INSEGNANDO S’IMPARA Tutti in cammino

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INSEGNANDO S’IMPARA Tutti in cammino

Accade sempre più spesso che studenti che hanno frequentato il corso di italiano da settembre a marzo, si scusino di non poter continuare nel periodo primaverile perché “devono andare a camminare”. Può una camminata interferire con un corso di lingua? In fondo non si va a camminare per settimane di seguito. E invece sì! Perché se si vuole completare il Cammino di Santiago de Compostela con i suoi circa 800km, ci vuole almeno un mese di energiche scarpinate quotidiane.

In Irlanda stiamo assistendo al boom dei sentieri di pellegrinaggio, anche se per una buona parte delle persone la motivazione conserva molto poco di religioso, tanto che si potrebbe definirli “pellegrinaggi atei”.

Uno degli itinerari più gettonati è il già menzionato Cammino di Santiago che deve il suo successo all’ottima organizzazione, al fatto che sia raggiungibile con un breve volo e che dia la possibilità spezzarlo in segmenti che possono esser completati in momenti diversi. Però è anche uno dei percorsi più inflazionati, con più di 300mila persone che lo completano ogni anno. Perciò, sempre più spesso dai devoti del trekking sento menzionare l’alternativa della via Francigena, soprattutto da quelli che hanno anche un interesse per la nostra lingua e cultura.

Il singolare della denominazione dei due percorsi (cammino, via) è fuorviante, in quanto si tratta sempre di un fascio di itinerari che possono essere usati in alternativa l’uno all’altro. Per avere un’idea generale del quadro, bisogna fare un passo indietro all’undicesimo secolo quando la geografia delle mete di pellegrinaggio si completa nelle tre “peregrinationes maiores”. È in quel periodo che la potente abbazia di Cluny comincia a promuovere la città di Santiago di Compostela, sede della tomba dell’apostolo Giacomo Maggiore in aggiunta agli altri due luoghi di culto: Roma con le tombe e le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo e Gerusalemme in Terrasanta con il Santo Sepolcro.

Se i viaggi verso Roma e Gerusalemme erano iniziati sporadicamente già tre secoli prima, dall’anno Mille in poi i pellegrinaggi cominciano a svolgersi in modo regolare e sistematico con numeri sempre crescenti di devoti che si calano dall’Europa settentrionale per dirigersi verso il Mediterraneo, contemporaneamente a un gran numero di persone che risalgono la penisola Italica per dirigersi verso Santiago di Compostela. Da questo si capisce subito l’importanza che acquisiscono gli itinerari italiani della via Francigena (detti anche vie romee, in quanto portavano a Roma).

Con tutta questa gente in movimento sorge l’esigenza di avere una guida che dia indicazioni sul modo migliore di superare gli ostacoli naturali lungo il cammino, soprattutto montagne (Appennini, Alpi, Pirenei) e fiumi (basti pensare al Po, che è un impedimento per quasi tutti) e che indirizzi verso le stazioni in cui sostare e rifocillarsi. Fortunatamente, già nel 990 l’arcivescovo di Canterbury Sigerico redasse una descrizione scritta del percorso tra Canterbury e Roma, oggi noto come Itinerario di Sigerico che è riconosciuto come il modello ufficiale della via Francigena. All’epoca Sigerico si era recato a Roma per ricevere da Papa Giovanni XV il Pallium, simbolo della dignità arcivescovile e sulla via del ritorno aveva compilato una cronaca con i nomi di tutte le chiese che aveva visitato a Roma insieme alla descrizione precisa di tutti i punti di sosta (mansiones) lungo le 79 tappe del suo cammino verso Canterbury.

Nei secoli seguenti si sono avute altre testimonianze scritte della via, con le varianti adottate nel frattempo. Più tardi le rotte hanno sviato verso Firenze (divenuta nel frattempo un centro di potere finanziario e commerciale) e l’Adriatico, per attraversare gli Appennini lungo la via Salaria. Ne consegue che molte tratte originali di Sigerico sono andate in disuso rimanendo fuori dai percorsi internazionali.

Negli anni Settanta in Spagna comincia, con grande successo, il recupero del Cammino di Santiago e dai primi anni Duemila in Italia si sta riproponendo la via Francigena. Questa è un’impresa molto più complicata sia per la lunghezza complessiva dei percorsi che per l’internazionalità del tracciato. L’intero tragitto da Canterbury a Santa Maria di Leuca (porto d’imbarco per la Terrasanta) conta quasi 3.300 km (attraversando Regno Unito, Francia, Svizzera, Italia); l’itinerario di Sigerico che si ferma a Roma ne conta circa 2.200, mentre il tratto puramente italiano supera i mille km coinvolgendo le regioni della Val d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia Emilia Romagna, Toscana e Lazio (se ci si ferma a Roma), mentre se si procede fino all’estremo sud, si attraversano anche Campania, Basilicata e Puglia. Va da sé che senza un piano unitario comune, ogni regione procede in modo autonomo e con i propri ritmi alla promozione del “suo” tratto di Francigena, per cui si capisce perché quelli che paragonano il Cammino alla Francigena notano, in Italia, una discrepanza nella rete di strutture di accoglimento e lacune nella segnaletica. Ma chi si accinge a mettersi in marcia sulle tratte italiche, non lo fa aspettandosi un’organizzazione perfetta, perché sa che le gratificazioni arriveranno da altre direzioni.

Nel 1998, l’Unesco ha dichiarato il Cammino di Santiago patrimonio dell’umanità, mentre per la Francigena il titolo dovrebbe arrivare nel 2025, ma già nel 1994 essa veniva certificata “Itinerario culturale del Consiglio d’Europa”. Coloro che vanno a camminare lungo il tratto toscano a sud di Siena si trovano in una condizione di pura beatitudine paesaggistica in quanto la Val d’Orcia, luogo “d’incontro unico di arte e natura, con un paesaggio naturale ridisegnato nel Rinascimento in eccellente stato di conservazione”, è Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 2004. Quindi attraversare Castiglione d’Orcia, Montalcino, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia, presto significherà camminare “Unesco al quadrato”. E se non è perfezione questa…

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