la sua presenza e per noi è stato molto difficile. Quando arrivai a Londra, senza conoscere bene la lingua, trovai un lavoro da lavapiatti, d’altronde avevo già lavorato sodo a Trieste per pagarmi il viaggio, anche quello di ritorno, al quale rinunciai… Decisi di rimanere. Abitavo a Notting Hill, mi piaceva moltissimo. Avvertivo questo rapporto positivo nei confronti delle capacità individuali, se valevi potevi arrivare ovunque, largo al merito, insomma, questo mi affascinava. Entrai come archivista in un’azienda, poi passai a centralinista e, una volta superato lo scoglio della lingua ero la segretaria di ben tre alti funzionari della ditta. All’inizio era stata dura, ho provato anche la fame, ma tutto il resto era più importante e con i soldini guadagnati, acquistai la mia prima Reflex”.

Che cosa ti ha riportata a Trieste?

“Mi sono innamorata dell’uomo che sarebbe diventato mio marito. Anche lui istriano, Bassanese, con famiglia di Buie e Momiano. Così ho lasciato l’Inghilterra… non la passione per la fotografia”.

I primi scatti in Istria?

“A Pola, a Verudella, sull’isola di Veglia dove è esploso un amore immediato, nel mio immaginario erano i luoghi dei libri che leggevo da bambina, di cappa e spada, corsari e pirati, una folgorazione.
Andai a Pola per un concerto. La mia formazione passa attraverso la musica. Mia madre, slovena triestina, amava moltissimo la fisarmonica e mi iscrisse alla Glasbena Matica. Entrai nel complesso Miramare diretto da Eliana Zajec. Facevamo musica sinfonica, suonando su arrangiamenti specifici, suscitando grande successo in Europa. Registrammo per un concorso, a Capodistria e a Trieste: trenta ragazzi divisi in gruppi che interpretavano ciascuno uno strumento dell’orchestra sinfonica. Eravamo fortissimi, ai concorsi sempre premiati. Ci portarono anche a Belgrado a suonare per il presidente Tito che ci ospitò per una settimana. Suonavamo preludi di Listz, Ciaikovski, Smetana, ed altri. Partecipammo a trasmissioni televisive introdotti da Mariolina Cannulli e da Maria Giovanna Elmi”.

Mancato tuo padre, l’Istria cos’era?

“L’altra parte di me, mia madre diceva che ero “bumbara”. Capivo le tensioni che la politica aveva suscitato. A Trieste si diceva che gli istriani avessero portato via il lavoro ai triestini. Noi eravamo comunque povere, ci si andava a lavare ai bagni pubblici, non avevamo una casa anche se mio padre era nato a Dignano. Lui era entrato nella polizia e la mamma faceva la sarta. Anni duri. Abbiamo sentito sulla nostra pelle tutte le tempeste di questa città, mia madre allora ha comprato una fisarmonica tutta per me, e mi si è aperta una finestra sul mondo”.

Nel 2002, con la tua presidenza, è stata fondata l’Associazione Acquamarina, un riferimento importante…

“Ho voluto un’associazione culturale senza scopo di lucro, il cui obiettivo fosse quello di divulgare e approfondire l’arte della fotografia nei suoi molteplici aspetti, prestando attenzione anche alle sue contaminazioni con espressioni artistiche quali pittura, scultura, cinema, letteratura, musica e arte digitale. A questo fine organizziamo corsi ed incontri di formazione, stage, convegni, mostre, spettacoli, festival, pubblicazione di cataloghi, libri e dvd. Collaboriamo con enti pubblici e privati a livello nazionale ed internazionale, entrando nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle più svariate associazioni che lavorano in campo fotografico e artistico. Uno dei nostri obiettivi è la partecipazione ai progetti in ambito europeo”.

Musica e fotografia ma anche pittura, come si amalgamano nella tua opera?

“Quando allestisco una mostra, cerco l’armonia come nello spartito, anche con contrappunti e pause. Devo sentire il tutto in perfetto equilibrio. Come succede che certe immagini mi comunichino profumi. Tina Modotti ha fatto una foto di rose sfiorite in bianco e nero, ne ho sentito il profumo e dal 2002 lavoro sulle rose per riuscire ad ottenere quello stesso profumo. Uno dei miei cataloghi, che vanno a comporre i Quaderni di Acquamarina, è dedicato al nudo maschile, difficile da vedere nelle mostre, che ho abbinato alle rose. All’inizio il modello era perplesso, non capiva il nesso, ma credo sia una delle mie creazioni più riuscite”.

La sperimentazione è esaltante?

“Ho fatto tante cose nella mia vita sempre immersa in vari progetti. Ho scritto, collaborato con riviste bimestrali, pubblicato le mie foto. Ho organizzato mostre dei miei lavori ma anche portato a Trieste personaggi della nostra storia: nel 1996 al Revoltella, ho collaborato all’allestimento della mostra dei vestiti storici delle Sorelle Fontana, bellissima esposizione e grande successo con abiti favolosi. Adoro queste sfide”.

È difficile far passare progetti che non siano sostenuti dalle istituzioni, nati dall’entusiasmo delle persone?

“Ho un difetto, mi impegno per vedere premiati i progetti, piuttosto che cercare raccomandazioni. La cultura va oltre la politica, dovrebbe esserci sempre un equilibrio, perché quando c’è l’appoggio di una sua sola parte, allora diventa propaganda”.

È questo anche il messaggio di Fotografia Zero pixel, il festival della fotografia che vorreste portare in Istria?

“Siamo alla Quinta edizione, quest’anno partecipano una ventina di fotografi, anche dalla Slovenia e dalla Croazia. E poi dalla Francia e altri Paesi Europei. Ci sarà una prima fase triestina a novembre e dicembre, tre o quattro mostre. Il tema del 2018 è Terra, come appartenenza. Ma intanto nei giorni scorsi è stata inaugurata la mostra dei lavori degli studenti del Nordio. Lavorare con i ragazzi, con la gente, rimane l’esperienza più forte”.

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