Mario Battifiaca: «Un giorno si ride, l’altro si piange: la vita è così»

Lo showman si racconta tra radio, televisione e teatro

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Mario Battifiaca: «Un giorno si ride, l’altro si piange: la vita è così»
Mario Battifiaca. Foto: RONI BRMALJ

Sulla scena un indiscusso e amato mattatore, un personaggio che, senza filtri e con grande generosità, regala al suo pubblico un ampio ventaglio di emozioni. Nella vita privata una persona ritirata, un po’ malinconica, appassionata di viaggi e amante delle serate con gli amici, della genuinità, della sua famiglia e della dolcissima cagnolina Rajka. Candidato al prestigioso riconoscimento “Večernjakova ruža”, a un mese dalla sua vittoria dello “Studio d’oro” (Zlatni studio) quale migliore voce radiofonica e a due settimane dalla conduzione del Festival della canzone croata “Dora”, Mario Lipovšek Battifiaca ci racconta come sta vivendo questo momento magico, di grandi soddisfazioni.

“È un momento senza pause, a tutto gas ma bellissimo, che aspettavo da una trentina d’anni. I premi sono qualcosa che gratifica, un riconoscimento del lavoro che fai e che hai fatto. Quando, lo scorso anno, ho battuto Robert Ferlin, con il quale siamo amicissimi, è stata una vera e propria impresa. Tra di noi, a riguardo, si scherzava spesso. Lo stimo moltissimo e i miei primi passi li ho fatti con lui. Anche se è più grande di me di 5 anni (e si vede) lo prendo in giro e gli dico sempre che sono stato io il suo mentore, non il contrario. In effetti, però, non abbiamo lavorato tantissimo insieme”.

Come vi siete conosciuti?
“Nel 1994, quando per cinque mesi abbiamo lavorato assieme ad una trasmissione, io in qualità di cantante ospite, insieme a Vesna Valenčić. L’appuntamento andava in onda ogni martedì sera, verso le 21.30. Lì mi sono innamorato della radio e sono entrato in questo bellissimo mondo, che ancora oggi amo moltissimo”.

La radio, quindi, tra tutte le dimensioni che abita ormai con grande disinvoltura, è quella che le appartiene di più?
“Direi che, più che abitarle, ogni tanto faccio dei viaggi in tv o a teatro, ma la radio è, e lo dico appoggiandomi al testo della canzone di Tereza Kesovija, il “mio ultimo e primo amore”. Se dovessi stilare una classifica di ciò che preferisco, al primo posto metterei il teatro, il fare l’attore. Questo perché lo faccio più raramente, mi permette di giocare con i ruoli e si ha un immediato response da parte del pubblico. Nell’ultimo anno, considerato lo straordinario successo della commedia “Casabianca”, scritta, diretta e interpretata insieme a Irena Grdinić, vesto tali panni quasi a tempo pieno ma, in effetti, non è un lavoro, bensì una passione. Tre anni fa, invece, lo facevo sporadicamente, con delle escursioni con il Dramma Italiano o con il Dramma Croato”.

Per quale ragione, secondo lei, il pubblico ha votato Mario Battifiaca?
“Perché ho giocato sporco contro Ferlin, gli ho messo i bastoni fra le ruote, ho convinto il pubblico a non votare per i vecchi come lui e Oliver Mlakar, per i quali è giunta l’ora di andare in pensione e a dare spazio a noi giovani. Scherzi a parte, penso che Radio Istra, per la quale lavoro e sono stato nominato e dove vorrei rimanere fino alla pensione, abbia un pubblico maggiormente attivo, presente e partecipe di quello di Radio Fiume. La dimostrazione ne è la trasmissione “2 in 1” (2 u 1) di cui sono anche redattore e che lo scorso anno è stata insignita del premio “La rosa del Večernjak”, in cui è il pubblico stesso, insieme a noi, a crearla. Il contatto con gli ascoltatori è molto stretto, per cui immagino siano stati più attivi nel votare. Per ciò che riguarda i meriti, ritengo Ferlin più bravo di me. Quando, invece, siamo sul palco, davanti a un pubblico, sono io quello più a proprio agio.”

Quali conduttori radiofonici, oltre a Ferlin, le piace ascoltare alla radio?
“Amo le trasmissioni che mi offrono degli spunti di riflessione, che mi fanno rivalutare le mie certezze, i miei punti di vista, tipo “Explora” di Radio Pola, in cui è ospite fisso Korado Korlević, del quale adoro tutto: il suo programma, il suo modo di pensare, di spiegare la vita. Oltre a essere un astronomo è un’erudita incredibile. Mi piacciono un sacco anche Marko Bratoš, che lavora per l’emittente Bravo! e Borna Šmer, che attualmente è in tv e possiede la stoffa giusta per fare questo mestiere. Per quanto riguarda le colleghe, seguo volentieri e stimo molto il lavoro di Irena Grdinić e Iva Pavletić Crnić, anche lei candidata ai succitati premi, la quale può piacere o non piacere ma, in un mondo che tende a uniformare, è riuscita a creare un timbro riconoscibile”.

È reduce dall’esperienza relativa al Festival della canzone croata “Dora”. Com’è stata?
“Tutti i copioni relativi alla conduzione dovevano essere seguiti alla lettera, senza alcun margine di improvvisazione il che, per il mio modo di lavorare, è stato molto difficile e innaturale. Alcune battute, che dovevano risultare divertenti, non mi appartenevano in alcun modo, per cui ho faticato non poco. Alla prova generale ero fuori di me e credo se ne siano accorti. A differenza del Festival di Sanremo, dove Amadeus in molte occasioni può essere spontaneo, qui non era possibile farlo. Ma lui, oltre che conduttore, è anche il direttore artistico del programma. Da noi, invece, chi presenta deve dire ciò che qualcun altro ha scritto, che è tutta un’altra cosa. È la concezione in sé ad essere completamente diversa. Quella della “Dora” si avvale della scuola germanica, quella sanremese dell’italiana, verso la quale propendiamo noi. Vi sono stati momenti in cui c’ho messo del mio, ma sono stati pochissimi e brevissimi. La cosa bella è che, grazie alla redattrice fiumana Uršula Tolj, che ha portato alla Radiotelevisione croata – HRT personaggi quali Marko Tolja, Robert Ferlin, Mia Negovetić, Zoran Prodanović Prlja o me, le cose hanno iniziato lentamente a cambiare nel verso della spontaneità”.

Ritornando a “Casabianca”, lo spettacolo è esilarante e, ad ogni data, fate il sold out e si cerca un biglietto in più. Da 0 a 100, quanto vi divertite?
“Ora entrambi 100 ma, durante l’estate, Irena si divertiva sempre un sacco mentre io meno. In un anno e mezzo abbiamo proposto lo spettacolo 100 volte e, nel periodo estivo, raggiungevamo le sei o sette sere a settimana. Lavorando anche in radio, è stato abbastanza faticoso e, ad un certo punto, ero stanchissimo. Mi dava fastidio viaggiare, spostarmi di continuo ma, la cosa bella era che, al momento in cui iniziava la commedia, mi sentivo benissimo. La vita da palcoscenico è così, o t’investe uno tsunami o c’è la secca. In questo periodo, però, quando lavoriamo durante il fine settimana e posso con maggior agilità gestire il tempo negli altri giorni della settimana, me la godo”.

Ciò che colpisce profondamente è la parte finale della commedia, molto sentita e vera, in cui viene fuori la sua natura triste e drammatica…
“Nonostante le persone mi percepiscano essere più vicino ai ruoli comici, quando scrivo da solo i testi sono maggiormente propenso a identificarmi in quelli drammatici. Infatti, gli amici mi prendono spesso in giro dicendomi che le mie canzoni sono una più triste dell’altra e che in ognuna muore qualcuno. Ad esempio, nel mio spettacolo “La maledizione dell’altro” (Prokletstvo drugog), che è un misto tra uno stand up e canzoni (mie e di altri), eseguo un pezzo, scritto da me, che ho dedicato a mia nonna Lina, intitolato “Lettera a nonna Lina” (Pismo noni Lini), sincero e sentito, che mi rappresenta molto. Quello sono veramente io e il mio pubblico lo sa. La stessa cosa avviene in “Casabianca”: si ride e si piange perché la vita è così. E la gente vi si riconosce”.

Piange spesso?
“Piango e non mi vergogno a dirlo. Sono malinconico e, a volte, è uno stato in cui mi piace stare. Vi sono giornate in cui, a casa, ascolto Renato Zero o Đorđe Balašević e divento nostalgico, mi sento giù, ma mi lascio volentieri rapire da quelle emozioni”.

Le piace riascoltarsi o rivedersi dopo le trasmissioni o i concerti?
“No. Quando registro le canzoni, per capire se sono contento o meno di quello che ho fatto, lo faccio nei primi dieci giorni. Successivamente non più. Infatti, se succede di trovarmi in qualche locale o in macchina e ne sento una mi dà fastidio. In quei momenti, se potessi, pagherei per diventare invisibile. Quando tolgo i panni del personaggio Mario, con il quale interagisco e gioco con il pubblico e che mi piace fare da matti, vorrei essere nero, piccolo e non visto da nessuno”.

Parla sia l’italiano standard che il dialetto. Come comunicava con la sua famiglia d’origine?
“La cosa interessante è che, ad eccezione di mio nonno Miro e mio fratello Veljko, in famiglia hanno tutti nomi italiani: mamma Luciana, zio Guido, Bruna, Fausta, Eleonora. Quand’ero piccolo guardavamo tutti i programmi italiani e sognavamo i loro colori, le luci, Raffaella Carrà e i suoi fagioli, Mazinga Z, Capitan Futuro, Remì. I miei nonni e mia mamma, quando non volevano farsi capire, parlavano tra loro in italiano. Di conseguenza io, che per ore stavo incollato davanti alla tv a guardare i cartoni animati, l’ho imparato in quattro e quattr’otto”.

Parlando di lavoro, che cosa le manca o le piacerebbe fare?
“Sono dell’idea che le occasioni ce le creiamo da soli. In tale senso, così è stato anche il mio percorso lavorativo. Quando non mi chiamavano o non mi volevano m’inventavo il programma, la trasmissione o qualche spettacolo da me. Mi piacerebbe tanto avere le mani libere per realizzare una trasmissione televisiva come la immagino io e viaggiare, un’altra mia grande passione. Dal punto di vista privato, essendo un essere provinciale, mi manca la mia Laurana, dove mi piacerebbe ritornare a vivere”.

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