INSEGNANDO S’IMPARA Attenzione, prego!

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INSEGNANDO S’IMPARA Attenzione, prego!
Foto Ivor Hreljanović

Le poche volte che qualcuno dei miei compaesani ha commentato questi bozzetti, lo ha fatto in termini positivi, ma recentemente una persona ha dichiarato che li trovava noiosi.

L’aggettivo era interessante. Tenendo presente che i bozzetti non sono legati né alla cronaca, né all’attualità, ma coprono tutta una gamma di argomenti “a sorpresa” e che il tema scelto comanda anche lo stile, per cui a volte è scherzoso, a volte serio, altre ironico, di tutto si può peccare, fuorché di monotonia. Gli argomenti e lo stile possono piacere o non piacere, ma definirli noiosi mi sembra fuori luogo. Cercando di capire meglio ho chiesto “Noiosi come?” “Troppo lunghi” è stata la lapidaria risposta.

Ah, tutto un altro paio di maniche! Considerando che la lunghezza è sempre la stessa (due colonne), c’è da domandarsi come mai non si riesca più a completare la lettura di un testo tutto sommato modesto. In fondo devo ringraziare la persona in questione, in quanto mi ha offerto lo spunto per fare alcune considerazioni su come sia mutata la nostra attenzione.

Andiamo direttamente al punto: è indubbio che da quando abbiamo Internet in tasca e i social in perpetua attività, la nostra concentrazione è cambiata. Gli studi in materia lo dicono ormai da anni. Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova, che ha fatto vari interventi sulla dipendenza dopaminergica causata dall’uso di tecnologia, cita a riguardo i dati forniti dalle aziende responsabili (Apple &Co.) da cui risulta che noi sblocchiamo il telefonino 80 volte al giorno e ci picchiettiamo su 2.600 volte in 24 ore. Questi dati si riferiscono a dieci anni fa, quindi all’era pre -Tik Tok, che, come forse sappiamo, ha sorpassato tutto il resto in termini di uso. Si può ben immaginare che le cose siano solo peggiorate dal 2018, anno in cui l’applicazione ha veramente sfondato.

Parafrasando la professoressa, con ogni controllatina al cellulare, il cervello ci premia con una dose di dopamina, ragion per cui lo facciamo in modo compulsivo, senza tener conto che tra le varie funzioni regolate da questo neurotrasmettitore, c’è il controllo delle capacità di attenzione, delle capacità di memoria, del meccanismo del sonno, del controllo dell’umore, di alcuni aspetti del comportamento e di alcune funzioni cognitive. Interferire con questi fattori provoca quello che è sotto gli occhi di tutti: incremento di stati di ansia (soprattutto tra gli adolescenti), disturbi del sonno e disturbi dell’attenzione.

Viviamo in un’epoca dominata dalla gratificazione immediata, dal tutto e subito, dal fatto che quasi tutto sia a portata di clic. La parola d’ordine è: adesso! Voglio mangiare adesso, quindi ordino e mi arriva pronto a casa. Chi ha più tempo di aspettare che aprano i negozi? Shopping online alle due di notte e consegna premium in 24 ore. Aspettare che il destino ci faccia incrociare il potenziale partner? Ma ci sono le dating Apps (mal tradotte come app d’incontri, ma chissenefrega della traduzione) che velocizzano il processo. Voglio sapere com’è qualcosa? Leggo compulsivamente le recensioni (disponibili praticamente su tutto) anche quando so che la metà sono false.

Riusciamo a capire che la battaglia è persa, già semplicemente per una questione di ritmo? Non sappiamo più aspettare, non ci diamo il tempo di un respiro più ampio, di una riflessione più profonda. La frenesia del qui e ora anche intellettuale, per cui ogni concetto vagamente più complicato deve esser presentato in comodi bocconi o semplicistiche immagini, contrasta con i tempi lunghi richiesti dalle letture di reportage impegnativi, racconti e romanzi, dalla riflessione su concetti filosofici, dall’operazione mentale richiesta per l’apprezzamento della poesia. Il giornalista del Guardian, Rafael Behr, ha dichiarato che il consumismo a portata di clic è il grande nemico della gratificazione differita (deferred gratification), cioè quel meccanismo che dilata nel tempo la gratificazione immediata, offrendoci un intervallo anche per pensare razionalmente, per ponderare prima di agire, invece che soccombere alle emozioni “di pancia” che spesso dirompono e travolgono con conseguenze spiacevoli. Secondo lui, il fatto che le tecnologie più sofisticate vadano ad alimentare gli istinti più primordiali della nostra natura, ci hanno trasformato in “trogloditi del clic”. Ma non occorrono studi per appurare quanto questo sia vero. Gente a forma di bucaneve, con la faccia risucchiata dallo schermo, che cammina senza guardare e attraversa la strada senza prestare attenzione, persone che non sanno più vivere senza l’impulso di “creare un’esperienza” da postare sui social, bambini un tempo vitali e curiosi, trasformati in piccoli zombie dal primo telefonino. E noi? Uguale. Tutti abbiamo (o siamo stati) l’amico o l’amica che smanetta la tastiera mentre stiamo parlando. Se per caso tacciamo, lasciando lo spazio per fare una cosa per volta, ci sentiamo dire “Continua, ti sto ascoltando”. La prossima volta che ciò accade, fate così: cominciate una frase in modo normale “Sai ho deciso che dopotutto ridipingere le pareti di bianco” e concludetela con l’assurdo “e l’elefante rosa è atterrato francamente”. Se l’altro fa un hu hu di approvazione, col fischio che ci sta ascoltando.

Nel frattempo i magnati della Silicon Valley, produttori e responsabili di questo malessere, ma consapevoli della sua tossicità, si guardano bene dall’esporre i propri preziosi pargoli a schermi di qualsiasi tipo, incluso quello relativamente innocuo della TV. È ovvio che loro sapevano da tempo quello di cui noi comprendiamo solo adesso. E se gente come Bill Gates e Steve Jobs all’epoca, e Mark Zuckerberg oggi, fa vivere i propri figli in una bolla quasi priva di schermi, mette al bando cellulari e tablet almeno fino all’adolescenza, noi dovremmo prendere nota e agire di conseguenza. Farlo per noi stessi, ma soprattutto per i nostri cuccioli. Farlo prima che sia davvero troppo tardi.

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