«Lo sport croato è sottopagato nel suo insieme»

Il presidente del Comitato olimpico Zlatko Mateša sulle difficoltà dell'intero movimento nazionale. «Demografia, pandemia e poche risorse i motivi della crisi. Tokyo? Ritrovarci nella top 30 e lasciarci alla spalle Paesi come Turchia, Ucraina, India e Belgio rappresenta un'impresa storica»

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«Lo sport croato è sottopagato nel suo insieme»

A livello di risultati il 2021 è stata una delle annate migliori di sempre. La pandemia ha sì piegato lo sport croato, ma non spezzato. Alle Olimpiadi di Tokyo sono arrivate 8 medaglie (3 ori, 3 argenti e 2 bronzi), seconda spedizione migliore di sempre dopo Rio 2016 (10 medaglie). E sono stati diversi i grandi eventi internazionali ospitati in Croazia: lo Snow Queen Trophy di sci alpino, la prima volta di una tappa del Mondiale WRC di rally, un girone degli Europei di pallavolo femminile, la CRO Race di ciclismo, la Nascar a Grobnico, gli Europei di karate a Parenzo… E il 2022 non sarà da meno. Tante sono infatti le sfide all’orizzonte, con i Giochi invernali di Pechino ormai dietro l’angolo. Ora che il 2021 sta lentamente scandendo gli ultimi giorni è tempo di bilanci, di guardarsi indietro per ricordare ciò che è stato messo alla spalle. Ma anche di proiettarsi avanti, verso un 2022 pronto a regalare nuove gioie, medaglie, record e imprese. E lo facciamo in compagnia del presidente del Comitato olimpico croato Zlatko Mateša.

 

Presidente, non possiamo non partire dalle Olimpiadi. Alla luce delle otto medaglie raccolte a Tokyo immagino sia molto soddisfatto.

“Indubbiamente. Un risultato eccezionale se pensiamo alla situazione anomala che ha preceduto i Giochi tra competizioni cancellate, restrizioni legate a viaggi e spostamenti, allenamenti sospesi e via dicendo. Ritrovarci nella top 30 del medagliere e lasciarci alla spalle Paesi come Turchia, Ucraina, India e Belgio rappresenta un’impresa oserei dire storica”.

Rispetto a Rio c’erano però ben 28 atleti in meno in virtù del flop degli sport di squadra, con la sola nazionale di pallanuoto presente in Giappone. Si può quindi parlare di crisi degli sport collettivi?

“Purtroppo sì. È un problema che ha radici profonde. Innanzitutto c’è un discorso di natura demografica. Oggi in Croazia la fascia di popolazione compresa tra i 12 e i 19 anni conta solamente 380mila individui. Una base ridottissima dalla quale attingere. Una delle più ristrette a livello europeo. Eppure, nonostante numeri così limitati, i nostri atleti ottengono ogni anno risultati eccezionali in giro per il mondo. Il secondo punto è legato alla pandemia. Tantissimi giovani hanno smesso praticare sport perché il virus ha chiuso gli impianti e senza un’infrastruttura adeguata in cui allenarsi tanti hanno deciso di smettere. Terzo, la situazione finanziaria nella maggior parte delle società sportive è estremamente difficile. Prendendo in considerazione questi tre aspetti è chiaro a tutti che lo sport croato si trovi ora a dover affrontare sfide alquanto complicate”.

Restando in tema di finanze, in quale misura la pandemia ha inciso sulle risorse destinate alle varie Federazioni?

“In realtà è successo l’esatto contrario. La diminuzione delle attività ha ridotto di conseguenza anche le spese data la cancellazione di eventi e quindi degli spostamenti. Il problema comunque non sono le Federazioni, bensì i club, che versano in condizioni disastrose”.

A proposito di condizione disastrose, durante i recenti Mondiali di pallamano femminile il selezionatore della nazionale Nenad Šoštarić, alla domanda sul perché abbia portato con sé 16 giocatrici e non 20 come consentito dal regolamento, rispose che la Federazione non ha i mezzi per coprire i costi di soggiorno di altre quattro atlete. Nel suo duro sfogo ha parlato anche di uno sport ridotto in miseria. Condivide questo pensiero?

“Parlare di miseria mi pare un po’ eccessivo, però è palese che il nostro sport sia sottopagato nel suo insieme. Basta prendere i dati dell’Eurostat dai quali emerge come la Croazia si trovi in fondo alla classifica dei Paesi UE per stanziamenti e risorse destinate allo sport”.

Nel tentativo di tappare i buchi di bilancio il sindaco di Zagabria Tomislav Tomašević ha annunciato tagli drastici un po’ in tutti i settori, sport compreso naturalmente. Teme che in futuro non vedremo più la Croazia ospitare grandi eventi internazionali come la Coppa del Mondo di sci alpino, il Mondiale WRC o la CRO Race?

”Il rischio purtroppo è concreto. Queste che ha elencato sono tutte manifestazioni che rappresentano un grande veicolo di promozione e quindi di visibilità per il nostro Paese. Tenga presente che lo slalom femminile sullo Sljeme è stata la gara di Coppa del Mondo più vista in assoluto nella scorsa stagione, anche più della discesa di Kitzbühel. Le immagine della CRO Race vanno in onda in quasi 200 Paesi del mondo e lo stesso discorso vale anche per la WRC. Ora io mi chiedo: perché negli altri Paesi si fanno in quattro per accaparrarsi i grandi appuntamenti internazionali e noi invece nutriamo sempre delle perplessità a riguardo? Lo sanno tutti, e lo confermano anche le statistiche, che la visibilità della Croazia nel mondo si delinea attraverso i risultati ottenuti dai suoi atleti”.

Quanti atleti porterà la Croazia alle ormai imminenti Olimpiadi invernali di Pechino?

“Contiamo di portarne 12-15. Ai quali ovviamente si aggiungono allenatori e accompagnatori”.

A parte Filip Zubčić nello sci alpino, oggettivamente in Cina non ci saranno altri candidati in lizza per una medaglia…

“E qui torniamo al discorso di prima. Con un Paese che ha meno di 4 milioni di abitanti, che ha 1 milione e 115mila pensionati e che ha poca tradizione negli sport invernali, come possiamo pretendere di primeggiare in un’Olimpiade invernale? Già poter contare su un atleta del calibro di Filip Zubčić, e quindi poterci giocare una medaglia, è un miracolo”.

Un pensiero per il 2022?

“Di tornare alla normalità. E di smetterla di utilizzare le lettere dell’alfabeto greco…”.

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