«Le temps est bon» e l’ironia del pessimismo

Lo spettacolo del Try Theatre, con la regia del connazionale Enea Dessardo, offre numerosi spunti di riflessione

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«Le temps est bon» e l’ironia del pessimismo
Il giovane Mirko Horvat incita alla rivoluzione. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

È andata in scena alla Filodrammatica di Fiume la nuova produzione della giovane compagnia del Try Theatre, intitolata “Le temps est bon o romantizzare la povertà”. Come dice il titolo stesso, il tema principale della pièce è una critica sociale delle disparità tra ricchi e poveri, descritte in maniera per niente sottile nei tre atti che compongono lo spettacolo. La scenografia è assolutamente scarna, composta sostanzialmente da un piedistallo sul quale vengono posti prima la scultura di una gamba, poi un santo e alla fine una bottiglia di birra. Potremmo dire che si tratti di tre simboli che in sé racchiudono ciò che avviene nei tre atti dello spettacolo. La scultura è simbolo dei ricchi, il santo come incarnazione della religione è legato alla classe povera e la birra indica l’osteria dove convergono le due realtà. La caratteristica che contraddistingue il Try Theatre è l’uso della lingua inglese nella recitazione, che nel caso di questo progetto è stata affiancata al croato per un prodotto bilingue, ma comunque sovratitolato.

Una famiglia di multinazionali
La prima scena, in lingua inglese, presenta la famiglia degli Jacobs, abituata a vivere nel lusso sfrenato e a venire servita e riverita. La madre, il padre e il figlio Marcus invitano a cena madre e figlia Goldman e per l’occasione nei piatti vengono a trovarsi le pietanze più prelibate di sempre: tagliandi per i supermercati, procedure di sfratto, liquidazioni, fallimenti, mutui, ipoteche, polizze assicurative, prestiti e tutti quegli attestati usati per tenere in pugno la maggior parte della popolazione e ridurre la liquidità della società. I ricchi fanno una scorpacciata, strappano i documenti e li fanno volare. Un cambiamento nel modo di pensare si nota nei due giovani, Jane e Marcus, i quali frequentano entrambi il corso della professoressa Joelle Blomquist e si pongono delle domande più profonde non solo sul concetto di ricchezza ereditata, ma anche sull’impatto delle classi più agiate sull’ecologia del Pianeta.

I poveri e lo status quo
Il secondo atto è in lingua croata e porta lo spettatore nella famiglia degli Horvat, i quali si sollazzano guardando tv spazzatura e bevendo alcolici. Tutte le loro frustrazioni vengono canalizzate verso la squadra di calcio che sta giocando alla televisione. La famiglia continua a ripetersi che la loro vita in fondo non è poi tanto male e c’è sempre chi sta peggio. I problemi riguardanti il Pianeta vengono ignorati e l’appello a ribellarsi, lanciato dal figlio Mirko, viene accolto con indifferenza.

Il canto delle sirene del denaro
Il terzo atto, sia in inglese che in croato, si svolge in una bettola dove i giovani incontrano la prof.ssa Joelle Blomquist per parlare degli scottanti problemi sociali ed ecologici. Per una serie di avvenimenti Blomquist decide di provare a fare la cameriera in modo da comprendere meglio il mondo del lavoro. I ragazzi parlano tra di loro delle teorie della professoressa, che spiega, tra l’altro, che non è possibile essere felici se gli altri attorno a noi sono tristi e che il cambiamento deve per forza avere origine nell’individuo; non può nascere da fattori esterni. Il colpo di scena riguarda proprio la filosofa anarchica sulla quale tutti i giovani dello spettacolo ripongono le loro speranze. La pièce si chiude con la canzone dei Nirvana, “The man who sold the world”.
Il testo e la regia dello spettacolo portano la firma del giovane connazionale Enea Dessardo. Assistenti alla regia sono Lucia Filičić e Mihovil Poropat. Lo spettacolo verrà riproposto oggi, sempre alle ore 20 alla Filodrammatica.

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