ETICA E SOCIETÀ Il populismo è socialmente dannoso

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ETICA E SOCIETÀ Il populismo è socialmente dannoso

Si è visto nei giorni scorsi in Brasile quanto la democrazia sia esposta ai rischi. I sostenitori del candidato sconfitto alle Presidenziali ed ex Presidente Bolsonaro hanno tentato di sovvertire i risultati delle elezioni vinte dall’altro candidato o, quanto meno, di destabilizzare il governo. Forse superficialmente, l’impressione è che ci siano analogie con l’assalto a Capitol Hill, a seguito della sconfitta del Presidente uscente Trump. Questi fatti stimolano delle riflessioni sul concetto di populismo, qualifica attribuita a entrambi i Presidenti uscenti.

Il concetto è divenuto centrale nel dibattito politico in quanto una delle parole magiche che influenzano i giudizi sui personaggi o sugli orientamenti politici. Al contrario di “democratico”, che incoraggia un giudizio positivo, “populista” favorisce una valutazione negativa. Ma chi è un populista? Quali sono le caratteristiche di una politica populista e come riconoscerla? La valutazione negativa del populismo è giustificata?

Il lettore interessato troverà delle spiegazioni elaborate in volumi come quello di Marijana Grbeša e Berto Šalaj. Non è facile definire il concetto, perché non esiste un unico populismo, ma ci sono populismi diversi che coprono un vasto spazio dell’area politica. C’è, così, un populismo di destra e uno di sinistra. Ma si può trovare una caratteristica comune a ogni populismo identificando la contrapposizione sulla quale puntano tutti, quella tra il popolo sfruttato, danneggiato o trascurato da un lato, e le élite dall’altro. Peraltro non è facilissimo stabilire chi costituisce le élite. Propongo una definizione che include nelle élite le persone che esercitano una particolare influenza nella società e che vivono in condizioni economiche e sociali più favorevoli rispetto agli altri. I populisti aggiungono – senza meritarlo e danneggiando il bene generale.

Possiamo definire il populismo come il progetto basato sull’opposizione alle élite nel nome del popolo, costituito da chi vive in modo disagiato, o da chi, in qualche modo, condivide la sua sorte. Il populista si presenta come chi vuole guidare gli sconfitti verso una condizione di maggiore equità o agio. I nemici identificati non sono sempre gli stessi. Il populismo di sinistra identifica le élite nelle persone che godono di elevato benessere economico o hanno posizioni di elevato potere nel sistema economico e nei circoli politici a loro vicini. Il populismo di destra non sempre associa l’appartenenza alle élite alla ricchezza. Un personaggio generalmente descritto quale populista, come Trump, è ricchissimo, ma identificato quale parte del popolo, perché guadagnerebbe con il merito la propria ricchezza e penserebbe al bene degli altri. E allora la qualifica di élite si sposta verso, ad esempio, star cinematografiche o della musica, docenti universitari e ricercatori scientifici, giornalisti famosi o avversari politici, giudicati non meritevoli del proprio benessere o influenza. Ma soprattutto il populismo di destra non assimila sempre il nemico, la causa dei mali, alle élite. A volte questo è identificato nelle persone che vivono peggio di tutti, come molti immigrati.

Una caratteristica diffusa del populismo è quella di progettare il successo politico con una retorica e messaggi non sostenuti da ragioni e riflessioni valide. Al contrario i messaggi sono ispirati primariamente dall’intenzione di accrescere la popolarità di chi le esprime e spesso corrispondono ad affermazioni false o antiscientifiche. Il populista esprime i pensieri e sostiene politiche che gli assicurano la popolarità, magari per mascherare alcune politiche che pratica e che favoriscono un interesse di parte diverso rispetto a quello dei suoi elettori.

È chiaro perché il populismo è socialmente dannoso e perché dobbiamo imparare a distinguere tra chi critica le élite per realizzare i propri interessi di parte e chi si impegna realmente per il bene generale. Per quest’ultimo fine ci vuole qualcosa di diverso rispetto alla rabbia non selettiva verso le élite. Anche la capacità di riconoscere quelle parti di élite che sono indispensabili per un’organizzazione della società che favorisce il benessere diffuso. Ad esempio le élite intellettuali intese non quali persone coinvolte in istituzioni prestigiose, ma come persone con conoscenze reali e socialmente utili.

*Professore ordinario di Filosofia Politica

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