Lucio Vidotto. Una sintesi di momenti straordinari del passato

Chiacchierata con un giornalista del nostro quotidiano, insignito del Premio giornalistico «Paolo Lettis» al Concorso d’arte e cultura «Istria Nobilissima»

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Lucio Vidotto. Una sintesi di momenti straordinari del passato

Nella categoria del premio giornalistico per il miglior servizio, commento, articolo e altro genere giornalistico, trasmissione radio o televisiva, o per una serie di questi, pubblicati sui giornali, alla radio o alla televisione della CNI nel 2020, di particolare interesse per la stessa e per l’affermazione sociale e professionale della categoria al Concorso d’arte e cultura “Istria Nobilissima” è stato premiato Lucio Vidotto, giornalista della Voce del popolo.

 

Nella motivazione al premio viene illustrato che il valore dei reportage scelti dalla commissione sta soprattutto nella descrizione di alcuni luoghi storici di Fiume. Dai cinema che hanno chiuso i battenti, ai locali notturni che hanno lasciato spazio ad altre attività o diventati dei ruderi, l’autore della serie di reportage ha saputo rendere un suo ricordo il ricordo di tutti, poiché ogni località del nostro territorio lamenta la scomparsa di luoghi che scaldavano l’anima. Da rilevare l’importanza del perpetuarsi della loro memoria per evitare che vada dispersa. Vidotto è un cronista molto attivo nell’area che, anche questa volta, ha saputo coglierne l’essenza.

Hai vinto il premio nella categoria del giornalismo per una serie di reportage. Di cosa hai parlato ai lettori?

“Racconto alcuni dei miei ricordi, di luoghi e situazioni che in un particolare momento mi sono sembrati lontanissimi. Erano le settimane del primo lockdown, un periodo in cui ci siamo ritrovati nella situazione di dover lavorare da casa, senza incontrarci. Ci hanno messo a disposizione tanto tempo, chiusi tra le mura domestiche. In questo periodo ho deciso di fare un po’ d’ordine tra le mie cose, partendo dalle fotografie. Mi occupo di fotografia da sempre e di stampe ne ho a migliaia, precedenti all’era digitale. C’è di tutto. Nel corso degli scavi archeologici ha rivisto la luce del sole una scatola contenente centinaia di biglietti d’ingresso, dalle partite di calcio ai concerti, dal teatro alle discoteche. Fin da ragazzino ho sempre amato raccogliere oggetti più e meno importanti. I biglietti d’ingresso nelle discoteche di Abbazia e dintorni, dei club fiumani, mi hanno suggerito di raccontarne un po’ la storia per come li ho vissuti io negli anni Ottanta”.

Il lavoro al giornale e i testi inviati al concorso “Istria Nobilissima” possono venire messi su uno stesso piano in quanto a stile e stesura?

“Durante quello strano periodo facevo ancora parte della redazione sportiva. Con lo sport fermo a livello globale c’era ben poco da scrivere. Avvertivo un senso di claustrofobia di cui volevo liberarmi occupandomi di altre cose, di altri temi e con un taglio diverso. Non c’era l’ambizione di scrivere un saggio storico, bensì il desiderio di raccontare cose che ho condiviso con persone della mia generazione e che in molti abbiamo dimenticato. I ritrovi fiumani hanno fatto quasi tutti la stessa fine. Sono rimasti i biglietti d’ingresso nel mio piccolo archivio. Non ci sono più nemmeno i cinema. Ne è rimasto uno, l’Art cinema Croatia, mentre gli altri sono diventati sala giochi, palestra, drogheria… Se non altro queste sale hanno trovato un altro impiego, a differenza del Teatro Fenice, la sala delle prime visioni, dei kolossal, abbandonato all’oblio, vittima di una delle tante privatizzazioni finite male. Un disastro. Due puntate le ho dedicate ai concerti, la prima alla scena rock fiumana e del circondario e la seconda a cantanti e band dell’ex Jugoslavia e dall’estero, arrivando quasi ai giorni nostri. In questo caso la nostalgia nasceva dal ricordo dei tempi, relativamente recenti, in cui nessuno di noi immaginava che di lì a poco avremmo dovuto esibire all’ingresso, oltre al biglietto, anche il green pass. Per realizzare questi due reportage legati ai concerti ho avuto bisogno di un complice, del nostro fotoreporter Željko Jerneić, appassionato di musica come il sottoscritto e con un archivio privato straordinario. Oltre al servizio fotografico ordinario, riprendendo i luoghi della movida di una volta, degli ex cinema, mi ha messo a disposizione delle immagini senza le quali non avrei affrontato l’argomento. Qualche foto ce l’avevo anch’io, è vero, ma non sarebbero bastate, assieme ai biglietti d’ingresso, per rendere l’idea. Infine, c’è la parentesi sportiva con cui ho chiuso la serie. Non è altro che una sintesi di momenti straordinari vissuti da tifoso della squadra della mia città, con qualche grande gioia e molte delusioni, ma comunque indimenticabili, che si materializzano quando sfoglio i tagliandi sgualciti di trenta o quarant’anni fa (e oltre). La passione per il Rijeka l’ho voluta esprimere a modo mio, rivivendola da solo, senza dover trattenere le lacrime, con il mio cane unico testimone. Durante il lockdown è stato il mio prezioso complice, compagno di evasione tutti i giorni quando uscire con il quattrozampe era un pretesto per concedersi l’ora d’aria”.

L’idea per i reportage è stata tua?

“Sì, è tutta farina del mio sacco… rimasto chiuso per tanti anni. Devo confessare che l’idea come tale aspettava il momento propizio per venire trasmessa in una forma comprensibile. Sentivo il bisogno, per esempio, di avere un pretesto per raccontare con nostalgia di una movida che non abita più ad Abbazia e dintorni. Tra Preluca e Medea c’erano una decina di discoteche, ognuna speciale. Nei fine settimana l’Abbaziano veniva preso d’assalto da noi giovani fiumani. Negli ultimi trent’anni Abbazia si è trasformata in un salotto elegante per ospiti meno giovani. Non è che io lo ritenga un fatto negativo, ma sento un po’ di nostalgia per quei posti, anche se non ho mai amato ballare”.

Da quanto tempo lavori alla Voce e quando hai iniziato a occuparti di scrittura?

“Ho cominciato, come tanti, quando ero al Liceo, collaborando con la rubrica sportiva tutte le domeniche, occupandomi dei campionati di calcio istriani. Sto parlando della notte dei tempi, dei primi anni Ottanta, quando la pagina dei campionati minori veniva curata da Ettore Mazzieri. Mi piaceva scrivere anche da ragazzino e ho partecipato alcune volte anche alle gare di italiano”.

Da dove l’idea di partecipare al concorso “Istria Nobilissima”?

“In passato ho già partecipato a ‘Istria Nobilissima’, ma con la fotografia e nella sezione design e arti applicate, con qualche successo e alcune delusioni. A sollecitarmi c’era sempre la mamma, che è venuta a mancare pochi mesi fa. È stata lei a suggerirmi di partecipare con questa serie di reportage. Avrei voluto condividere con lei questi momenti. Sarebbe stata la prima a cui avrei telefonato dopo aver ricevuto i risultati del concorso. Da solo, sinceramente, non riesco sempre a motivarmi. Tante volte non vi è riuscita nemmeno lei, ma questa volta l’idea non mi è sembrata malvagia, considerando anche l’impegno che ci ho messo per ricostruire quei frammenti di storia recente che ho vissuto e poi raccontato in prima persona”.

Qual è la differenza tra un testo propriamente letterario e uno giornalistico? Potresti definirti scrittore o preferisci inserirti nella categoria del giornalista?

“Per fare musica ci sono sette note. C’è chi sa usarle bene, chi meno e chi per niente. Per scrivere ci sono le lettere dell’alfabeto. Vale lo stesso principio. Quindi, c’è la musica di facile ascolto e quella impegnativa. Nel linguaggio giornalistico l’importante è parlare chiaro e farsi capire. Quando ne ho la possibilità, comunque, cerco di dire le cose in un altro modo, ma non pretendo di essere considerato per quello che non sono. Ho in cantiere un racconto, qualcosa di completamente diverso da ciò che scrivo quotidianamente trattando temi di cronaca, di politica di progetti e opere infrastrutturali che, per intenderci, sanno appassionarmi a loro volta”.

Pensi che grazie al tuo lavoro di giornalista tu abbia sviluppato un occhio critico che gli altri non hanno o la tua sensibilità per le novità è innata?

“Credo che il senso critico e la sensibilità siano prerogative di chiunque osservi con interesse ciò che lo circonda. Non è necessario essere giornalista. Semmai, questa professione ti consente di accedere a luoghi e conoscere persone che altrimenti sembrano inarrivabili”.

Ci sono altri temi che vorresti esplorare? Vorresti rivelarci quali?

“Scrivendo da oltre trent’anni per il quotidiano, non mi pongo quasi mai dei temi a lungo termine. Oggi, per esempio, penso a ciò che scriverò oggi o, eventualmente, domani. Un progetto ce l’avrei per uscire dalla quotidianità. Mi sto occupando di un tema che mi sta a cuore, quello della tolleranza, del razzismo, delle discriminazioni di genere e di ogni altra natura. Vorrei demistificare certi concetti, denunciare certi fenomeni e sdrammattizzarne altri. Nel frattempo, questo riconoscimento prestigioso, inaspettato, mi stuzzica e mi incoraggia ad affrontare nuove sfide”.

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