PERCORSI EUROPEI L’unione fa la forza, ma non il caldo

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PERCORSI EUROPEI L’unione fa la forza, ma non il caldo
Foto: Milan Sabic/PIXSELL

La Croazia entra nel secondo semestre del 2022 in netta salita, per quel che riguarda la sua appartenenza all’UE: in primis, giorni fa è stato aperto, in pompa magna (giustificata, del resto) il ponte di Sabioncello (Pelješac). Un bel risultato, se si calcola che l’UE ha sborsato la bella somma di 330 milioni di euro, che è esattamente il 85 per cento del costo della costruzione del ponte, a fondo perduto – dunque, un grande tornaconto per la Croazia. E poi, questo secondo semestre e il periodo della fase finale della transizione verso l’euro – la moneta unica europea e l’inclusione della Croazia nell’eurozona. Anche qui i vantaggi della moneta unica contribuiscono al rafforzamento dei legami della Croazia con l’Europa unita. Il terzo momento positivo e che dal 1° gennaio la Croazia verrà ammessa alla zona Schengen, dopo che gli ultimi preparativi verranno conclusi proprio durante questo semestre. Per quelli che asseriscono che la Croazia così stia completando la costruzione della sua identità europea, tutti e tre gli avvenimenti rappresentano anche un motivo di soddisfazione e un buon segno per il futuro. Quando cadrà, finalmente, anche il confine tra la Slovenia e la Croazia, (essendo la Slovenia il guardiano a est della zona Schengen) potremmo dire che la Croazia sarà veramente integrata nell’Europa.

Ma c’è sempre un “ma”, un’altra faccia della medaglia che gli scettici pongono – d’altronde, la filosofia si basa sul “scetticismo metodico”, se no a cosa serve il pensiero umano senza la dialettica delle contraddizioni? Ne verrebbe fuori un mondo mostruoso del pensiero unico, della tirannia dell’apologia del potere e delle autorità prestabilite.

Cosi anche in questo caso bisogna guardare in ogni passo in avanti anche le contraddizioni che un avvenimento porta in sé, seppure domini il lato positivo, utile, proficuo… Prendiamo subito ad esempio il ponte di Sabioncello (Pelješac). Esso è, nell’insieme, un emblema dell’utilità dell’Unione europea, della sua solidarietà e del suo sostegno ad un membro che si sta affaticando a raggiungere anche nel benessere materiale gli europei, anche se tuttora funge da fanalino di coda. Con una politica più coraggiosa dell’UE e una politica meno nazionalista della Croazia, invece del ponte di Sabioncello si poteva attuare l’integrità del territorio – croato ed europeo – con un accordo con la Bosnia e Erzegovina, e far passare un’autostrada attraverso Neum, in territorio bosniaco, senza controlli di confine per quel piccolo tratto di strada. Ma per questo anche l’UE avrebbe dovuto condurre una politica più lungimirante, e far di tutto affinché anche la Bosnia e Erzegovina entri a far parte dell’UE, magari con uno status transitorio, cosi come adesso anche l’Ucraina viene ammessa nell’anticamera dell’UE nonostante si trovi in guerra. Anche la Bosnia è dilaniata dai tre nazionalismi “costitutivi” – quello serbo, bosniaco e croato, e si trova in una situazione precaria grazie proprio all’assenza di iniziativa dell’UE (e anche grazie alle attività sovversive dei vicini che alimentano i nazionalismi dei propri gruppi etnici che costituiscono questo paese). La UE ha cosi scelto “il meno peggio” per sé stessa: meglio sborsare i soldi per il ponte, che intervenire per portare la pace duratura in Bosnia. Pazienza, un’altra contraddizione dei nostri tempi…

Il secondo punto critico è l’euro. La moneta unica va benissimo, per quei paesi che trainano l’eurozona, ma per i paesi che vengono trainati – come la Croazia – ciò può apportare dei rischi notevoli. Per primo, l’inflazione che sembra stia crescendo nell’eurozona e che si rifletterà, purtroppo, anche in Croazia. Il “sistema Croazia” purtroppo non può reggere la concorrenza dei paesi che hanno un’economia ben bilanciata che comprende il settore produttivo – quello che proprio manca in Croazia, ridottasi solo al settore terziario, quello dei servizi, tra i quali il turismo – ottimo veicolo di crescita, ma dubbioso per quel che riguarda lo sviluppo sostenibile. E poi, è risaputo che la politica monetaria non può essere efficace senza una politica comune delle finanze pubbliche e delle tasse, compresa anche l’IVA – l’imposta del valore aggiunto, che in Croazia raggiunge il massimo europeo.

Infine, l’area Schengen: già ora c’è il dubbio sulla efficacia del sistema Schengen verso la Bosnia e Erzegovina, che condivide con la Croazia uno dei confini più “porosi” d’Europa, e che rischia di diventare una occasione per il contrabbando internazionale, rischiando di arrecare dei grandi danni alla Croazia e alla gestione del confine Schengen verso i Balcani occidentali (dei quali anche la Croazia, volens-nolens fa parte).

Ma a questo si aggiunge un altro handicap europeo – la politica energetica comune che non c’è, e che la guerra in Ucraina ha fatto portare alla ribalta. Senza una politica comunitaria europea nel campo dell’energia, purtroppo tutto il resto viene messo in forse. L’Unione sì che fa la forza, ma ci vuole adesso un passo in avanti – una politica energetica comune, che non ci abbandoni al freddo siberiano che potrebbe calare questo inverno.

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