Una mostra che valorizza il patrimonio

Inaugurata l’importante esposizione «Il casato Tarsia – L’impegno a Capodistria e a servizio della Repubblica di Venezia tra Quattro e Settecento»

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Una mostra che valorizza il patrimonio
La seconda parte della mostra è in visione a Palazzo Gravisi-Buttorai. Foto: Mariella Mehle

L’inaugurazione della mostra “Il casato Tarsia – L’impegno a Capodistria e a servizio della Repubblica di Venezia tra Quattro e Settecento”, realizzata dal Centro italiano “Carlo Combi” di Capodistria, non ha scandito solamente la conclusione dei festeggiamenti in occasione di San Nazario, patrono di Capodistria, ma è stata la prima occasione di apertura al pubblico di Palazzo Tarsia, dopo che dallo scorso novembre è diventato di proprietà della CAN costiera.
Dinanzi a un folto pubblico, alla presenza di numerose autorità quali il Console Generale d’Italia a Capodistria Giovanni Coviello, il deputato alla Camera di Stato della Slovenia Felice Žiža, il presidente della CAN costiera Alberto Scheriani, la vicesindaco di Ancarano Martina Angelini, il presidente dell’Unione Italiana Maurizio Tremul e tanti altri, è stata inaugurata l’esposizione, volta alla valorizzazione del prestigioso palazzo e dei suoi antichi proprietari.

Prossimo il restauro
“Sarà stata una fortuita coincidenza, ma proprio lo scorso anno, in cui ricorreva il trecentesimo dalla morte di Antonio Tarsia, il Governo della Repubblica di Slovenia ci ha permesso di acquistare questo splendido palazzo e con i finanziamenti, in procinto di arrivare nell’arco di un anno, investiremo nel suo restauro per farlo rifiorire nel suo massimo splendore”, ha rilevato il deputato Žiža. “Se fino ad alcuni mesi fa era di proprietà privata, ora può finalmente essere aperto al pubblico. Nel prossimo futuro, è nostra intenzione, oltre a quella di ospitare gli uffici di diverse istituzioni della CNI, anche di allestire una sala ricordo in onore del compositore e della sua famiglia”, ha ribadito Scheriani.

Uno dei casati più antichi e influenti
Nell’illustrare la mostra, Kristjan Knez, curatore assieme a Roberta Vincoletto, nonché direttore del “Combi”, ha fornito alcuni tasselli del ricco mosaico justonopolitano, incentrati su uno dei casati più antichi, influenti e impegnati sia nell’urbe sia al servizio della Serenissima, in particolare nelle vicende diplomatiche e militari.
“L’appuntamento offre un momento di riflessione sul passato di questo centro dell’Istria settentrionale, di cui ancora molto ignoriamo, nonostante l’attenzione degli storici – ha osservato Knez -. La conoscenza della storia giova grandemente alla nostra capacità di essere consapevolmente cittadini, di essere parte della politeia o res pubblica”, ha spiegato, aggiungendo che la mostra rappresenta un’ulteriore contributo alla conoscenza dell’importante dinastia palatina, a oltre un trentennio dalla mostra allestita al Museo regionale di Capodistria in occasione del 350.esimo anniversario della nascita di Antonio Tarsia, focalizzata all’epoca soprattuto sulla figura del compositore.

Una ricerca non semplice
La ricerca, che prossimamente sfocerà in un ampio catalogo, comunque non è stata semplice, ha specificato lo storico, “benché si tratti di una casata rinomata e influente, paradossalmente non si dispone di studi approfonditi salvo alcuni lodevoli contributi circoscritti a singoli aspetti. Persistono non poche zone d’ombra sui Tarsia e lo stesso Antonio è stato scoperto, rivalorizzato e studiato dalla musicologia slovena soltanto in tempi recenti. Nel corso della cura dei contenuti specifici dell’esposizione non siamo riusciti a rispondere a svariati dubbi, ma auspichiamo che i nostri spunti e le ipotesi abbozzate possano diventare oggetto di interesse e di studio magari di ampio respiro e che siano in grado di gettare luce su questo importante lignaggio capodistriano”.

Un’architettura parlante
Per quanto riguarda Palazzo Tarsia, la storica dell’arte Marina Paoletić ha illustrato brevemente le caratteristiche architettoniche della costruzione e l’avvicendarsi dei suoi proprietari spiegando che “è un’architettura parlante, però mancano documenti per cogliere quante più informazioni. La particolarità del palazzo è l’aspetto degli interni in due stili distinti, il barocco al primo piano, mentre al piano nobile e a quello superiore sono presenti dei dettagli rinascimentali”.
La mostra documentaria, suddivisa in due parti, propone la riproduzione di materiali e fonti di prima mano conservati negli archivi, nelle biblioteche e nei musei di Capodistria, Venezia, Trieste e Parenzo e rimane in visione fino alla fine di luglio.

Personaggi illustri
Presso Palazzo Tarsia, il percorso su pannelli esplicativi illustra il casato dal quale emersero eruditi, uomini di Chiesa, condottieri militari, avvocati, notai e dragomanni all’ambasciata veneziana di Costantinopoli, passando in rassegna la storia dei proprietari dal 1500 ad oggi e le peculiarità architettoniche dell’edificio. Viene ricordato il dottor Andrea Tarsia, che nella seconda metà dl XVII secolo acquistò il palazzo, il compositore e organista Antonio, l’umanista Giovanni Domenico, nonché l’avvocato e notaio Andrea. Nello spazio espositivo di Palazzo Gravisi-Buttorai, sede della Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” invece, la mostra si concentra su alcuni personaggi, molti dei quali furono raffigurati nelle quindici tele di ampio formato incorniciate a stucco, commissionate proprio per Palazzo Tarsia, che il capitano marittimo Biagio Cobol, dopo il primo conflitto mondiale, donò al Museo Civico di Storia e Arte che le restaurò e oggi sono custodite dal Museo regionale di Capodistria.

Una dinastia di interpreti e mediatori
I contenuti prestano attenzione anche alle proprietà, compreso lo storico palazzo di via degli Orti Grandi, a quello del rione di San Pietro, che espresse Antonio Tarsia, nonché a quello di Porta Isolana, con Cristoforo Tarsia, che all’inizio del XVII secolo, giovanissimo, si trasferì a Istanbul per imparare l’ottomano, divenne dragomanno e diede origine a una vera dinastia di interpreti e di mediatori. Sui campi di battaglia si distinsero in varie occasioni, tanto che nel 1478 l’Imperatore Federico III conferì loro il titolo di conti palatini del Sacro Romano Impero.
Una sezione è riservata ai condottieri, i fratelli Tomaso e Giacomo, coinvolti nell’importante pace europea di Carlowitz (1699) e viene presentata anche la figura femminile di Bradamante Tarsia, figlia di Agostino e Angela Brutti, che andò in sposa a Girolamo Carli.
“Sono state tante le famiglie capodistriane importanti, ma la famiglia dei Tarsia ha avuto un peso non indifferente per la loro potenza e il fatto di sapersi muovere con disinvoltura sia nei palazzi veneziani sia dinanzi al sultano”, ha aggiunto in chiusura Knez, rivolgendo un ringraziamento per la collaborazione istituzionale alla CAN costiera, alla CI “Santorio” e ai patrocinatori la CAN di Capodistria, il Comune di Capodistria, il Ministero della Cultura, l’Unione Italiana, l’Università popolare di Trieste e la regione Friuli Venezia Giulia.

Un lavoro corale
“Ci siamo avvalsi anche dei preziosi collaboratori quali Luisa Antoni, David di Paoli Paulovich, Metoda Kokole e Marina Paoletić, i cui lavori verranno valorizzati soprattutto nel catalogo, dal momento che in questa sede abbiamo dovuto fare un gran lavoro di sintesi. Ringrazio tutti gli archivi, le biblioteche, i musei poiché si tratta di un lavoro corale, sinergico e frutto della collaborazione a più livelli”, ha concluso Knez.
L’inaugurazione è stata impreziosita dall’esibizione dell’Orchestra da Camera del Litorale che unisce ex allievi delle scuole di musica costiere, studenti e docenti del liceo artistico di Capodistria e studenti dell’Accademia di musica di Lubiana. La formazione che quest’anno celebra i 40 anni di attività, per l’occasione è stata diretta dal giovane maestro Giacomo Biagi. Il repertorio ha previsto due brani di Antonio Tarsia, quali il “Beatus via”, il salmo più solenne della liturgia cristiana proposto in una rielaborazione per orchestra d’archi e mezzosoprano, interpretato da Nejka Čuk, e il “Magnificat”, che rappresenta una delle preghiere più care ai compositori di tutti i tempi, per l’occasione arrangiato da Biagi per soli archi. I rimanenti due brani eseguiti, la “Sonata in re maggiore” e la “Sonata in re minore”, sono opera del compositore bolognese Giuseppe Maria Jacchini, 20 anni più giovane di Tarsia, virtuoso del violoncello.

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